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ISSN: 2283-303X

Dal villaggio a Xanadu e ritorno

La biblioteca come interfaccia reticolare fra sapere locale e globale


Relazione presentata al Convegno "La memoria del sapere in rete", CSELT, Torino, 10 Novembre 1999; pubblicata anche a stampa, in "Technology review", XIII (2000), n. 3, p. 46-53, e (in versione ridotta) in "AEI: rivista ufficiale dell'Associazione Elettrotecnica ed Elettronica Italiana", LXXXVII (2000), n. 7/8, p. 53-59. [*]
di Riccardo Ridi (in linea da dicembre 2000)

Quella in cui viviamo è ormai universalmente nota come la società dell'informazione, ovvero una società in cui il possesso, l'organizzazione, la manipolazione e la trasmissione dell'informazione, in tutte le sue forme, assumono ogni giorno crescente importanza economica, politica e culturale.

Una forte accelerazione al processo è stata impartita dall'avvento dei computer e dalla conseguente progressiva digitalizzazione del docuverso dei documenti disponibili, ma l'ultima spinta è venuta dall'esplosione di Internet, con la sua ben nota struttura reticolare iperpervasiva e la sua valenza comunicativa e quindi potenzialmente aggregativa marcata quanto se non più di quella prettamente informativa e documentaria.

Sempre più spesso si utilizzano termini come elettrosfera o tecnosfera per indicare quella che un tempo era la infosfera o noosfera del mondo conoscitivo (e per alcuni spirituale) umano, contrapposto alla biosfera dei semplici viventi. Sempre più spesso lo spazio informativo creato dalle reti viene vissuto come un reale ciberspazio dagli internauti che lo popolano, lo colonizzano e si sentono cittadini di questo nuovo continente almeno tanto quanto delle città e paesi in cui risiedono fisicamente.[1]

Il concetto di cittadinanza porta necessariamente con sè, fra gli altri, quello di diritti e doveri. Fra questi ultimi uno di cui si parla spesso è il diritto all'informazione, fondamentale perchè tende a coincidere - in una società che fa dell'informazione la propria struttura portante - col diritto alla cittadinanza stessa, e quindi alla possibilità di rivendicare ogni altro ulteriore diritto. Nessuno mai si sogna - a parole - di negare a chicchessia tale fondamentale diritto; ma perchè non si tratti solo di vuote promesse occorrono almeno tre condizioni, tre prerequisiti, indispensabili per poter esercitare davvero tale diritto:

  • localizzazione, ovvero che le risorse informative siano a portata di mano nello spazio e nel tempo;

  • alfabetizzazione, ovvero che siano a portata di mano anche da un punto di vista logico, cioè che siano linguisticamente, culturalmente e tecnologicamente accessibili rispetto alle conoscenze dei soggetti;

  • economicità, ovvero che siano accessibili anche rispetto alle possibilità economiche dei soggetti.[2]

Mi concentrerò in questa sede sui primi due aspetti, con particolare riguardo alle risorse informative disponibili in rete, che presentano - rispetto a fonti più tradizionali - maggiori opportunità, ma anche maggiori rischi.[3]

Non si diventa cittadini del mondo se non si è prima cittadini della propria realtà locale, perchè è solo a livello locale, cioè concreto, che il villaggio globale (l'ennesimo felice ossimoro di McLuhan) può dimostrare di non essere una astrazione e un paradosso ma qualcosa che davvero ci cambia la vita, incarnandosi nel nostro vissuto quotidiano. E' nella biblioteca, nella scuola o nell'ufficio postale di quartiere, e non al Beaubourg o al MIT, che tutti i cittadini devono poter trovare il casello gratuito per accedere all'autostrada informativa mondiale. Le informazioni devono essere a portata di mano davvero, inserendosi nei nostri stili di vita, e non solo in linea di principio, "virtuali" nel peggior senso del termine, accessibili solo con complesse e talvolta costose operazioni burocratiche o tecnologiche.

L'enorme biblioteca virtuale multimediale costituita da Internet dovrebbe essere sempre disponibile sui desktop dei nostri computer gratis (nelle biblioteche reali) o a un costo ragionevole (nelle nostre abitazioni) per poterci cercare di tanto in tanto, in un'ottica realmente ipertestuale, quei riferimenti che di volta in volta ci servono per proseguire il nostro studio, lavoro o hobby.

Invece la tirannia della scarsità di workstation attrezzate nelle biblioteche e l'infamia della tariffa urbana a tempo nelle case ci costringono a concentrare la "finestra" di fruizione, inducendoci a usare Internet come una nuova forma di televisione[4], da accendere per un periodo limitato e dedicato, per "farci un giro", per "vederla", per navigare a casaccio di sito in sito senza essere guidati da nessun reale interesse informativo (come in un nuovo zapping fra canali) o per intrattenerci in altrettanto casuali cicalecci con estranei cui non ci lega nessuna affinità, senza nessun reale interesse comunicativo comune (come in un nuovo "bar sport" da piazza paesana).

Di fronte all'impatto con una utenza remota che entra nelle nostre biblioteche via cavo, spesso priva di quei requisiti che richiediamo invece tassativamente ai nostri utenti in carne ed ossa, rischia di scricchiolare la distinzione fra utenza propria e impropria, se non addirittura quella fra le varie tipologie di biblioteche, almeno dal punto di vista del rapporto con gli utenti. Se già era difficile far capire ai colleghi stranieri la distinzione fra le biblioteche "universitarie" del Ministero dei beni culturali e quelle "delle Università" del relativo Ministero; se già in città-campus come quelle che ospitano molti dei nostri atenei è arduo spiegare a orde di studenti non residenti (ma che costituiscono la metà dei domiciliati complessivi) la distinzione di funzioni e di accessibilità fra biblioteche pubbliche e accademiche; è ora ancora più difficile far capire - in un mondo in cui l'indirizzo elettronico comincia ad essere per alcuni più stabile e affidabile di quello fisico e in cui ci si può innamorare di qualcuno senza conoscerne neanche il sesso - che per poter entrare in biblioteche che sempre più spesso permettono l'accesso alle medesime risorse remote siano necessari requisiti di volta in volta diversi.

