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ISSN: 2283-303X

I cataloghi elettronici delle biblioteche

Tendenze evolutive degli OPAC


Tesi di laurea in biblioteconomia, Corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia, relatore prof. Riccardo Ridi, correlatore prof. Paolo Eleuteri, anno accademico 2006/2007 discussa il 27 febbraio 2008.
di Lucia Tronchin (in linea da marzo 2008) 

Introduzione

OPAC è l’acronimo di On Line Public Access Catalog. Sembra che il termine sia stato coniato nel 1981[1] da Charles Hildreth durante un incontro del Council on Library Resources (CLR) a Washington. In quest’incontro le principali istituzioni bibliotecarie americane, tra cui la Library of Congress (LC), OCLC[2], l’Association of Research Libraries (ARL), la New York University (NYU) Libraries, programmavano di condurre uno studio sui loro cataloghi online. Prendendo appunti Charles Hildreth scrisse per la prima volta OPAC sottolineando i termini public e access. Ricordando l’episodio nel 1994 in un suo messaggio all’Open Lib/Info science Education Forum egli scrive

I had perceived that some did not appreciate the importance of distinguishing these new public access search systems from the then vastly popular (with librarians) backroom online cataloging systems like OCLC's and RLIN's which were occasionally turned outward toward an unsuspecting public. Pauline or I recommended "OPAC" (spelled out) as a good term to use in the study or at least in internal communications, but it met with little favor, "computer catalog" being annointed instead. I can't imagine how "OPAC" caught on and became the universal term of choice and recognition around the globe! (Hildreth 1994)[3].

Il racconto di questo episodio ci introduce non solo nella storia del termine ma nella storia stessa degli opac: nascono dai sistemi di gestione automatizzata delle biblioteche, dal trasferimento delle procedure di catalogazione dall’ambiente cartaceo a quello elettronico, dalle interrogazioni fatte dai bibliotecari su complessi sistemi che solo col tempo diventano strumento di ricerca messo a disposizione diretta degli utenti, prima localmente e in seguito online.

Che l’accettazione del termine e la definizione del concetto abbiano richiesto molto tempo si evince anche da uno sguardo alle definizioni presenti nei principali glossari di biblioteconomia. Ancora nel 1986 l’ALA World Encyclopedia of librarianship, nella sua seconda edizione (Wedgeworth 1986), non ha una voce per Opac e alla voce On line catalogue rimanda a Cataloguing: il focus è sugli strumenti di data processing che possono produrre cataloghi online, intendendo con online in modo interattivo, oppure off line cioè in batch. Solo un accenno al fatto che negli anni ’80 le ricerche si stiano focalizzando sul modo di rendere i cataloghi online più rispondenti alle necessità degli utenti.

Nell’ALA glossary of library and information science del 1983 invece ci sono due voci distinte per On line catalog e per Online pubblic access catalog OPAC. La definizione di quest’ultima è la seguente

A computer based and supported library catalog (bibliographic database) designed to be accessed via terminals so that user may directly and effectively search for and retrieve bibliographic records without the assistance of a human intermediary such a specially trained member of the library staff (Heartsill 1983 pag. 157)[4].

In questa definizione l’accento è decisamente spostato verso l’utente e manifesta quella che ancora oggi possiamo considerare la speranza o l’utopia irrealizzata di un catalogo che possa essere interrogato senza l’aiuto di intermediari adeguatamente addestrati e soprattutto in modo efficace. Ancora oggi si cercano strumenti e tecnologie per far sì che gli opac siano facili da usare, con interfacce che in modo evidente e intuitivo indirizzino gli utenti alla ricerca o meglio all’ottenimento del risultato senza necessità di descrivere verbalmente o attraverso gli help in linea le procedure necessarie. Molto è stato fatto in questa direzione nel corso del tempo ma molto resta da fare se un professore universitario americano, esasperato dalle difficoltà nell’usare i cataloghi, arriva a dire nel suo blog “Burn the catalog”.

