ESB Forum
ISSN: 2283-303X |
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I cataloghi elettronici delle bibliotecheTendenze evolutive degli OPACTesi di laurea in biblioteconomia, Corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia, relatore prof. Riccardo Ridi, correlatore prof. Paolo Eleuteri, anno accademico 2006/2007 discussa il 27 febbraio 2008. di Lucia Tronchin (in linea da marzo 2008) 4. Il contenuto dell’opac4.1 I cataloghi collettiviCome abbiamo visto gli opac nacquero in un contesto in cui accanto alla necessità di automatizzare procedure interne di gestione si sentiva in modo pressante l’esigenza di scambiare i dati tra diverse agenzie catalografiche nell’ottica del risparmio e della condivisione delle risorse e del controllo universale dei documenti. Ben presto le biblioteche arrivarono all’allestimento di cataloghi collettivi ossia i cataloghi in linea che raccolgono il patrimonio di un insieme più o meno grande di biblioteche[1] e oggi la maggior parte delle biblioteche anche in Italia, pur presentando anche interfacce delle sole risorse possedute localmente, partecipa ad opac collettivi. I cataloghi collettivi possono essere cumulati o integrati. I cataloghi cumulati sono formati dalla semplice somma di una serie di opac singoli i cui record non sono stati confrontati e "schiacciati" in modo da eliminare le duplicazioni e presentato quindi molte notizie bibliografiche duplicate e incoerenze. Gli opac integrati, che costituiscono la forma prevalente, sono invece costituiti dal lavoro di catalogazione partecipata di diverse biblioteche. In questo caso un documento viene catalogato una volta sola, dalla prima biblioteca che lo descrive, mentre le altre biblioteche si limiteranno a specificare che anch'esse possiedono quel documento, collegandosi alla descrizione già esistente. In tal modo, cercando un determinato documento se ne troverà una sola descrizione, accompagnata dall'indicazione delle diverse biblioteche che lo possiedono (Gnoli 1999). Oltre ai vantaggi derivanti dalla condivisione del lavoro di catalogazione, che genera risparmio di risorse e standardizzazione delle registrazioni bibliografiche, i cataloghi collettivi semplificano la ricerca all’utente il quale con una sola interrogazione ottiene informazioni su una grande quantità di documenti posseduti da diverse biblioteche. La crescita enorme del numero di record contenuti nei cataloghi ha però come contropartita negativa la sempre maggiore difficoltà a presentare i risultati delle ricerche in modo comprensibile all’utente. La vastità del set di dati recuperato è sempre stato considerato tra i principali ostacoli che gli utenti incontrano nell’uso degli opac (Hildreth 1995 parte 3.4) (Su 1994 pag. 141). La tendenza attuale per superare questa difficoltà è quella di evitare di presentare all’utente solo una lista di record da esaminare ad uno ad uno: alcune ricerche fatte analizzando i log delle transazioni degli utenti dimostrerebbero infatti che l’utente tende ad abbandonare l’esame di una lista di risultati troppo estesa (Yu – Yung 2004) e, dato che nella maggior parte degli opac non c’è ordinamento per rilevanza, l’utente rischia di non recuperare opere significative per la sua ricerca solo perché sono posizionate in fondo alla lista. Il raffinamento della ricerca, presente nella grande maggioranza degli opac, attuabile applicando filtri di diversa natura al set di risposta, è un aiuto all’utente ma richiede comunque una conoscenza abbastanza precisa di quanto si sta cercando. Gli opac più avanzati cercano piuttosto di rappresentare il contesto dei dati pertinenti tra i quali l’utente può muoversi, consentendogli di scegliere tra termini che precisino l’interrogazione invece che costringerlo a formulare egli stesso un termine più preciso: mostrano i diversi contesti semantici del termine, i termini più ampi o più ristretti, le diverse tipologie di materiali; evidenziando i riferimenti incrociati con altri termini; raggruppano i risultati secondo i diversi aspetti pertinenti al termine di ricerca, distinguono tra opere primarie e opere di commento.