I compiti che la Library Association raccomanda per le biblioteche pubbliche riguardo alle risorse in rete potrebbero essere tranquillamente scambiati per quelli che spesso si suppongono riservati a quelle accademiche[5]. Un accesso efficace alle risorse informative elettroniche può essere garantito al cittadino (che è contemporaneamente anche studente, docente, lavoratore, pensionato, ecc.) solo localmente, a livello appunto cittadino, coinvolgendo e facendo collaborare fra loro una molteplicità di soggetti più o meno istituzionali ma tutti fortemente inseriti nei processi informativi, comunicativi e educativi (biblioteche, scuole, università, sportelli informativi per le informazioni di comunità[6], associazioni di volontariato attive sul territorio) ovvero, e non è un caso, tutti i soggetti che per primi hanno popolato le nascenti reti civiche.

Non è però solo quello dell'accesso necessariamente locale alla rete globale il motivo per cui ho collegato, nel titolo di questo intervento, il villaggio (che prima di essere globale è necessariamente locale) e Xanadu[7] (che invece globale lo e' per antonomasia) e quindi i due aspetti solo superficialmente opposti della localizzazione cittadina e della globalizzazione planetaria, ma anche perchè l'ambivalenza tipica di Internet (gratuito in teoria ma elitario nella realtà, potenzialmente anarchico e libertario ma talvolta minacciato da censure impensabili per altri media, multimediale col web e neotestuale con il ritorno alla corrispondenza, per quanto elettronica) si esercita massicciamente anche sulla coppia globale/locale.

Per quanto riguarda più da vicino i bibliotecari, ovvero nella determinazione di quantità e qualità delle fonti informative disponibili, non bisogna dimenticare che a fronte dell'innegabile "imperialismo linguistico" dell'inglese, Internet ha permesso a lingue che stavano per scomparire di sopravvivere permettendo ai pochi parlanti sparsi per il mondo di comunicare, coagularsi in una comunità virtuale e pubblicare dizionari e altri strumenti troppo costosi da distribuire in altri formati.

Lo stesso processo di contrasto logico alla dispersione geografica avviene costantemente, oltre che per le comunità linguistiche, anche per le comunità culturali di soggetti che condividono uno stesso interesse, più o meno accademico; tali comunità paradossalmente si trasformano da virtuali (cioè latenti, potenziali) in reali solo quando la rete telematica mette in contatto i soggetti che, senza saperlo, ne facevano già parte. In entrambi i casi solo grazie a Internet delle minoranze linguistiche o culturali possono sopravvivere in quanto tali, produrre e diffondere documenti che i più tradizionali mezzi di pubblicazione avrebbero inevitabilmente trascurato.

Andiamoci comunque piano però a parlare di globalizzazione. La metà della popolazione mondiale non ha mai usato neanche una volta il telefono, l'Italia è solo al ventesimo posto nel mondo per la densità dei computer e perfino negli Stati Uniti appena un decimo delle famiglie e poco più di metà delle biblioteche pubbliche e scolastiche hanno accesso a Internet.

Le infrastrutture informatiche e telematiche mondiali sono dunque ancora ben lontane da una completa globalizzazione. In Italia poi i problemi (e chissà, forse anche le soluzioni) infrastrutturali generali sovrastano in tale misura quelli specifici dei vari settori da rendere talvolta scettici sulla stessa sensatezza di affrontare questi ultimi. Le statistiche ci dicono, ad esempio, che, laddove non c'è monopolio nel settore delle telecomunicazioni, il costo della connessione a Internet tende a diminuire, mentre laddove tale monopolio sussista tale prezzo resta stabile o addirittura tende ad aumentare. Non c'è bisogno di ricordare in quale gruppo sia troppo a lungo stato il nostro paese.

Fra i maggiori problemi infrastrutturali che si frappongono a una autentica diffusione di massa di Internet, oltre ai costi delle telecomunicazioni, alla scarsa diffusione dei computer e alla inaffidabilità di certi tratti di rete, c'è anche il basso tasso di alfabetizzazione informatica. L'analfabetismo informatico (come del resto quello tradizionale) può essere particolarmente toccante quando colpisce gli strati sociali e culturali più bassi, ma io lo trovo maggiormente preoccupante quando colpisce quelli più alti, perchè proprio questi ultimi costituiscono la nostra classe dirigente e sono i responsabili, più o meno direttamente, della possibilità stessa di diminuire il numero complessivo di quelli che Negroponte suggestivamente chiama electronic homeless, senza casa elettronici.[8]

Al problema dell'analfabetismo informatico, che non riguarda solo le biblioteche, si aggiunge per i bibliotecari anche quello più specifico (antico, ma rinnovato da ogni novità che si affaccia nel mondo dell'informazione, e le novità non sono certo mancate negli ultimi anni), dei confini da assegnare all'ambito informativo proprio della biblioteca, laddove l'ambizione di quest'ultima di allargare la propria sfera all'intero docuverso e financo al confinante e in parte sovrapposto universo della comunicazione, di per sè legittima e per alcuni addirittura doverosa, rischia di rivelarsi velleitaria se perseguita da enti che non espletano in modo soddisfacente neanche i loro compiti più tradizionali.

Utilizziamo un esempio ormai classico. Posta elettronica in biblioteca? Sì, grazie, ma solo se non c'è rischio che utenza e committenza la scambino per un ufficio postale. Nei supermercati ci sono telefoni pubblici e bancomat, ma pochi dubitano sulla funzione primaria di un grande magazzino. Prima di tutto occorre essere e apparire una biblioteca, poi, in più, può venire tutto il resto.[9] E lo stesso vale per scuole, uffici postali, case editrici, librerie, ecc. A ciascuno il suo ruolo, anche se è sempre più difficile identificarlo e difenderlo.

