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Elephant Talk
Numero 61
(12 Febbraio 2004)
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Riascoltando Thick as a brick

di Michele Santoro


Ci sono dei dischi che non smettono mai di essere tuoi, che una volta ascoltati ti appartengono per sempre. Possono rimanere latenti per chissà quanto tempo, ma poi all'improvviso riemergono, ti coinvolgono nelle loro atmosfere, ricollegando il passato al presente e creando un ponte verso il futuro. Uno di questi, per chi scrive, è Thick as a brick.

Si tratta com'è noto del quinto album dei Jethro Tull, che giunge al termine di un percorso musicale iniziato nel 1968 con This was, ancora in bilico fra un'originaria vocazione blues e le incalzanti atmosfere che saranno tipiche del gruppo, e proseguito l'anno successivo con Stand up, nel quale la band sembra già aver trovato la sua strada, che si snoda fra le impetuose incursioni flautistiche di Jan Anderson e i brevi ed intensi assoli di chitarra di Martin Barre. E se nel 1970 si assiste all'uscita di Benefit, che rappresenta la definitiva consacrazione dell'innovativo, sarcastico, elettrizzante sound dei Jethro Tull, l'anno successivo vede la luce Aqualung, ossia uno dei prodotti più inquietanti e sulfurei dell'intera storia del rock.

Va da sé che in questo percorso aumentare non solo le capacità compositive di Anderson ma la sua stessa l'abilità di songwriter, dal momento che elabora testi via via più complessi, le quali s'inseriscono a perfezione nelle articolate architetture sonore create dal gruppo e ne accrescono notevolemente la forza espressiva.

Sono questi i prodromi che danno vita a Thick as a brick. Il disco, uscito nel 1972, è considerato da molti un concept album, voluto dalla band e da Anderson in particolare per cavalcare la tendenza, propria del periodo, volta a produrre dischi fortemente "concettuali" come quelli dei King Crimson o dei Van der Graaf Generator. Questo aspetto sarebbe dunque all'origine dell'insolita struttura dell'album, non divisa in brani ma organizzata in un unico, lungo "poema", accreditato (nelle pseudo-note di un"originale copertina costituita da un immaginario quotidiano locale) a Gerald "Little Milton" Bostock, bambino prodigio e, per l'appunto, poeta in erba.

Ma a un'analisi meno superficiale si può osservare come questo côté concettuale non sia altro che un involucro, un contenitore o, se si vuole, un "paratesto", teso a veicolare informazioni aggiuntive (e il più delle volte subliminari) ad un "testo" musicale e verbale che di per sé ha ben poco dell'intellettualismo dei coevi esperimenti concept, e si viene invece a configurare come un ritratto dissacrante e grottesco del mondo contemporaneo. Difatti, per quanto l'incipit appaia dimesso e quasi scanzonato:

"Davvero non mi dispiace se questa la saltate"

ecco che subito dopo si snodano una serie di versi che ci allontanano bruscamente dal divertissement tipico del paratesto, facendoci invece tornare al mondo cupo e tenebroso di Aqualung:

"Le mie parole sono un sussurro, vostra sordità un urlo.
Posso farvi provare sensazioni ma non riesco a farvi pensare.
Il vostro sperma è nello scarico
il vostro amore nel lavandino.
Avete deciso di attraversare i campi
e concludere i vostri parti bestiali
I vostri vecchi saggi neanche immaginano
come ci si senta ad essere
ottusi come un mattone"

Siamo insomma di fronte a immagini che mettono a nudo alcuni grumi espressivi propri di Anderson, se è vero che l'intero poema si presenta come un'elaborata metafora della società attuale basata sui ricordi e sulle esperienze infantili del leader.

Accertato dunque che non si tratta di un concept album (è semmai qualcosa di ben più complesso e difficile da definire), occorre ora verificare se Thick as a brick sia o meno un prodotto commerciale e se, in quanto tale, si distacchi dai precedenti long playing per avvicinarsi a un genere più ammiccante e corrivo. Questa ipotesi, pervicamente affermata da taluni commentatori, pare in realtà sostenuta da un'unica evidenza, e cioè dallo straordinario successo di vendite realizzato dal disco. Si tratta invero di uno strano modo di considerare gli esiti artistici di un autore o di un gruppo, venendo etichettati come commerciali o meno a seconda della loro riuscita o del loro fallimento al box office. E al di là del fatto che questo metro di giudizio condannerebbe una valanga di musicisti "di successo" (da Mozart a Sting, tanto per fare dei nomi), non ci pare comunque che esso possa attagliarsi all"album in questione il quale, proprio per la sua struttura testuale e sonora, non sembra nato con l"intento di incontrare i gusti di un pubblico vasto ed eterogeneo. Per contro, il suo lusinghiero risultato appare un'ulteriore testimonianza dell'originalità delle proposte e della validità delle soluzioni, confermando l'idea che Thick as a brick costituisca un momento assai rilevante nella produzione artistica dei Jethro Tull.