4.2 Tipologie di materialiLe biblioteche hanno sempre posseduto documenti di diverse tipologie e su diversi supporti e li hanno resi noti ai loro utenti tramite il catalogo. Nel passato si trattava più spesso di diversi cataloghi ciascuno dei quali dedicato ad una particolare categoria di materiali: la gestione manuale delle registrazioni bibliografiche consigliava di dominare la complessità e varietà delle collezioni possedute creando specifici strumenti di descrizione e reperimento per ciascun tipo di documenti. Abbiamo così cataloghi di manoscritti, di incunaboli, di cinquecentine, di documenti iconografici, di musica a stampa, di cartoline, di fotografie, di mappe e carte geografiche o semplicemente di periodici. Le nostre biblioteche storiche ancora oggi utilizzano a fianco del catalogo elettronico e del catalogo generale cartaceo, i loro cataloghi speciali, a registro o a schede, espressione della varietà e diversità delle loro collezioni. Secondo Ridi […] la raccolta documentaria di ogni biblioteca è sempre stata un ibrido dei media più svariati, a partire dalle collezioni quattrocentesche che iniziavano ad allineare timidamente i primi libri tipografici accanto a quelli manoscritti, fino agli scaffali, gli armadi e ai contenitori assortiti di tutte le nostre biblioteche contemporanee, zeppi dei non book materials analogici più vari. D’altronde basta “scavare” nei cataloghi di una biblioteca con un minimo di storia alle spalle per imbattersi nelle sorprese “mediatiche” più bizzarre. Forse solo una bibliografia potrebbe (anche se non necessariamente deve) essere “pura”, ovvero includere esclusivamente documenti appartenenti ad una e una sola categoria formale (solo periodici, solo monografie, solo siti web, solo cd-rom, solo traduzioni ecc.). Un catalogo invece, rispondendo alle esigenze concrete di concretissimi utenti, si incarna, si storicizza, e necessariamente si ibrida con tutte le categorie attraverso cui passano i bisogni informativi dei propri utenti […] (Ridi 2003 pag. 53). I cataloghi elettronici hanno cercato di riflettere questo essere ibride delle raccolte delle biblioteche, accogliendo le diverse tipologie di documenti e diventando essi stessi ibridi. Questo non significa che essi siano riusciti ad accogliere completamente tutti i materiali: nonostante la standardizzazione delle norme della catalogazione descrittiva[2] e l’accoglienza del formato MARC verso tutti i dati catalografici[3] rendano possibile questa totale integrazione, alcune tipologie di documenti continuano ad essere trattate in cataloghi speciali, anch’essi elettronici, ma separati dal catalogo generale. Nel 1989 Potter, citato da Hildreth (Hildreth 1995 parte 2 pag. 4) poteva ancora sostenere che […] today most catalogs provide access only to the books and the set titles of serials. Readers interested in the other types of materials are compelled to consult indexes that are separate from the catalog such as printed indexes, CD-ROM databases, or commercial online services. While these tools are usually of high quality, they are scattered throughout a library. The reader has lost the unifying function of the catalog, the ability to locate any item from a single source (Potter 1989). Se il catalogo deve essere il punto di accesso unico alle raccolte della biblioteca e ibridarsi con tutte le categorie attraverso cui passano i bisogni informativi degli utenti va fatta senz’altro una riflessione sull’evoluzione delle raccolte e delle necessità degli utenti. Secondo Gorman la definizione di raccolta si è dilatata fino a comprendere almeno quattro livelli: - i documenti tangibili (libri, registrazioni, mappe, video, ecc.) posseduti dalla biblioteca e conservati in una determinata localizzazione fisica; - i documenti tangibili posseduti da altre biblioteche ma disponibili per la biblioteca attraverso sistemi interbibliotecari di condivisione delle risorse, cataloghi collettivi e attraverso il prestito interbibliotecario; - i documenti intangibili posseduti dalla biblioteca e disponibili per l’uso in biblioteca (risorse elettroniche locali); - i documenti intangibili non posseduti dalla biblioteca, ma ai quali essa fornisce accesso perché ha sottoscritto un abbonamento o perché sono disponibili gratuitamente sul web (risorse elettroniche remote) (Gorman 2001, 2003). Queste definizioni ci inducono a mutuare da Potter (Potter 1989) il concetto di expanded catalog. Questo concetto, ripreso anche da Hildreth (Hildreth 1991), definisce l’opac come uno strumento unificante che deve dare accesso a tutto quanto la biblioteca possiede o rende disponibile.
