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ISSN: 2283-303X

L'informatica in biblioteca, il libro in mediateca. Conflitti o integrazioni?

a proposito del convegno di "Biblioteche oggi" Biblioteca e nuovi linguaggi. Come cambiano i servizi bibliotecari nella prospettiva multimediale, Milano, 13-14 Marzo 1997


pubblicato anche a stampa, in "Italia contemporanea", n. 207 (giugno 1997), p. 421-424.
di Paolo Giovannetti (in linea da settembre 1997)

Che cosa possono avere in comune le biblioteche universitarie della Baviera con la forza-lavoro intellettuale meno qualificata delle Filippine? Che cosa può mettere in comunicazione tra loro le più raffinate procedure di scanning e di riconversione catalografica, e l'indigente manodopera del Sud del mondo? Assolutamente nulla, almeno all'apparenza. Eppure, fra le pieghe d'un interessante convegno svoltosi a Milano il 13 e il 14 marzo di quest'anno ("Biblioteca e nuovi linguaggi", organizzato dalla Regione Lombardia, dalla Provincia di Milano e da "Biblioteche oggi") abbiamo potuto scoprire, fra le molte altre cose, che quel nesso esiste, eccome: che quelle due realtà sono interdipendenti, e che le esigenze di informatizzazione proprie di un'attrezzata rete bibliotecaria mitteleuropea possono incontrarsi con le esigenze di mera sopravvivenza delle popolazioni asiatiche. Le cose si svolgono più o meno così (il quadro è stato tratteggiato nel corso del convegno da Klaus Kempf, Tecnologie multimediali nella rete delle biblioteche universitarie in Baviera): l'istituzione del Nord del pianeta invia nelle Filippine un paio di milioni di records bibliografici, previa scannerizzazione dai loro supporti cartacei e successivo trasferimento in formato digitale; e là, nel terzo mondo, uno stuolo di anonimi (e tuttavia nient'affatto incolti) catalogatori "scandisce" a sua volta in modo del tutto manuale quei dati, riconoscendovi il campo dell'autore, quello del titolo, della casa editrice, e così via. I file delle descrizioni tornano infine in Germania, ad alimentare il catalogo on line del sistema universitario bavarese (e insieme, indirettamente, della rete internazionale). Il tutto avviene a costi, com'è ovvio, molto convenienti, quasi risibili - almeno dal punto di vista della committenza.

Miracoli della mondializzazione e della globalizzazione economica, si dirà, a confermarci che gli estremi sociali possono in qualche modo toccarsi: il massimo dell'automazione per noi, a vantaggio cioè della parte salva del globo, si ripercuote in un massimo di alienazione altrove, in un Sud lontano solo perché economicamente sfruttato; e quelle procedure che reputiamo progredite, "innovative", si ribaltano in scenari primitivi, per descrivere i quali dobbiamo rifarci a rapporti di produzione premoderni, nonché alle tecnologie in uso in uno scriptorium monastico.

Il fatto è che - con ogni evidenza - le questioni riguardanti l'informatica applicata alle biblioteche, le domande intorno al potenziamento e all'espansione dei servizi di conservazione e indicizzazione delle informazioni (librarie e non), comportano spesso lo sconfinamento in settori diversi da quelli propriamente biblioteconomici, settori che tuttavia possono essere utilmente rivisti, forse anche straniati, in quella diversa prospettiva. Gli scenari "multimediali" con cui le biblioteche quotidianamente hanno a che fare possono cioè aiutare a leggere e a interpretare, in chiave persino inedita, fenomeni di rilievo non settoriale.

Di notevole spicco, nel corso del convegno, è stata soprattutto la densa relazione di Riccardo Ridi, Ipertesti, ipercataloghi, ipermappe: il ruolo dell'immagine nel cuore della biblioteca. Il profano nella materia vi avrebbe trovato, esposti con chiarezza, tanto una preziosa generalizzazione di principio quanto un auspicio operativo, entrambi di straordinaria attualità. Dove la generalizzazione riguarda la dimensione dell'ipertesto e dell'ipertestualità, diventata esperienza abituale per il navigatore di Internet, che è tenuto a cimentarsi con una struttura sintattica estranea a parametri monodirezionali e orizzontali: quelli insomma con cui l'umanità ha avuto a che fare sin dall'origine della scrittura. Ora, dichiara Ridi, il mondo della rete ci ha quasi "costretti" a scoprire che, in realtà, ogni testo della nostra tradizione ha sempre contenuto una quota - variabile ma sensibile, e comunque operante - di ipertestualità; che alle spalle degli interventi di codificazione e di decifrazione messi in opera nel mondo della scrittura prima e dopo Gutenberg agiva di fatto da sempre il principio delle reti informatiche: la possibilità vale a dire di pensare - e usare - la normale pagina scritta come un database trapunto di nodi non gerarchizzati, entro i quali è lecito navigare in modo discontinuo, senza l'obbligo di pervenire necessariamente al telos, allo scioglimento, alla catastrofe, con cui nel modo di pensare in tutti i sensi classico culmina l'esperienza della testualità. La lettura desultoria, il rinvio in nota, la compulsazione a partire da un indice dei nomi, il semplice atto di sfogliare distrattamente un romanzo, di leggerne la fine prima dell'inizio: attraverso questi gesti si materializzava - in modo certo imperfetto - quella dimensione non sequenziale che oggi per definizione struttura l'universo digitalizzato.