Nell'emergente paradigma della "pubblicazione" in rete,[10] che affianca e influenza, senza pretesa di soppiantarla, l'editoria cartacea e quella - più recente ma tutto sommato ancora "tradizionale" - su supporti elettronici portatili (cd-rom, floppy, ecc.), la canonica catena documentaria, prima relativamente lineare (si fa per dire, trattandosi di un circolo), si complica e si trasfigura, permettendo ad ogni soggetto in gioco (autore, redattore, consulente scientifico, correttore di bozze, editore, grafico, pubblicitario, distributore, servizio di indicizzazione e abstracting,[11] recensore, bibliotecario, libraio, lettore, ecc.) di abbandonare la posizione diligentemente mantenuta per secoli e di entrare in rapporto diretto con qualsiasi altro soggetto, scavalcando, sostituendo e accorpando funzioni che erano tradizionalmente riservate ad altri, configurando la nuova catena documentaria come una vera e propria rete ipertestuale.

L'evoluzione reticolare del desktop publishing che elimina gli intermediari e permette ad ognuno di essere editore di se stesso, pubblicando in rete da soli sulle proprie pagine web i propri documenti o repertori di altri documenti disponibili a loro volta in rete viene vista da molti con un certo sospetto. Si parla spesso, a questo proposito, di un caso estremo di "disintermediazione", alludendo alla eliminazione (o attenuazione) in ambiente elettronico reticolare di tutte o alcune delle figure che tradizionalmente fanno da filtro fra autore e lettore.

E' indubbia la forte valenza informativa, comunicativa e democratica del nuovo paradigma, ma ci sono senz'altro anche grossi rischi di perdita di qualità. Se il mezzo viene utilizzato solo perchè esiste, senza avere un messaggio da veicolare (ennesima variazione su "il mezzo è il messaggio" di McLuhan) l'inevitabile esito è l'inquinamento informativo. Il risultato sono milioni di futili homepage personali con foto dei propri figli e animali domestici, l'elenco dei propri hobby e link ai siti dei propri idoli, di valore esclusivamente sociologico: un autentico "grado zero" dell'informazione. D'altronde esistono anche homepage private di notevole valore documentario (che fungono da virtual reference desk specializzati o che mettono a disposizione dati altrimenti irraggiungibili) o che comunque forniscono informazioni (e non semplicemente gusti e preferenze) relative ai loro titolari.

Alle varie figure professionali che tradizionalmente assolvevano la funzione di filtro qualitativo - fra cui, non ultimi, i bibliotecari - non basterà pero, per salvarsi, additare il rischio dell'information overload e dell'inquinamento informativo. Dovranno invece rimboccarsi le mani, affrontare coraggiosamente il nuovo ambiente documentario e dimostrare, se ne saranno capaci, che i loro servigi sono ancora utili e meritano una ricompensa dal mercato o dalla società.

In un'epoca che non si riconosce più in nessun valore assoluto (nè teoretico, nè morale) ed è quindi priva di punti di riferimento sostanziali, in un'epoca in cui il modello culturale dominante è quello reticolare, rizomatico, ipertestuale, acentrato o comunque policentrico e per alcuni addirittura politeistico, in un'epoca come quella in cui viviamo, strumenti d'ordine formali come quelli che bibliotecari e documentalisti sono abituati a maneggiare professionalmente acquistano, opportunamente aggiornati, enorme importanza e si candidano a ricevere un forte apprezzamento culturale e sociale.

Le antiche enciclopedie che pretendevano di cogliere l'essenza del reale si aprivano con la teologia o la metafisica (e più tardi, nell'ultimo, vano e attardato, tentativo neopositivista, con la fisica), oggi l'Enciclopedia europea Garzanti, che non pretende di cogliere nessunissima essenza, si chiude con un volume di bibliografie, significativamente aperto da una premessa che parla del ruolo della bibliografia come "macchina enciclopedica" e da una sezione zero dedicata a Biblioteche, archivi, ricerca bibliografica.

Sarebbe forte la tentazione di incoronare la scienza dell'informazione erede postmoderna di metafisica e teologia o di attribuire al bibliotecario digitale del 2000 il ruolo di unico depositario contemporaneo dell'ideale enciclopedista, ma - anche rimanendo coi piedi per terra o, per continuare ad essere alla moda, sul Web - è innegabile che i virtual reference desk generali disponibili in rete includono sempre una grossa percentuale di ciò che potrebbe essere (e spesso è) incluso in analoghi punti di riferimento specializzati in scienza dell'informazione. Analogamente, nei website delle università americane i link ai motori di ricerca sono sempre nei pressi, o addirittura dentro, lo spazio dedicato alla biblioteca.

Ma il tempo corre sempre più in fretta. Se nel 1993 c'era ancora chi prevedeva che "mentre la comunicazione digitale è in corso di formazione, i bibliotecari hanno opportunità senza precedenti di accampare i propri diritti su territori interamente nuovi, ma se non lo faranno, ci saranno altri gruppi che se ne prenderanno la responsabilità"[12], nel 1997 c'era già chi tirava un bilancio e concludeva che "molti pensano che sia già troppo tardi perchè i bibliotecari accampino i loro diritti, che la WEBolution (un nuovo termine coniato per suggerire che il Web ha assunto il controllo dell'industria informativa ed è diventatlo lo standard) sia già avvenuta e che i bibliotecari siano stati disintermediati".[13]

Volevamo essere gli intermediari per eccellenza e invece saremmo già stati disintermediati? Io credo che abbiamo davanti a noi ancora un po' di tempo prima di essere rottamati, non per nostri particolari meriti, ma perchè il trend generale verso la disintermediazione è in realtà uno slogan semplicistico che non condivido. Se da un circolo documentario si passa a una rete documentaria ipertestuale, i percorsi possono accorciarsi, certo, ma possono anche allungarsi o addirittura girare a vuoto o finire nel nulla. Se da un canone del sapere si passa a una rete di saperi intrecciati fra loro, ci sarà più bisogno di prima di aiuti all'orientamento e all'alfabetizzazione informativa.

