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ISSN: 2283-303X |
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Dalla stampa all'open access: percorsi della comunicazione scientificain Bibliografie, biblioteche e gestione dell'informazione: un omaggio a Francesco Dell'Orsodi Michele Santoro (in linea da: 17 maggio 2016) Pubblicato anche a stampa, in "Culture del testo e del documento", 12, 2011, n. 35, maggio-agosto, p. 27-73. Salvo diversa indicazione, la traduzione di brani in lingue straniere sono dell'autore. La funzionalità dei link è controllata alla data di pubblicazione a stampa dell'articolo. L'autore ringrazia Piero Innocenti, direttore di "Culture del testo e del documento", per averne autorizzato la ripubblicazione in formato online. Indice
Abstract The topic of scientific communication is
described from the invention of printing to now. In particular, it is studied
the role of journals that, in the centuries, have established a key system of
diffusion of the scientific information. In the second half of the 20th
century, however, this system goes through a crisis, due to a process of
publishing concentration and the following increase of journal prices, that
create serious problems to libraries and universities. A solution comes from
the Internet, that gives the possibility to put the scholarly papers into open
archives even before their submission to scientific journals. The open access
movement, born in this way and increased to a worldwide level, is finally
analyzed in details. 1. La comunicazione scientifica Con il termine comunicazione scientifica sintende quel vasto e
articolato sistema attraverso cui gli studiosi producono, condividono,
valutano, diffondono e conservano i risultati dell'attivit scientifica [1].
Come ha scritto Brian Vickery, la scienza e la tecnologia sono attivit
sociali che derivano dalla cumulazione e dall'applicazione delle conoscenze. La
comunicazione fra scienziati di idee, metodi e risultati essenziale se deve
aver luogo la crescita cumulativa del sapere; la comunicazione fra scienziati e
tecnologi, cos come fra tecnologi, ugualmente essenziale se il sapere deve
essere distribuito nei luoghi in cui pu essere applicato. La comunicazione
quindi una componente integrale dell'attivit tecnologica e scientifica [2]. La comunicazione scientifica infatti costituita da un insieme di
attivit per mezzo delle quali le conoscenze vengono elaborate, trasferite su
un supporto e diffuse a una comunit di utenti, che a sua volta le utilizza per
la creazione di nuovo sapere [3]. Si tratta di un processo di durata millenaria,
se vero che la necessit di trasmettere le informazioni scientifiche e
tecniche si manifestata in ogni periodo storico: lo stesso Vickery ne fa
coincidere la nascita con l'avvento delle prime civilt, apparse nel terzo
millennio avanti Cristo nel vicino Oriente antico, e ricostruisce le tappe di
una vicenda che dal mondo greco e romano si snoda lungo tutto il medioevo, per
arrivare ai fondamentali momenti rappresentati dall'invenzione della stampa e
dalla nascita della scienza moderna, fino all'esplosione documentaria otto-novecentesca
ed alle attuali dimensioni telematiche e multimediali. Tale processo, con ogni evidenza, richiede il coinvolgimento di
una quantit di soggetti (societ, accademie, universit, autori, compilatori, bibliografi,
editori, bibliotecari, studiosi dell'informazione...), che danno vita a
prodotti documentari (libri, articoli, rapporti tecnici, enciclopedie, bibliografie,
cataloghi, rassegne di abstract, compendi...) destinati a raccogliere e
veicolare le informazioni. E non vՏ dubbio che al giorno d'oggi esso si
esprima in forme assai pi compiute grazie a una stretta interazione fra questi
soggetti: dai ricercatori e docenti, che rendono pubblico il risultato delle
proprie indagini, alle universit, che forniscono le infrastrutture per la
ricerca, agli editori, che pubblicano e diffondono i testi scientifici, alle
biblioteche, che assicurano un ampio accesso all'informazione [4]. Ed innegabile che l'intero sistema vada incontro a cambiamenti
di grande portata, nel momento in cui i risultati delle investigazioni
scientifiche non vengono affidati esclusivamente ai formati cartacei, ma sono
veicolati dai supporti elettronici e dalle reti telematiche; e questi
cambiamenti appaiono tanto pi significativi quanto pi si riverberano sui
tradizionali strumenti (il libro da un lato, il periodico dall'altro) che per
secoli hanno consentito la circolazione del sapere all'interno della comunit
scientifica, ed ai quali si affiancano – quando non si sostituiscono