Electronic catalogs, wherever you go in the academic world, have become a horrible crazy-quilt assemblage of incompatible interfaces and vendor-constrained listings […] To get a catalog to associate materials that I know are associated in scholarly practice, I often have to execute exotic combinations of keywords and authors […] I’m to the point where I think we’d be better off to just utterly erase our existing academic catalogs and forget about backwards-compatibility, lock all the vendors and librarians and scholars together in a room, and make them hammer out electronic research tools that are Amazon-plus, Amazon without the intent to sell books but with the intent of guiding users of all kinds to the books and articles and materials that they ought to find, a catalog that is a partner rather than an obstacle in the making and tracking of knowledge (Burke 2004)[5].

La definizione di opac che troviamo in ODLIS sembra dare per scontato che per consultare il catalogo sia opportuno avvalersi della consulenza dei bibliotecari esperti ed evidenzia il fatto che normalmente il catalogo si trovi vicino al reference desk proprio per facilitare la richiesta di assistenza.

An acronym for online public access catalog, a database composed of bibliographic records describing the books and other materials owned by a library or library system, accessible via public terminals or workstations usually concentrated near the reference desk to make it easy for users to request the assistance of a trained reference librarian. Most online catalogs are searchable by author, title, subject, and keywords and allow users to print, download, or export records to an e-mail account (Reitz 2004).

In questa recente definizione è interessante notare che accanto alla descrizione di funzionalità relativamente innovative dell’opac, come l’esportazione di record via e-mail, si parli ancora di libri e altro materiale “posseduto” dalla biblioteca o dal sistema bibliotecario, eludendo completamente la problematica possesso vs accesso che si è aperta da quando è iniziata la disponibilità di risorse elettroniche remote. Il catalogo elettronico deve descrivere solo i documenti fisicamente posseduti dalla biblioteca o deve includere anche documenti disponibili in rete liberamente o su banche dati per le quali la biblioteca paga per l’accesso? La rapidissima evoluzione delle tecnologie della rete ha investito non solo le forme dei documenti, con la comparsa di oggetti che difficilmente si adattano ad essere descritti e maneggiati attraverso i tradizionali opac, ma ha creato un ambiente informativo completamente nuovo al quale l’utente si rivolge per soddisfare le sue necessità di informazione e documentazione. Secondo alcuni la fascinazione per questo mondo e le sue semplici modalità di ricerca sta portando gli utenti lontano dai cataloghi e dalle biblioteche e solo un vero e proprio cambiamento di paradigma nella catalogazione e nella struttura degli opac potrà soddisfare le necessità degli utenti (Markey 2007).

C’è anche chi giudica intrinsecamente irrealizzabile la speranza che la ricerca possa essere resa facile ed efficace da nuovi opac perché ascrive il successo nella ricerca accademica ad una profonda conoscenza degli strumenti e delle tecniche di ricerca che non potrà mai essere sostituita da, pur necessari e possibili, miglioramenti o cambiamenti radicali nel catalogo o nelle interfacce (Mann 2006, 2007) e men che meno potrà essere sostituita dalla semplice e veloce ricerca su internet che viene giudicata alla stregua del canto delle sirene di Ulisse, affascinante ma mortale (Gorman 2007).

La definizione di opac che si trova nell’Harrod’s librarians’ glossary, nell’edizione del 2005, ci porta ad alcune delle funzionalità che sono ormai stabilmente presenti nei cataloghi online, funzionalità che consentono all’utente un’interazione col catalogo stesso: la possibilità di avere le informazioni sulla disponibilità al prestito dei documenti e la possibilità di prenotarli. Ci conduce soprattutto a rimettere in discussione il termine stesso

With the demise of the Card Catalogue the need for stressing the “on line public access” part has disappeared and they are now frequently just catalogues (Prytherch 2005 pag. 507)[6].

Ad oltre venticinque anni dal momento in cui l’acronimo opac fu coniato è ormai dato per certo che il catalogo di una biblioteca sia direttamente accessibile dagli utenti ed on line tanto che l’opac può tornare ad essere semplicemente “il catalogo” senza necessità di ulteriori precisazioni. Ma questo catalogo è lo stesso di sempre?