Tuttavia (e qui risiede l'auspicio cui facevo cenno) da una tale teorizzazione non consegue per nulla un invito alla deriva del senso, all'estasi della rete, alla navigazione anarchica dimentica di ogni nesso istituzionale, di ogni gerarchia che non sia precaria o di tipo meramente probabilistico. Al contrario, proprio la condizione ibrida in cui dobbiamo operare costringe a procedere in modo sincretistico, potenziando contemporaneamente entrambi gli strumenti a nostra disposizione: tanto i testuali quanto gli ipertestuali. Il bibliotecario (ma dietro di lui occhieggia la figura dell'intellettuale tout court) sembra cioè esser chiamato a perfezionare per un verso le competenze tradizionali della sua professione - quelle dell'indicizzazione, dell'ordinamento del sapere secondo architetture riconoscibili e univoche -, e per un altro verso a prender piena coscienza che la rete va affrontata iuxta propria principia, che la sua struttura intrinseca richiede il confronto con una spazialità "esplosa", di fatto irriducibile alla monodirezionalità. I due paradigmi convivono, necessariamente, e continueranno a convivere con buona pace di ogni catastrofismo: chi lavora nel mondo dell'informazione e della cultura deve prepararsi a fare i conti con le due istanze, imparando a distinguere con la massima precisione possibile tanto i nessi quanto i confini che uniscono ovvero separano gli opposti dominii.

Concetti, questi, che suonano come un invito al controllo razionale, alla paziente disamina delle questioni, e se del caso al loro disvelamento polemico: cioè a tutte quelle virtù che i discorsi pubblici (id est per lo più giornalistici) intorno all'informatica e a Internet almeno in Italia sembrano sistematicamente escludere, allorché trasformano il nuovissimo medium d'informazione in un Moloch dall'incertissima fisionomia, e appunto per questo responsabile delle peggiori nefandezze (per colpa di Internet, come è noto, le bambine conoscono trucissimi seduttori, gli adolescenti scappan di casa, i mistici si suicidano in gruppo, e così via). Tanto più pregevole è dunque apparso l'equilibrio con cui un paio di relatrici del convegno milanese quali Adele Antonioli e Martine Poulain sono intervenute su questioni operative legate alla prassi della mediateca (l'una ha illustrato un'esperienza parmense nel campo dell'Educazione agli adulti con l'ausilio di tecnologie multimediali; la seconda ha addirittura fatto il punto sulla Multimedialità nell'esperienza francese: dalle mediateche a Internet). Nei loro interventi, software e hardware, iperbasi, CD-Rom, postazioni per consultare videocassette e quant'altro di innovativo costituisca il nerbo della mediateca, smettevano di rappresentare diavolerie vagamente ostili, per tornare a essere `normali' servizi bibliotecari. E dunque, appunto in quanto servizi, sono realtà che modificano l'utenza intervenendo sulle sue abitudini, e al bibliotecario nonché al sociologo chiedono principalmente uno sforzo di comprensione e di analisi razionali. Così, secondo Poulain non dobbiamo scandalizzarci se in una prima fase gli utenti della rete "bricolent, apprennent à surfer, échouent, se perdent, trasgressent", dal momento che quelle aberrazioni e appunto trasgressioni sono necessarie: non solo consentono al profano di impratichirsi in modo gradevole con il medium, ma servono a introdurre nella biblioteca utenti che precedentemente ne erano esclusi, e che dopo una sessione di Internet magari finiranno anche per prendere in mano un libro o una rivista, ovvero decideranno di accostarsi a un catalogo cartaceo in quanto `logica' continuazione dello strumento informatico. E infatti, come ci ha spiegato Antonioli, è importante che il bibliotecario gestisca anche socialmente lo strumento digitale, che indirizzi e consigli l'utente inesperto e ingenuo, spesso convinto che dentro Internet ci sia proprio tutto. Cercare nella rete la data di nascita di Garibaldi è un gioco divertente solo la prima volta che ci si prova farlo: poi, è meglio rassegnarsi a (imparare a) usare altri strumenti, più tradizionali ma anche più economici e veloci.