4.3 Metadati, arricchimento bibliografico, full-text dei documentiIl concetto di expanded catalog non si limita a considerare le diverse tipologie di documenti che devono essere descritte nel catalogo ma implica che l’opac si espanda fino a includere informazioni aggiuntive non presenti nelle descrizioni catalografiche, fino a rinviare al full text delle risorse e a consentire l’accesso a risorse esterne. Fin quando si è rimasti al concetto di record bibliografico, di descrizione di un documento, dei soli documenti posseduti localmente, molti cataloghi, seppure in alcuni casi parzialmente, sono riusciti a raggiungere il loro obiettivo di essere strumenti di accesso unico. Hanno incorporato nel corso del tempo anche i documenti multimediali, video, audio e altre risorse elettroniche locali. Ma la diffusione dei documenti digitali e tutto l’ambiente informativo che si è creato con lo sviluppo della tecnologia legata ad internet, ha spostato in avanti l’obiettivo degli opac: i metadati catalografici non sono più sufficienti se di un documento posso avere il testo completo, o almeno la visualizzazione dell’indice o delle informazioni di copertina; così come è desiderabile avere informazioni aggiuntive sotto forma di link ad altre risorse legate a quel documento come la biografia o la bibliografia dell’autore, una recensione o altre informazioni correlate. Vediamo quindi che una delle attuali tendenze degli opac è di arricchirsi di contenuti diversi dalla sola catalogazione bibliografica che per certe tipologie di documenti, periodici, cataloghi di mostre, atti di convegni, antologie e altre opere poligrafiche è particolarmente insufficiente a indicare il contenuto e quindi di scarsa utilità per l’utente. Questo può essere fatto sia approfondendo il livello della catalogazione, ossia potenziando la quantità e qualità delle informazioni legate localmente al record catalografico, sia, in modo più realistico, economicamente vantaggioso e in linea con le attuali tendenze, reperendo le informazioni necessarie in altri sistemi informativi e creando gli opportuni collegamenti (Weston 2007 pag. 233-234)[4]. Questo può avvenire grazie alla collaborazione tra vari soggetti del circuito della produzione e distribuzione dei documenti e dell’informazione bibliografica, editori, centri di ricerca specializzati, agenzie bibliografiche, erogatori di servizi informativi, ciascuno dei quali nell’ambito della propria attività produce, scambia e ricerca diversi dati di carattere bibliografico. Questa attività richiede però l’esistenza di metadati standard, sia descrittivi sia come dispositivi di identificazione dei documenti e del loro contenuto, che consentano di creare dinamicamente, al momento dell’interrogazione a catalogo, una registrazione composta assemblando diversi segmenti (per esempio abstract, indici, TOC, bibliografie, recensioni) ricavati dalle diverse registrazioni prodotte dalle agenzie coinvolte[5]. Combinando la ricerca per soggetti o descrittori con le indicazioni provenienti dalla guida bibliografica e mettendo in relazione risorse elettroniche, dati provenienti da scansione digitale e informazione referenziale, il catalogo finisce per diventare un vero e proprio sistema bibliografico complesso e nel dispiegarsi dell’intreccio di riferimenti incrociati tra descrizioni e bibliografie, documenti testuali e audiovisivi, rimandi interni ai documenti e tra documenti diversi, prende corpo il catalogo ipertestuale (Weston-Galeffi 2004 citato da Weston 2007 pag. 235). Il concetto di catalogo allargato come punto di accesso unico alla raccolta della biblioteca presenta notevoli complessità teoriche e pratiche e non è l’unica opzione possibile per le biblioteche le quali possono scegliere di organizzare i propri cataloghi privilegiando la logica del possesso oppure dell’accesso ai documenti (Ridi 2007a pag. 121). L’inclusione nella raccolta della biblioteca di documenti digitali remoti non significa infatti necessariamente che il punto di accesso debba essere costituito dall’opac. Un approfondimento