Fatta chiarezza su questi aspetti, è ora opportuno riprendere il discorso propriamente musicale e sottolineare che, più che una "canzone" come vogliono alcuni, Thick as a brick si configura come una vera e propria suite, artificialmente divisa in due parti per le esigenze di spazio tipiche dei long playing, ma costituente di fatto un'unica entità, concepita in maniera unitaria e come tale eseguita. E a un ascolto anche superficiale, si può notare come essa sia contrassegnata da una varietà di registri espressivi, che vanno dal folk acustico - che da sempre ha impregnato il sound del gruppo - al rock più progressivo e avanzato, accompagnati da raffinate elaborazioni classicheggianti e da vertiginose improvvisazioni jazzistiche.

Se infatti c'è una cosa che colpisce in questa "opera" (è così appunto che bisogna chiamarla), essa è data proprio dai repentini cambiamenti di ritmo, di tono e di atmosfera che la caratterizzano in maniera così intensa. Si tratta di una peculiarità che pochi altri nomi del panorama musicale sono stati in grado di sviluppare, facendone una personale cifra espressiva e stilistica: fra questi (si parva licet) Charles Mingus e Frank Zappa, le cui impressionanti variazioni timbriche e armoniche hanno segnato profondamente le rispettive dimensioni sonore.

Ma è senza dubbio il genio di Anderson, la sua travolgente personalità musicale, la sua abilità di compositore e di songwriter e, non da ultimo, il suo originale stile di canto a fare di Thick as a brick un'opera unica e originale, creando quella particolare atmosfera fatta di una crescente tensione che progressivamente si stempera in momenti più dilatati e sommessi, nei quali egli può spaziare ora con la chitarra acustica ora con il flauto, sulla base di calde sonorità country così come di elaborate armonie jazzistiche o colte variazioni classicheggianti.

LÕintero disco appare dunque attraversato da un'inesausta carica musicale, che il leader e il gruppo esprimono con eccitata energia: ne è un esempio il breve interludio iniziale in cui, in quella che è una vera e propria polifonia, svetta la chitarra elettrica di Martin Barre, che si raccorda strettamente alle vigorose trame flautistiche sviluppate da Anderson, mentre l'organo di John Evan costruisce un ovattato e fasciante tappeto sonoro, cui fanno da contraltare l'intenso pedale di basso di Jeffrey Hammond-Hammond e l'incessante drumming di Barrimore Barlow.

Vi è tuttavia un ultimo aspetto, rilevato da alcuni critici, che pare mettere ancora in dubbio la validità estetica dell'album, e che si riferisce a certi "elementi ripetitivi" presenti nella suite, interpretati come momenti di stanchezza, come parti poco ispirate o, peggio ancora, come zavorra. Ora, sembra a chi scrive che proprio tale ripetitività sia uno dei caratteri distintivi del disco, se è vero che in un'opera qual è Thick as a brick non possano non ricorrere delle riprese tematiche, dei riferimenti interni, dei rinvii o richiami in grado di collegare fra loro i diversi momenti musicali.

Siamo insomma di fronte a una struttura che si potrebbe definire wagneriana, punteggiata com'è da una serie di "leit-motiv" che di volta in volta riepilogano gli elementi portanti e forniscono lo spunto per le successive elaborazioni, dando al disco (proprio grazie a quei repentini cambiamenti di cui si è parlato) il suo particolare colore espressivo. Si tratta di una tecnica che viene impiegata in contesti assai diversi, dai musicals alle colonne sonore (si pensi, per fare un esempio "alto", all'utilizzo che ne fa un compositore quale Ennio Morricone), e che nel nostro caso assume una precisa funzione stilistica, raccordando fra loro le diverse espressioni - ritmiche, melodiche, country, jazzistiche, classiche - che caratterizzano l'intero album.

In fondo, non è poi così bizzarro parlare di un approccio wagneriano nei Jethro Tull, se è vero che l'anno successivo il gruppo darà vita a quell'evento ispirato a un vero e proprio teatro totale che è A passion play: un esperimento (non sappiamo quanto riuscito sotto il profilo scenico, ma senz'altro assai avvincente sotto quello musicale) che, nella miglior tradizione del compositore tedesco, cerca di coniugare arti fra loro diverse, dalla musica alla letteratura, dalla recitazione alla danza. Ancora una volta dunque Thick as a brick appare come un punto d'arrivo di una straordinaria stagione musicale, ma anche come un punto di partenza in vista di nuove strade che la band e il suo leader intendono percorrere, e che li porterà a proseguire quell'avventura unica e irripetibile chiamata Jethro Tull.


[Elephant Talk Homepage] Testo rivisto da Michele Santoro nel settembre 2006. Pagina web creata nel settembre 2006 da Riccardo Ridi