Insomma, nella mediateca il libro non muore, anzi; e persino il Moloch si può presentare con fattezze quanto mai rassicuranti. E tuttavia, almeno sul piano pratico, non tutti i conti tornano. Una serie di considerazioni pessimistiche circa la realtà delle biblioteche italiane è pressoché inevitabile, intanto, se si riflette su quanto affermato da Ornella Foglieni (Dagli audiovisivi alla multimedialità: come cambiano le biblioteche in Lombardia): la sua relazione ha messo in rilievo la notevole approssimazione, in senso tradizionalmente `catalografico', con cui biblioteche piccole e medie affrontano la gestione dei non-book materials. Solo un quinto, circa, delle istituzioni pubbliche lombarde che posseggono videocassette le ha schedate secondo standard canonici, e grosso modo un quarto adotta forme di indicizzazione: le altre biblioteche, evidentemente, considerano i film alla stregua di materiali minori, non degni d'una vera gestione bibliotecaria. Così come non è apparsa esaltante (almeno al sottoscritto) l'analisi fatta da Luca Ferrieri nel suo peraltro ricco intervento, dal curioso titolo L'ultimo che va via spenga la biblioteca: lettura e rivoluzione elettronica. Una relazione, questa, che per molti versi ha rovesciato quasi specularmente le posizioni di Ridi: e infatti se per quest'ultimo è indispensabile che un romanzo (così come uno schedario non digitale o una poesia) vadano usati secondo le regole di natura sequenziale che li fondano, nella prospettiva di Ferrieri la lettura deve appropriarsi delle prerogative `rizomatiche' caratteristiche dell'ipertestualità. E mentre Ridi chiede che lo spazio di Internet venga descritto con mappe a esso isomorfe, Ferrieri si affanna a individuare resti di `testualità' pura, di lettura tradizionale, in presenza dei caratteri sfuggenti e dei colori sgargianti tipici delle pagine HTML, le cui parole sono rese ancor più instabili dalla mobilità frenetica cui il navigante le sottopone. Battersi per i diritti dei lettori e della lettura è cosa sacrosanta: ma forse comporta una maggior prudenza teorica, il coraggio di accettare anche i limiti degli strumenti via via utilizzati. Come ipertesto Guerra e pace, notoriamente, funziona malissimo; e consigliare a qualcuno di leggersi la Commedia in una pagina Web è una di quelle bizzarrie che rischiano solo di produrre, per contraccolpo, un'apologia dell'analfabetismo e una conversione di massa alla cultura iconica.

Non per caso, mi sembra, nel corso del convegno certe approssimazioni, certi velleitarismi sono emersi soprattutto in quegli interventi che hanno cercato di definire nella pratica il futuro delle mediateche nel nostro paese. Né Federico Pedrocchi (che ha illustrato per sommi capi Un progetto della provincia di Milano per l'alfabetizzazione multimediale) né Sergio Campodall'Orto (Milano per la multimedialità: le tappe di un progetto) hanno saputo prospettare una riconoscibile "via milanese" (se del caso "lombarda") alla multimedialità: e questo a dispetto del fatto che proprio Milano è chiamata a creare la prima biblioteca italiana interamente dedicata ai materiali non librari. Il vuoto che si percepiva in quei discorsi non era solo un vuoto di progettualità, un'assenza di chiarezza circa la struttura che una biblioteca davvero multimediale può ragionevolmente assumere; ma era un vuoto che chiamerei ideale, se non proprio politico (e i pochi slogan portati al convegno dal sottosegretario Alberto La Volpe sembrano confermare in pieno quest'impressione). Nella parola di certi esperti, voglio dire, il Moloch si rovescia improvvisamente in Dio, in un'entità che si vuole salvifica ma che poi appare altrettanto nebulosa, e non meno oppressiva. Il tecnico, lasciato solo con i suoi strumenti, si parla addosso, non ha quasi niente da offrire alla comunità reale in nome della quale dichiara d'intervenire. I parametri tecnologici e gestionali che maneggia lo mettono in contatto solo con problemi di strutture e di finanziamenti; al di là di questi, altre dovrebbero essere le istanze competenti. Ma queste tacciono, o si aggrappano alle frasi di circostanza. E se la biblioteca nazionale d'una città come Milano tra non molto si caratterizzerà, a un tempo, per l'assenza d'un catalogo degno di questo nome e per la presenza della più ambiziosa e sponsorizzata (e si spera anche meno disorganizzata) mediateca d'Italia, non sarà certo ai tecnici che dovremo dar la colpa.

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