di questa problematica si trova in Ridi (Ridi 2002, 2007a). Non è affatto banale decidere di parteggiare in astratto, schematicamente, per l'inserimento o meno delle RER negli OPAC […] La mia personale proposta sull'organizzazione degli accessi alle RER attraverso lo spazio elettronico della biblioteca, che mi pare possa soddisfare sia le esigenze pratiche degli utenti che la coerenza con la tradizione bibliografica e catalografica, è di ristrutturare le tipologie di accessi all'OPAC comunemente disponibili, in modo da consentire all'utente la scelta fra la consultazione di: [A] OPAC tradizionale, che include solo documenti analogici e REL (native o prodotte dalla biblioteca stoccando RER sui propri scaffali virtuali); [B] VRD (in forma di lista o di archivio, ma comunque creato automaticamente per estrazione a partire dall'archivio di lavoro unitario dei catalogatori di tutte le tipologie di documenti), che include solo le RER selezionate dalla biblioteca; [C] OPAC arricchito (o allargato), sommatoria di [A] e di [B], che include tutti i documenti posseduti o selezionati dalla biblioteca (Ridi 2002 pag. 73). Secondo Ridi il catalogo arricchito, unico strumento di accesso ai documenti realmente omnicomprensivo (Ridi 2002 pag. 74), dovrebbero dare accesso anche ad una categoria di risorse molto diffusa specie nelle biblioteche accademiche: i full text dei periodici e delle banche dati commerciali per le quali esse pagano una qualche forma di tariffazione e il cui accesso è normalmente riservato ad utenti registrati secondo criteri propri delle diverse biblioteche. Questo catalogo dovrebbe in ogni caso prevedere la possibilità di filtrare la ricerca per consultare, secondo le esigenze, le sole risorse analogiche, le REL, le RER ad accesso libero o le RER ad accesso riservato. Secondo Sokvitne (Sokvitne 2006) è l’intenso lavoro richiesto per creare i record bibliografici che ha limitato il numero di risorse elettroniche che sono state incluse e rese reperibili tramite l’opac, facendo preferire la scelta di creare raccolte speciali, con propri indici e metodi di accesso, separate dal sistema informatico integrato della biblioteca. Quello che dovrebbe essere fatto oggi, grazie allo sviluppo della tecnologia, è separare la gestione del posseduto della biblioteca dallo strumento generale di ricerca, cioè separare l’opac allargato e le sue capacità, dal database bibliografico sul quale si basa la gestione del posseduto nei sistemi di gestione integrata. The growth of modern technology and high speed networks now mean that it is possible to separate the OPAC from the bibliographic database used by the library to manage its holdings. The capacity to extract, move, and import large amounts of data in modern computer systems is well developed; and this had been coupled with the capacity of new search-engine type applications to efficiently index large volumes of data to provide powerful real time searching and results handling. In this new context, an OPAC need not necessarily be part of the ILMS, and as a consequence, need not be limited by traditional ILMS based OPAC functionality (Sokvitne 2006 pag. 3)[6]. Secondo Weston nel momento in cui l’attenzione del sistema si sposta dalle usuali funzioni find e obtain a quella di discover, il catalogo incomincia a configurarsi come fulcro attorno al quale sviluppare veri e propri portali che permettano l’accesso a risorse di ogni tipo, anche non necessariamente bibliografiche (Weston 2007 pag. 252). Una prima generazione di portali per le biblioteche è stata sviluppata intorno alla metà degli anni ’90. Questi portali, che si configurano come grandi contenitori di informazione digitale selezionata, in genere in forma cooperativa, in base alla sua rilevanza per la ricerca, sono detti verticali o subject gateway o portali specialistici[7]. Secondo Cassella la caratteristica di questi portali è di indirizzare l’utente verso i contenuti ed il loro limite è di dedicare la propria attenzione principalmente ai contenuti. Il principale limite di questa generazione