Il passaggio al modello (culturale e telematico) della Rete non conduce alla dis-intermediazione, ma porta piuttosto verso la iper-intermediazione (che include anche, come caso limite particolare, la mediazione di livello zero) perchè aumentando i percorsi informativi, comunicativi e documentari possibili, aumentano in proporzione anche le possibilità di scelta e il bisogno di una molteplicità di punti di vista[14] da cui affrontare i problemi cognitivi e di criteri con cui ordinare il docuverso. "In un mondo di pressochè infinite scelte, l'informazione relativa alle scelte ha più valore delle scelte stesse."[15]

Se al "cortocircuito" della dis- o iper- intermediazione si aggiunge quello che, in rete, tende a rendere più sfumato e complesso quel rapporto fra bibliografia, catalogo e collezione che costituiva un fondamentale presupposto, più o meno esplicitato, dell'antico "ordine dei libri",[16] si capirà come il cosiddetto information overload[17] (sovraccarico informativo) di cui spesso ci si lamenta sia imputabile al disorientamento per la scomparsa degli abituali punti di riferimento del paesaggio editoriale e documentario almeno quanto alla pura massa quantitativa (spesso sopravvalutata) di informazione digitale che ci viene quotidianamente somministrata e che va ad aggiungersi a quella (spesso sottovalutata) che si è accumulata nel corso dei secoli in formato cartaceo o comunque analogico.

Vaporwave ed esagerazioni a parte, è comunque vero che su Internet c'è (e ci sarà sempre di più) una gran quantità di informazione scarsamente strutturata che deve essere filtrata e organizzata per poter essere utilizzata proficuamente. Al di là delle aspettative riposte, probabilmente con eccessiva fiducia, nelle mirabolanti imprese degli ultimi ritrovati tecnologici come i motori di ricerca e gli agenti intelligenti,[18] resterà a lungo (probabilmente per sempre) necessaria in tale ambito qualche forma di intervento umano.

Non è affatto pacifico che tale intervento sia quello del bibliotecario, sia pure etichettato con le più aggiornate ed accattivanti denominazioni di information broker, specialista o professionista dell'informazione, se non addirittura cybrarian. Sono molti, infatti, i soggetti professionali (editori tradizionali, elettronici o delle telecomunicazioni, distributori, informatici, insegnanti, giornalisti, addetti stampa, bibliotecari, documentalisti, ecc.) che si autocandidano al ruolo, probabilmente sempre più cruciale (e forse redditizio) di filtratori e organizzatori dell'informazione elettronica.

Ciascuno cerca di portare acqua al proprio mulino e io (che di mestiere faccio il bibliotecario e il formatore di bibliotecari) non sarò da meno, ricordando che i due momenti chiave di ogni tipo di "filtraggio informativo", che possono essere agevolmente individuati nella coppia indexing & reference, costituiscono da sempre l'essenza stessa del nostro lavoro, laddove per le altre figure professionali sono solo (ed eventualmente) strumenti di lavoro supplementari, aggiunti talvolta frettolosamente al proprio bagaglio professionale, che mantiene il proprio epicentro nell'ambito di attività toto caelo differenti.[19]

D'altronde indicizzazione e reference, entrambi intesi in senso amplissimo, sono in fondo da sempre le strade maestre attraverso cui l'autore riesce a far pervenire al lettore il suo testo, anche quando ciò non appare evidente a prima vista. Cosa altro è infatti se non una forma di blanda indicizzazione il disporre i libri nelle vetrine e sugli scaffali di una libreria in un modo invece che in un altro? E cosa sono se non forme sui generis di reference le recensioni, i consigli dei librai e degli amici e la stessa pubblicità?

Si fa un gran parlare dell'enorme massa di informazione elettronica disponibile in rete, ma - a voler essere realistici - la quantità di dati disponibili oggi (perchè "domani è un altro giorno") su Internet è ancora lontana dal poter essere paragonata a quella racchiusa nelle pagine dei libri conservati - mettiamo - alla Library of Congress,[20] che pure è solo una, per quanto la maggiore, dei milioni di biblioteche disseminate sul pianeta. Ma allora, perchè non assegnare il compito di tenere in ordine il ciberspazio agli stessi professionisti che, senza farsi sopraffare da information overload o altri malesseri, tengono in ordine[21] da secoli lo spazio informativo gutenberghiano?

Un altro forte elemento di spaesamento provocato dalla globalizzazione dell'orizzonte informativo introdotta dalle reti è la sensazione di perdita (o, almeno, di indebolimento) della propria collocazione e identità all'interno dell'universo documentario. Se ogni volta che mi collego con la mia password al mio account e alla mia casella e-mail da un qualsiasi terminale dislocato in un qualsiasi angolo della terra io sono - dal punto di vista informativo - nello stesso luogo, e se chiunque facesse lo stesso coinciderebbe - sempre dal punto di vista informativo - con me per tutta la durata del collegamento, allora si può capire perchè ciò su cui molti consumatori di informazione hanno bisogno di essere rassicurati è il loro hic et nunc, la loro irriducibile specificità informativa.

Anche da questo punto di vista il bibliotecario è l'uomo giusto per il compito giusto, perchè da sempre abituato a trattare l'informazione tagliandola (sia a livello di reference che di indicizzazione) per i propri utenti e non per altri. Anzi, proprio quando si dimentica questo fondamentale aspetto della professione il bibliotecario rischia di scivolare in altre figure professionali (ad esempio quando cataloga come se stesse realizzando una bibliografia o quando scrive una guida alla biblioteca come se si trattasse di un saggio storico). Il buon bibliotecario cataloga e fa reference service[22] per il suo pubblico, e non per un pubblico astratto indifferenziato, esattamente come dovrebbe fare un buon insegnante o un buon negoziante e diversamente da come possono fare la grande distribuzione e l'educazione di massa e molti degli altri soggetti concorrenti per il ruolo di filtro informativo.