Nelle inevitabili semplificazioni di un glossario o in un dizionario, non trovano posto le caratteristiche che il catalogo ha potuto sviluppare in questi anni grazie al fatto di essere diventato digitale e di svolgere oggi la sua funzione in un contesto di reti digitali. Il catalogo si è arricchito aggiungendo alla descrizione dei documenti parti dei documenti stessi, come le immagini delle copertine, i sommari o anche il testo intero in formato digitale spesso forniti da agenzie diverse dalle biblioteche. Dalla descrizione può rinviare a biografie degli autori e a recensioni e commenti magari fatti dagli utenti stessi. Il catalogo aiuta l’utente che fallisce nella ricerca tentando di correggere errori di digitazione. Il catalogo cerca di conoscere i suoi utenti e attraverso tecniche di profilazione mira ad orientarli verso le risorse che possono essere più adatte a loro. Il catalogo include documenti di tipologia e natura diverse ed è punto di accesso a fonti documentarie locali e remote. Molti si chiedono se uno strumento così si possa ancora chiamare catalogo e la caccia al nuovo nome è aperta[7].


 



[1] E’ evidentemente un refuso l’indicazione 1781 che compare nell’importante Encyclopedia of library and information science, New York, Marcel Dekker inc, 1968-2003, volume 58, supplement 21 pag. 154 alla voce Online public access catalogs scritta da Martha M. Yee e Sara Shatford Layne.

[2] Online Computer Library Center. Nato nel 1967 come consorzio di biblioteche accademiche dell’Ohio (USA), OCLC è oggi la più grande rete di servizi bibliografici nel mondo.

[3] Avevo percepito che alcuni non avevano compreso l’importanza di distinguere questi nuovi sistemi di ricerca ad accesso pubblico dagli allora popolari (tra i bibliotecari) sistemi di catalogazione online interni come quelli di OCLC e di RLIN che occasionalmente venivano girati ad un pubblico ignaro. Pauline o io segnalammo “OPAC” (compitandolo) come un buon termine da usare nello studio o almeno nelle comunicazioni interne, ma incontrò scarso favore e fu invece consacrato il termine catalogo computerizzato. Non potevo immaginare quanto “OPAC” avrebbe preso e sarebbe diventato il temine universalmente scelto e riconosciuto in tutto il mondo.

[4] Un catalogo di biblioteca (database bibliografico) basato su e supportato da un computer destinato ad essere usato via terminali in modo che gli utenti della biblioteca possano direttamente ed efficacemente cercare e recuperare record bibliografici senza l’assistenza di un intermediario umano come un membro dello staff della biblioteca specificamente addestrato.

[5] Dovunque andiate nel mondo accademico i cataloghi elettronici sono diventati un patchwork di interfacce incompatibili e di liste imposte dai venditori […] Per far si che il catalogo associ materiali che io so essere associati nella pratica degli studiosi, devo spesso eseguire esotiche combinazioni di parole chiave a autori […] Sono arrivato al punto di pensare che avremmo fatto meglio a cancellare completamente i nostri attuali cataloghi accademici e dimenticarci di tutte le compatibilità col passato, chiudere tutti i venditori, i bibliotecari e gli studiosi insieme in una stanza a forgiare i nostri strumenti elettronici ricerca in modo che siano più di Amazon, Amazon non con l’intento di vendere libri ma con lo scopo di guidare gli utenti di tutti i tipi ai libri, agli articoli, ai materiali che devono trovare, un catalogo che sia un partner piuttosto che un ostacolo nel creare e perseguire la conoscenza.

[6] Con la dismissione dei cataloghi a schede è scomparsa la necessità di mettere l’accento su “accesso pubblico in linea” ed essi sono ora frequentemente solo cataloghi.

[7] Si veda per esempio il thread Ceci n’est pas un catalogue (a partire dal 22 agosto 2007) nella lista di discussione NGC4LIB.


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