di portali di biblioteche, che ne ha decretato anche il parziale insuccesso, è stato quello di aver focalizzato la propria attenzione più sui contenuti informativi che sulle esigenze di ricerca degli utenti (Cassella 2007). Una seconda generazione di portali sposta l’attenzione sugli utenti, sulla necessità di portare i contenuti informativi verso di loro e di venire incontro alle loro esigenze di ricerca. E’ basata sull’idea di realizzare un’integrazione delle risorse informative, idea che è sostenuta da strumenti detti metasearcher, di ricerca parallela o cross-database searching cioè da software per la ricerca in grado di interrogare diverse fonti quali cataloghi, database bibliografici e non, risorse full text commerciali e locali, siti web selezionati, servizi di indexing e abstracting (Cassella 2007 pag. 6). Al momento della richiesta da parte dell'utente la ricerca viene lanciata su tutte le risorse disponibili e attuata dai motori di ricerca propri delle risorse; i diversi set di risposta vengono poi proposti agli utenti. Come avviene per altri strumenti di metaricerca, metamotori di ricerca, metaopac, client e server Z39.50, i risultati di questo tipo di interrogazioni non sono sufficientemente integrati per soddisfare completamente le aspettative degli utenti (Ridi 2007a pag.202). Un miglioramento in questo senso viene dagli strumenti di ricerca federata grazie ai quali un insieme di risorse diverse è organizzato in un unico contenitore: questo consente di migliorare i metodi di ricerca e la presentazione dei risultati poiché i dati possono essere aggregati, deduplicati, ordinati e si possono fornire migliori servizi all'utente, come il salvataggio di ricerche e bibliografie (Bucchioni-Spinelli 2007 pag. 71). Un ulteriore passo in direzione dell'integrazione delle risorse è realizzato dai servizi di reference linking o linking citazionale […] strumenti capaci, a partire dalle informazioni contenute in una citazione bibliografica su un qualunque servizio web, di arrivare all'oggetto informativo cui essa si riferisce e ad eventuali ulteriori servizi correlati, creando un tessuto di integrazione delle risorse digitali dell'istituzione (Bucchioni-Spinelli 2007 pag. 71). Le prime realizzazioni di questo modello sono state di tipo statico e interno, realizzate includendo nelle citazioni link precalcolati all'interno della collezione del fornitore del servizio o delle collezioni di più partner che avessero sottoscritto accordi preventivi per il linking reciproco, e si sono curate principalmente della relazione tra la citazione e il corrispondente articolo di periodico. Attualmente sta prendendo corpo un modello diverso che vuole estendere le potenzialità della tecnologia per realizzare, partendo dai dati bibliografici, molti altri servizi. Per servizi estesi rispetto a una certa entità bibliografica si intende, ad esempio, il testo pieno dell’articolo citato in una bibliografia o in un database, un record di un altro database che ne contiene un abstract, le informazioni citazionali sull’articolo, sul suo autore, sulla rivista, le biblioteche che ne possiedono una copia cartacea, la recensione del libro citato, le librerie online che ne hanno una copia in catalogo ecc. (Bucchioni-Spinelli 2007 pag. 73). Questo modello può essere definito come dinamico, i link non sono predefiniti ma computati al momento dell’interrogazione, aperto, i link sono scelti e forniti dalla biblioteca o dall’istituzione che gestisce il sistema, integrato, nel senso che integra le collezioni, i database, i cataloghi, le risorse di interesse della biblioteca. La sua realizzazione è possibile grazie all’utilizzo dello schema OpenURL[8] […] un’architettura che prevede una separazione fra la fornitura dei metadati (che deve avvenire da parte della risorsa di partenza, quella che contiene la citazione) e la fornitura dei servizi di linking, che avviene invece da parte di un software “interposto” (il “componente di servizio”, il link resolver, cioè sostanzialmente un “risolutore di OpenURL”), tipicamente gestito