Ma il bibliotecario è anche bibliografo (c'è chi direbbe soprattutto bibliografo) e sa che il mondo documentario non finisce con le mura della propria, sempre piccola, biblioteca. Già il bibliotecario "cartaceo" per catalogare e fornire informazioni utilizza il proprio catalogo ma anche bibliografie, repertori e cataloghi altrui, e il bibliotecario virtuale, il cybrarian, prosegue ancora più speditamente su questa via.

Ecco che allora solo il bibliotecario assomma tutte le caratteristiche indispensabili per candidarsi autorevolmente come figura centrale di riferimento per quel compito di organizzazione dell'informazione elettronica reticolare che può comunque ricevere contributi importanti (e possibilmente collaborativi) anche da altri soggetti professionali, e che il luogo fisico e logico in cui il bibliotecario opera - la biblioteca - può essere il luogo privilegiato in cui si saldano piccola e grande distribuzione informativa, microcosmo e macrocosmo bibliografico, localizzazione e globalizzazione documentaria, rete civica e Internet.

La scholar workstation o il poste de lecture assistée par ordinateur dello studioso che dal personal multimediale messogli a disposizione in biblioteca potrà rintracciare, manipolare, riorganizzare dati provenienti da fonti elettroniche locali e remote per integrarle nel proprio lavoro, che potrà essere ultimato, stampato e distribuito elettronicamente senza doversi mai alzare dalla sedia, sarà un importante risultato, ancora però lontano in biblioteche dove gli utenti (e talvolta lo staff) fanno la coda davanti ai pochi terminali in bianco e nero disponibili, talvolta perfino privi di stampante. E' importante arrivare, ma lo è anche l'ordine delle tappe.

Quelli che man mano si presentano non sono sempre nuovi problemi, bensì spesso solo nuove forme di antichi problemi. Già con l'introduzione in biblioteca dei primi personal per la consultazione dell'OPAC locale, tutti saremmo stati ben lieti che fossero stati utilizzati da bibliotecari e utenti anche per la videoscrittura, ma ciò non è stato in genere possibile finchè non sono arrivati ulteriori PC. Credo che tutti concordino nell'opportunità di dotare ogni biblioteca di un punto di ristoro, un bagno e uno o più telefoni a disposizione del pubblico, ma credo anche che tutti sarebbero perplessi se essi non fossero disponibili anche per lo staff, oppure se si scoprisse che una quota significativa degli utenti si reca in biblioteca solo per poter usufruire di tali servizi, che noi bibliotecari riteniamo accessori. In ogni caso non si tratta di demonizzare od ostracizzare, ma di stabilire delle scale di priorità.

Un altro problema da non sottovalutare nel tracciare i limiti dei servizi telematici da mettere a disposizione degli utenti, nasce dal fatto che in un ambiente altamente ipertestuale come Internet i confini fra scrittura e lettura tendono a farsi labili ovvero che, più banalmente, la posta elettronica serve non solo a leggere ma anche a scrivere messaggi. In questo contesto come si colloca la posizione del bibliotecario di fronte ai diritti e ai doveri di informazione e di espressione degli utenti? Se ormai dovrebbe essere pacifico che il bibliotecario non debba imporre nessun tipo di censura, esplicita o implicita, alle letture degli utenti, quale dovrà essere la sua posizione di fronte a una sfera da cui era invece tradizionalmente restato distante come quella dell'eventuale censura su ciò che l'utente scrive?

Un alto funzionario della Telecom tedesca, a proposito delle recenti polemiche sulla pornografia diffusa in rete, ha spiegato con estrema chiarezza che così come le poste non si sognano neppure di controllare cosa è contenuto in ogni singola lettera recapitata (il che sarebbe oltretutto lesivo dei diritti di mittente e destinatario) allo stesso modo i gestori delle reti telefoniche e telematiche non devono assolutamente occuparsi di cosa viene trasmesso, comunicato, diffuso o pubblicato attraverso tali reti.

La posizione è chiara, netta e - per quanto mi riguarda - ampiamente condivisibile, sebbene in Italia non venga considerata ugualmente degna di rispetto se espressa non da alti burocrati ma da giovani neo-hippy gestori di BBS, ma - tornando a noi - come si comporteranno i bibliotecari? Si faranno scavalcare dai sysop sul fronte della difesa dei diritti informativi e comunicativi abbandonando completamente le postazioni Internet agli utenti, come se fossero telefoni pubblici, rischiando di trasformare la biblioteca nell'ennesimo cybercafè,[23] oppure svolgeranno anche in questo settore il loro secolare ruolo di filtro, rischiando l'accusa di repressione e tornando all'epoca buia in cui i libri "di amena lettura" venivano esclusi dal prestito?

Alle nuove tecnologie informative i bibliotecari sono debitori, oltre che di una enorme massa di dati supplementari e di mille nuove modalità di fruizione degli stessi da garantire agli utenti, di un indiretto chiarimento sulla natura del loro lavoro, a lungo reso meno leggibile dal predominio del libro e del periodico a stampa.

Una volta sgombrato l'equivoco sul rapporto fra libro e bibliotecario (non tutto ciò che riguarda il libro è professionalmente rilevante per il bibliotecario: ci sono ad esempio anche gli editori, i librai, i rilegatori, e gli studiosi di legature, dell'editoria, del mercato librario, ecc.) dobbiamo stare attenti a non ripetere lo stesso errore, aggiornato, credendo che tutto ciò che riguarda l'informazione (da qualsivoglia supporto sia veicolata) sia pane per i nostri denti. Nostro obiettivo è mettere in contatto utente e informazione, non fornire o addirittura sostituire l'informazione. Una ipotetica mente onniscente capace di rispondere istantaneamente a qualsiasi quesito senza dover consultare alcuna fonte, sarebbe il perfetto reference librarian o non sarebbe affatto un bibliotecario? Personalmente propendo per la seconda ipotesi e caso mai paragonerei tale mostro a un perfetto database, perchè "ciò che distingue una relazione bibliotecaria da una non bibliotecaria è la possibilità di consultare le fonti di informazione, anche se è conosciuta la risposta al quesito".[24]

L'alfabetizzazione informatica è all'ordine del giorno per la nostra professione perchè ormai indispensabile in ugual modo a utenti e addetti ai lavori per poter utilizzare le enormi masse di dati in formato elettronico di cui poc'anzi, ma è anche un obiettivo da raggiungere per tutti, perchè senza di essa non si accede alle reti telematiche, dove si esercitano i diritti e i doveri della cittadinanza del futuro, che sarà telematica o non sarà affatto. Ma un livello minimo di conoscenza delle tecniche di utilizzo dei computer e delle reti non basta nè a noi bibliotecari, nè ai nostri utenti, nè più in generale al cittadino.