– modalit del tutto inedite di diffusione delle conoscenze. 2. La stampa al servizio della comunicazione
scientifica Se vero che la comunicazione scientifica ha un'origine
antichissima, e altres vero che essa ha conosciuto una crescita straordinaria
a partire dal secolo sedicesimo, epoca in cui il consolidarsi della stampa
tipografica ha dato vita a un aumento esponenziale della produzione
documentaria, e di conseguenza a un incremento notevolissimo delle
comunicazioni fra eruditi e scienziati. In questo periodo infatti assai avvertita l'esigenza di
trasmettere alla comunit degli studiosi i risultati della nuova scienza
sperimentale, ed proprio in tal senso che la stampa a caratteri mobili assume
un ruolo essenziale. infatti necessario che il prodotto delle ricerche scientifiche
sia condiviso dal maggior numero di persone, e che il contributo di un singolo
studioso vada a inserirsi in una rete di rapporti che consente la trasmissione
ed il controllo dei risultati della ricerca, e che conduce alla loro
accettazione [5]: ci significa, con ogni evidenza, che l'aspetto distintivo
dell'attivit scientifica risiede nel suo carattere di conoscenza pubblica,
ossia di condivisione, riconoscimento e validazione dei risultati all'interno
di una comunit di pari [6]. Il ruolo della comunicazione quindi non per nulla secondario nel
contesto della ricerca scientifica, ma diviene un elemento essenziale,
finalizzato a dare compimento alle attivit di registrazione, diffusione e
pubblicizzazione del sapere, dal momento che le scoperte degli scienziati, teoriche
o sperimentali che siano, non sono e non possono essere considerate conoscenza
scientifica finch non sono state riferite e registrate in modo permanente (ibidem).
Una volta posta la comunicazione al centro dell'attivit scientifica, dunque
possibile riconoscerne l'evoluzione e seguirne i percorsi attraverso gli
strumenti deputati a raccogliere e veicolare le informazioni, e cio in primo
luogo il libro e successivamente il periodico. Non vՏ dubbio che fra Cinque e Settecento il libro costituisca un
supporto indispensabile, utilizzato da scienziati e studiosi per diffondere i
risultati delle proprie ricerche: difatti le grandi svolte nella storia della
scienza – da Copernico a Galileo a Newton – sono state annunciate attraverso
i libri, e tale fenomeno proseguir fino alla meta dell'Ottocento, quando
ancora Charles Darwin potr dare notizia delle sue scoperte per mezzo di
fondamentali monografie (ibidem). Sar tuttavia la stampa periodica che,
in breve tempo, acquisir un'importanza straordinaria: considerata agli inizi
quasi unestensione della corrispondenza epistolare, la pubblicazione seriale
evolver gradatamente dalla forma della rivista erudita a quella di vero e
proprio periodico scientifico [7]. A partire dal secolo XVII infatti nascono una serie di periodici
volti da un lato a dare notizia delle principali pubblicazioni apparse nei
diversi paesi europei, dall'altro a informare la comunit degli studiosi su
invenzioni e scoperte. In particolare, ricordiamo quello che considerato il
prototipo delle numerose riviste erudite e scientifiche comparse fra Sei e
Settecento: il Journal des Savans. Fondato a Parigi nel 1665 da Denis de Sallo, il periodico si
propone di fornire recensioni di una quantit di libri di argomento letterario
e scientifico, ma anche di dare notizie sulla realt culturale europea
attraverso un piccolo numero di contributi originali. L'importanza del Journal
des Savans e il suo influsso sulla cultura del periodo sono tali che la
rivista sar ben presto replicata in tutta Europa: difatti nel 1682 nascono
in Germania gli Acta Eruditorum, mentre in Francia si pubblicano le Nouvelles
de la Rpubliques des lettres, comparse nel 1684 ad opera di Pierre Bayle, e
nel 1686 esce in Olanda la Bibliothque universelle et historique. Ma l'Inghilterra il paese che d i natali al periodico pi
importante per la nuova tradizione scientifica, e cio le Philosophical
Transactions. La rivista nasce come emanazione della Royal Society,
un'istituzione della corona inglese sorta per rendere pubbliche le ricerche
scientifiche dei propri membri. Difatti questi ultimi si rendono conto che, al
contrario dei libri, le pubblicazioni periodiche possono consentire una rapida
diffusione delle scoperte, in particolare nei campi della medicina e delle
scienze naturali. Ed per questo che, a soli due mesi dalla nascita del Journal
des Savans, Henry Holdenburg fonda le Philosophical Transactions, ispirandosi
alla rivista francese ma ponendosi finalit molto diverse: il periodico
londinese infatti non solo stampa contributi originali relativi alle pi