dalla biblioteca o dalla sua istituzione, che intercetta i metadati, ed è configurato in modo da interpretarli e fornire in base ad essi uno o più link coerenti per l’intera collezione e sensibili al contesto dell’utente (Bucchioni-Spinelli 2007 pag. 73). Questo modello ha il pregio di riportare al centro dell’attenzione il catalogo della biblioteca, fornendo all’utente un sistema coerente di navigazione fra tutte le risorse possedute o selezionate, locali e remote, sistema attorno al quale si realizzano servizi personalizzati. Inoltre […] restituisce alle biblioteche il loro naturale ruolo di organizzazione, gestione e integrazione delle informazioni e dei servizi, e di mediazione per l’accesso alla conoscenza […](Bucchioni-Spinelli 2007 pag. 75). [1] Il primo catalogo collettivo americano, quello di OCLC, che raggruppava le risorse di 54 biblioteche accademiche dell’Ohio nacque nel 1967. [2] Le norme di catalogazione descrittiva oggi in uso, ISBD (International Standard Bibliographic Description) sono composte da un’unica struttura generale ISBD (G) e da tante norme con essa coerenti applicabili alle singole tipologie di documenti: ISBD(M), lo standard di riferimento per le monografie, ISBD(CR), per i periodici e le altre risorse in continuazione, ISBD(NBM), per il materiale non librario, ISBD(CM) per il materiale cartografico, ISBD(PM), per le opere musicali a stampa, ISBD(A), per il libro antico, ISBD(ER), per le risorse elettroniche. [3] Il formato MARC è in grado di gestire dati di monografie, periodici, parti componenti, libri antichi, partiture musicali, documenti cartografici, immagini, registrazioni audio e video, materiali museali, risorse elettroniche. [4] Un esempio della quantità e qualità degli arricchimenti possibili di un record catalografico è dato, in ambito commerciale e quindi forse non così economicamente vantaggioso come suggerito da Weston, dai servizi offerti da Syndetic Solution <http://www.syndetics.com/>. Una soluzione anche in questo campo può forse venire dalla cooperazione tra biblioteche e dalla interoperabilità dei dati da essi creati o raccolti. Per la segnalazione di opac arricchiti in Italia si veda Frigimelica (Frigimelica 2007). [5] Va ricordato che le diverse agenzie coinvolte nella catena di produzione dei documenti e dell’informazione bibliografica sono fortemente legate a proprie tipologie di metadati (amministrativi, descrittivi, di conservazione, tecnici, di utilizzo (De Robbio 2003 pag. 119). Questi metadati sono specifici di certi ambiti e specializzati su una particolare area di interesse, a volte sono di tipo proprietario: per questo il loro utilizzo apre notevoli problematiche rispetto all’interoperabilità. [6] La crescita della tecnologia moderna e l’alta velocità delle reti significa ora che è possibile separare l’OPAC dal database bibliografico usato dalla biblioteca per gestire il suo posseduto. Nei moderni sistemi di computer è ben sviluppata la capacità di estrarre, muovere, importare grandi quantità di dati, e questo si è associato alla capacità di applicazioni tipo i motori di ricerca di indicizzare in modo efficiente grandi volumi di dati per fornire una potente ricerca e una gestione dei risultati in tempo reale. In questo nuovo contesto, un OPAC non deve necessariamente essere parte dell’ILMS, e di conseguenza, non deve essere limitato dalle funzionalità degli OPAC basati sui tradizionali ILMS. [7] Per una descrizione più precisa delle generazioni di portali e delle loro caratteristiche e per l’indicazione di realizzazioni concrete e di software applicativi si veda Cassella (Cassella 2007). [8] L’OpenURL è uno standard del NISO (The National Information Standards Organization) definito come standard internazionale ANSI Z39.88. Attualmente il mantenimento e lo sviluppo dello standard sono affidati a OCLC. Per le specifiche dello standard si vedano <http://www.niso.org/standards/standard_detail.cfm?std_id=783> e <http://www.oclc.org/research/projects/openurl/default.htm>. |
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