Tale alfabetizzazione, che non deve essere impartita da bibliotecari e documentalisti ma ad altri soggetti (scuola, università, ecc.) è solo una premessa, per quanto indispensabile. Per poter fruire pienamente dei propri diritti di cittadino dell'odierna società dell'informazione, sempre più innervata dalle reti telematiche, non basta saper smanettare sul computer, non basta poter accedere fisicamente a Internet, proprio così come prima non bastava saper semplicemente leggere e scrivere. Alle reti bisogna accedere consapevolmente, sapendo cioè cosa cerchiamo, come cercarlo, come valutarlo e come utilizzarlo.

Le reti sono, dal punto di vista logico, un puro spazio informativo (ovvero un ciberspazio) che rende prioritario per chi vuole abitarlo, al di là di una banale alfabetizzazione informatica, impossessarsi quanto prima di una alfabetizzazione informativa, erede della più ristretta alfabetizzazione bibliografica[25], a sua volta nata come estensione del concetto di istruzione all'uso della biblioteca, intesa come "macchina informativa" complessiva; tutti concetti - questi sì - di nostra competenza e nel cui insegnamento saremo sempre più coinvolti.[26]

Alla base della alfabetizzazione informativa c'è prima di tutto e al di là delle varie definizioni che se ne possono dare, la stessa idea che fondava l'alfabetizzazione bibliografica, ovvero sapere che per trovare delle informazioni occorre che qualcuno le abbia prima ordinate in qualche modo e che conoscere tale logica è fondamentale anche per chi poi dovrà ricercarle. Il passo successivo è iniziare ad esplorare almeno i principali metodi utilizzati a questo fine, senza illudersi che la mera potenza di calcolo dei cosiddetti motori di ricerca o dei futuri marchingegni informatici che li sostituiranno possa esimerci dall'affrontare faticosamente in proprio tale compito.[27]

Ogni giorno giovani che sono passati intatti da anni di scuola senza essere mai stati sfiorati, se non marginalmente, dal problema della differenza fra un ordinamento alfabetico e uno sistematico, lo affrontano, magari inconsapevolmente e grossolanamente, interrogando Yahoo o Altavista. Non perdiamo questa occasione per eccesso di paternalismo (perdendo tempo a spiegare come si formatta un floppy o si impugna il mouse) o per difetto di apertura mentale (snobbando Internet come una moda effimera), ma approfittiamo di questo momento di curiosità per ciò di cui da sempre (sotto forme appena diverse) ci occupiamo per fornire una istruzione che potrà poi essere spesa anche sui più tradizionali strumenti cartacei.

Concludendo, la cittadinanza mondiale passa oggi da quella telematica, per accedere alla quale occorre una alfabetizzazione sia informatica che informativa.[28] Entrambe (ma solo la seconda è di competenza dei bibliotecari, figure centrali per ogni progetto di organizzazione e filtraggio dell'informazione) possono essere conquistate solo localmente, a livello cittadino, coinvolgendo altri soggetti oltre alle biblioteche. L'alfabetizzazione informativa è ciò che è indispensabile per rendere fertile sia l'alfabetizzazione informatica che la cittadinanza telematica, facendo da ponte fra questi due concetti che giocheranno un ruolo sempre più cruciale nella nostra società.


NOTE:

[*] La relazione riprende e riassembla liberamente i seguenti testi dell'autore:

  • Alfabetizzazione informativa e cittadinanza telematica. Le risorse informative in rete fra globalizzazione planetaria e localizzazione metropolitana, in: La biblioteca, il cittadino, la città, atti del XLII Congresso nazionale dell'Associazione italiana biblioteche, Trieste, 27-28-29 novembre 1996, a cura di Romano Vecchiet, Roma, AIB, 1998, p. 96-107;
  • Il ruolo del bibliotecario nella società dell'informazione elettronica reticolare, in: Associazione italiana biblioteche. Sezione Sardegna, Il futuro è arrivato troppo presto? Internet, biblioteche ed accesso alle risorse informative, convegno di studi, Cagliari, 14-15 novembre 1996, a cura di Pasquale Mascia e Beniamino Orrù, Roma, AIB, 1997, p. 51-57;
  • Dal canone alla rete: il ruolo del bibliotecario nell'organizzazione del sapere digitale, "Biblioteche oggi", XVI (1998), n. 5, p. 12-19, oppure in: Bibliotecario nel 2000. Come cambia la professione nell'era digitale, atti del convegno di "Biblioteche oggi", Milano, 12-13 Marzo 1998, a cura di Ornella Foglieni, Milano, Editrice Bibliografica, 1999, p. 62-76.
[1]"The Internet has transformed the physical citizens of a modern society into the disembodied netizens of a post-modern cybercommunity, as some hackers like to say. The jargon may be a bit extravagant but the changes are almost tangible", Luciano Floridi, The Internet: which future for organised knowledge, Frankenstein or Pygmalion?, "The electronic library", XIV (1996), n. 1, p. 43-52, oppure <http://www.ucet.ufl.edu/~true/1101/floridi/>. Si può ben perdonare agli hacker il loro linguaggio un po' stravagante, visto che filosofi accademicamente più che accreditati non sono da meno, spingendosi ad affermare che "le banche dati [...] rappresentano la 'natura' per l'umanità postmoderna", Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, traduzione di Carlo Formenti, Milano, Feltrinelli, 19937, p. 94 (La condition postmoderne, Paris, Les éditions de minuit, 1979).

[2] Le tre condizioni potrebbero essere riassunte nella necessità della accessibilità spaziale, temporale, logica ed economica, ovvero nella presenza delle fonti informative all'interno dello spazio geometrico, temporale, logico ed economico del soggetto.

[3] Particolarmente attento a tutta la sfera di problemi cui si accenna in questo intervento è, in Italia, il trimestrale Telèma, pubblicato dalla fondazione Ugo Bordoni, diretto da Ignazio Contu e disponibile anche in rete presso <http://www.fub.it/telema/>, il cui sottotitolo attualità e futuro della società multimediale paga un piccolo tributo a un termine (multimediale) di gran moda ma in questo caso non centratissimo, che potrebbe essere sostituito coi più appropriati telematica o reticolare.

[4] Si parla di portare Internet dentro la TV, per toglierla all'elite che ha familiarità coi computer e permettere alle oceaniche masse televisive l'accesso all'autostrada elettronica. Ma una rete che non consenta da una parte di scaricare e archiviare informazioni e dall'altra di scrivere, parlare, comunicare, fornire il proprio contributo informativo, non sarebbe Internet, ma la paventata televisione con 50.000 canali, ovvero non una rivoluzione ma la normalizzazione. Se invece con le TV del futuro si potranno fare tutte queste cose, allora significherà che considerazioni di marketing avranno indotto industrie e negozianti a chiamare TV i prossimi computer, e non potremo che rallegrarci di come finalmente le masse saranno interessate a leggere e scrivere (e calcolare, archiviare, indicizzare, disegnare, suonare, ecc.) e non solo a farsi passivamente ipnotizzare.

[5] Cfr. Library Association, Information superhighways: library & information services and the Internet, "The electronic library", XIII (1995), n. 6, p. 547-550, che si occupa anche delle altre tipologie di biblioteche. Sullo stesso tema si può vedere anche l'analogo pronunciamento dei bibliotecari americani: American Library Association, Access to electronic information, services and networks. An interpretation of the Library bill of rights, "Microcomputers for information management", XII (1995), n. 4, p. 301-304.

[6] Sul concetto di community information nel mondo anglosassone e su un esperimento di suo adattamento alla realtà italiana si può vedere Daniele Danesi e Silvia Ermini, L'informazione di comunità: un servizio da scoprire. Le ipotesi di lavoro della biblioteca di Scandicci, "Biblioteche oggi", II (1984), n. 2, p. 23-35. Questo tipo di servizio, che non ha mai avuto una grande fortuna nel nostro paese, potrebbe trovare nelle reti civiche un terreno ideale per attecchire in diversa forma, benchè i risultati siano per ora alterni, anche perchè col termine "rete civica" vengono spesso indicati progetti dalle finalità più disparate; cfr. Lorenzo Fratti, Cento reti per cento città, "Inter.net", II (1996), n. 14, p. 24-29 e Claudio Leombroni e Igino Poggiali, Biblioteche e reti civiche: un'alleanza per la libertà, "Bollettino AIB", XXXVI (1996), n. 3, p. 291-306.

[7] "Il progetto Xanadu di Theodor Holm Nelson, da 35 anni annunciato come imminente e da altrettanti rimandato a un futuro che si fa sempre più remoto, avrebbe dovuto sostituire completamente ogni altro genere di pubblicazione e archiviazione (perfino casalinga) ospitando su una miriade di calcolatori collegati in rete planetaria l'intera globalità dei documenti esistenti, anche i più effimeri e personali, protetti dagli sguardi altrui finchè l'autore non avesse deciso di renderli pubblici, cioè disponibili sull'intera rete. Da qualsiasi documento si sarebbe potuti passare a qualsiasi altro, seguendo qualsiasi tipo di associazione. La scrittura sarebbe avvenuta direttamente sul sistema, che avrebbe conservato ogni successiva versione del testo e che avrebbe permesso di citare qualsiasi altro documento presente sulla rete semplicemente aprendo una finestra su di esso" Riccardo Ridi, Internet in biblioteca, Milano, Editrice bibliografica, 1996, p. 131-132. Cfr. anche Theodor Holm Nelson, Literary machines 90.1. Il progetto Xanadu., Padova, Franco Muzzio Editore, 1992 e Riccardo Ridi, Xanadu: l'ipertesto globale fra utopia e realtà in: Università: quale biblioteca? Atti del seminario-dibattito, a cura di Rodolfo Taiani, Trento, Università degli studi di Trento, 1995, p. 153-161.

[8] Non è grave se una matricola ha poca dimestichezza coi computer, perchè proprio all'università, quanto meno al momento di dover scrivere la tesi, essa dovrebbe entrare in contatto con l'informatica (chiudiamo pietosamente gli occhi - in questa sede - sulla telematica, rispetto a cui addirittura abissali sono le sperequazioni fra ateneo e ateneo sul fronte dei diritti all'accesso alle reti), ponendosi quanto meno il problema della relativa "battitura", domandandosi (e spero rispondendosi positivamente) se vale la pena comprarsi (a sue spese, naturalmente) un computer e imparare un po' di videoscrittura. Assai più grave è invece se il suo professore, che spesso potrebbe farsi comprare un personal a spese del proprio ateneo rifiuta ostinatamente anche solo di avvicinarsi a qualsiasi oggetto che somigli a un computer, perchè sarà lui - e non lo studente - a stabilire curricula formativi, investimenti economici e politiche di sviluppo che plasmeranno la vita futura della società.

[9] Presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma c'è qualcosa in più di un bancomat: c'è addirittura una intera filiale di banca, ma le dimensioni relative della filiale (minuscola) e della biblioteca (gigantesca) e il fatto che le operazioni bancarie siano consentite solo allo staff riducono radicalmente i rischi di equivoco. Quante altre biblioteche potrebbero permetterselo senza rischiare di essere percepite come "la biblioteca della banca"?

[10] Cfr. almeno Networked scholarly publishing, Frederick Wilfrid Lancaster issue editor, "Library trends", XLIII (1995), 4 e Charles W. Bailey Jr., Network-based electronic publishing of scholarly works: a selective bibliography, version 27, October 1999, <http://info.lib.uh.edu/sepb/sepb.html>.

[11] Già l'avvento delle banche dati in linea, con le loro funzioni di indexing e abstracting ma anche talvolta di accesso full-text ai documenti aveva dato una forte spallata all'assetto consolidato di tale catena; cfr. T. M. Aitchison, The database producer in the information chain, "Journal of information science", XIV (1988), p. 319-327. Cfr. anche Deborah Lynne Wiley, From print to Internet... Can the traditional abstracting and indexing services survive?, "Database", XVII (1994), 6, p. 18-24.

[12] Karen M. Drabenstott, Analytical review of the library of the future, with the research assistance of Celeste M. Burman, February, <http://www.eff.org/pub/GII_NII/Regional_rural_edu/library_future.review>,1993, c. 12.4, p. 225. capitolo 12.4, p. 225, traduzione mia.

[13] Gillian M. MCCOMBS, WEBolution: rethinking the technical services knowledge base and culture in a Web-based information environment, "Cataloging and classification quarterly", XXIV (1997), 1/2, p. 129-140, traduzione mia.

[14] Anche gli aspetti normativi e valutativi, spesso connessi al concetto di canone, possono essere trattati come archivi di valutazioni indipendenti dai documenti valutati, in modo che l'utente possa liberamente scegliere di volta in volta a quali fonti rivolgersi per ottenere giudizi estetici, morali, ecc. sui documenti rintracciati o da rintracciare. Il tema, già presente nel progetto Xanadu, è tornato d'attualità con la Platform for Internet Content Selection (PICS).

[15] Chip Bayers, The great Web wipeout. The World Wide Web drowns in a sea of red ink, "Wired", 4.04, p. 126-128.

[16] Roger Chartier, L'ordine dei libri, traduzione di Margherita Botto, Milano, Il Saggiatore, 1994, p. 75-101 (L'ordre des livres. Lecteures, auteurs, bibliothèques en Europe entre XIV et XVIII siècle, Aix-en-Provence, Alinea, 1992).

[17] Cfr. Samuel D. Neill, The dilemma of information overload: managing in the information society, sesto capitolo (p. 99-122) del suo Dilemmas in the study of information. Exploring the boundaries of information science, New York - Westport - London, Greenwood press, 1992.

[18] Cfr. Jaron Lanier, My problem with agents, "Wired", IV (1996), 11, p. 157-158, che sottolinea i pericoli di impoverimento cognitivo e di passività sociale che potrebbero nascere dall'affidare a del software scelte fondamentali come quelle informative.

[19] Stuart Hannabuss - Jane Barford - Fiona Campbell, Intellectual convergence in a mass communication course for librarians and publisher, "Journal of librarianship and information science", XXVII (1995), 2, p. 67-76, sottolinea le notevoli convergenze professionali che tuttavia sussistono fra bibliotecari, giornalisti, editori e operatori delle telecomunicazioni e il loro influsso sulla didattica di tali attività.

[20] Neanche i più entusiasti fautori della biblioteca elettronica prevedono che il suo enorme patrimonio possa essere digitalizzato, anche solo per metà, prima di alcuni decenni; cfr. The future of libraries, "Wired", III (1995), 12, p. 68.

[21] Ordine molto relativo, vista l'utopicità - anche in ambito cartaceo - del controllo bibliografico universale e della altrettanto poco universale disponibilità delle pubblicazioni, ma i veri professionisti si riconoscono anche perchè non fanno promesse fantascientifiche che non sono in grado di mantenere.

[22] E loro ibridazioni, come la distribuzione selettiva dell'informazione, che pur essendo tradizionalmente collocata fra i servizi "al pubblico" ha alle spalle una buona indicizzazione sia dei documenti che degli interessi degli utenti.

[23] Dove, nonostante la sovraesposizione mediatica del web, l'attività di rete prevalente sembra sia il chatting più futile. D'altronde, se uno un interesse informativo proprio non ce l'ha, non se lo può inventare dal nulla solo perchè Altavista (o una enciclopedia, o un bibliotecario) glielo potrebbe soddisfare. In fondo non necessariamente la soddisfazione di un bisogno, che indica carenza ontologica, è sempre preferibile all'assenza del bisogno stesso.

[24] Carla Leonardi, Il reference in biblioteca: guida ai servizi d'informazione, Milano: Editrice Bibliografica, 1995.

[25] "Information literacy is a broader concept than bibliographic instruction. [...] Information literacy is meant to prepare people for lifelong self-education in a global, electronic environment; it extends beyond the library by preparing people to handle information effectively in any given situation" Hannelore B. Rader, Bibliographic instruction or information literacy, "College & research libraries", LI (1990), n. 1, p. 18-19 (19).

[26] "Information technologies imply fundamental changes in the librarian's profession. The teaching role of the librarian will dominate in a digital library, to create and suppport a new culture of information literacy" Peter Lyman, The library of the (not so distant) future, "Change", January/February 1991, p. 40. "The teaching of information literacy is a combined librarianship and educational issue that requires a partnership between the two disciplines", Shirley J. Behrens, A conceptual analysis and historical overview of information literacy, "College & research libraries", LV (1994), n. 4, p. 309-322 (316).

[27] Cfr. Michael Perkins, Bibliographic instruction? More than ever!, "The journal of academic librarianship", XXII (1996), n. 3, p. 212-213.

[28] "Information literacy will enable people to gain personal and national empowerment. It will help citizens obtain necessary survival skills to become productive members of society" H. B. Rader, From library orientation to information literacy: 20 years of hard work, op. cit., p. 26. "Information literacy is a prerequisite for active, responsible citizenship", S. J. Behrens, op. cit., p. 316.


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