importanti scoperte scientifiche, ma si pone l'obiettivo di arrivare a una vera
e propria registrazione pubblica di questi articoli: come scrive Jean-Claude Gudon,
mentre la rivista parigina insegue le novit, quella inglese aiuta a validare
l'originalit delle scoperte [8]. Non un caso infatti se le Philosophical Transactions nascono
in un periodo in cui la questione della propriet intellettuale assume
un'importanza determinante, se vero che fra gli studiosi molto sentito il
problema della "paternit scientifica" delle scoperte, e quindi di
regolare le controversie sulla loro priorit. Holdenburg si rende conto di ci,
e comprende che se soltanto avesse potuto portare la maggioranza dei pi
significativi autori scientifici europei a registrare le loro ricerche sulle Philosophical
Transactions, l'uso innovativo della tecnologia della stampa sarebbe diventato
un momento di definizione del movimento scientifico europeo. Come risultato,
Londra avrebbe fatto per la scienza ci che Parigi stava mirando a fare per il
gusto: diventare un arbitro universale del sapere (ibidem). L'intuizione di Holdenburg, volta a fare delle riviste il luogo
privilegiato per l'assegnazione della paternit delle scoperte, si dimostrer
vincente nelle epoche successive ed in particolare nell'Ottocento quando, come
vedremo, i periodici si trasformeranno nel principale strumento di diffusione
della comunicazione scientifica. Ma prima di arrivare a questo importante
passaggio, opportuno tornare al diciassettesimo secolo e analizzare
brevemente il cammino dell'editoria di cultura in Italia: un cammino che
prende avvio il 28 gennaio 1668 con la fondazione del Giornale de Letterati,
pubblicato a Roma per opera di Francesco Nazari. Questo periodico, per quanto ispirato ai modelli stranieri, non
appare una semplice imitazione di questi ultimi, ma si configura come una
rivista originale e di notevole impegno critico: esso infatti, oltre alle
informazioni su nuovi libri, riporta notizie su osservazioni, esperimenti e
curiosit naturali, e fornisce traduzioni ed estratti dal Journal des Scavans
e dalle Philosophical Transactions. Il Giornale de Letterati avr vita
assai travagliata, sdoppiandosi in due periodici concorrenti, ma che mantengono
lo stesso titolo, cessando le pubblicazioni nel 1681 e rinascendo (non pi a
Roma ma a Parma e poi a Modena) per opera di Benedetto Bacchini, che lo diriger
dal 1686 al 1697, facendone una delle pubblicazioni pi importanti del suo
tempo. Sono moltissimi i periodici che, nella nostra penisola, si
affiancano o si sostituiscono al Giornale de Letterati, fra cui possiamo
citare solo i pi rilevanti: La Galleria di Minerva, edita a Venezia nel 1696
per opera di Girolamo Albrizzi; il Giornale de letterati dItalia, anchesso
pubblicato a Venezia da Apostolo Zeno, Scipione Maffei e Antonio Vallisneri, e
che ha goduto di grande prestigio sia per l'accuratezza delle recensioni che
per la competenza dei collaboratori; infine le Novelle Letterarie, nate a
Firenze nel 1740 ad opera di Giovanni Lami e considerate uno dei migliori
periodici dell'epoca. In effetti, osserva Luigi Balsamo, questa dei giornali
dei letterati una delle pi significative ed efficaci innovazioni
dell'editoria moderna, in quanto apre nuovi canali di comunicazione culturale
al di la di qualsiasi confine, non solo geografico, avviando nel nostro Paese
un processo di sprovincializzazione che ha caratterizzato il Settecento [9]. Nel secolo diciottesimo poi si diffonde in Italia quella forma di
giornalismo culturale di tono moralegginte gi presente in Inghilterra grazie a
periodici quali il Tatler e lo Spectator, e che viene riproposta prima
dalla Gazzetta Veneta di Gaspare Gozzi, poi dalla Frusta letteraria di
Giuseppe Baretti. Ma anche la lezione dell'illuminismo, che circola attivamente
nella nostra penisola, ad essere tradotta in una nuova e assai interessante
rivista, Il Caff, promossa da Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria ed
altri intellettuali, che fanno di questo periodico uno dei prodotti pi alti
dell'illuminismo italiano. A partire dall'Ottocento le riviste di cultura si differenziano
progressivamente, dando vita a un processo di specializzazione che porter alla
nascita del vero e proprio periodico scientifico. In questo periodo infatti si
assiste al declino delle tradizionali accademie, che nei secoli precedenti
avevano costituito il principale luogo di discussione e di trasmissione delle
idee, mentre la comunit scientifica si specializza sempre pi, favorendo la
nascita di una quantit di riviste a pi marcato carattere disciplinare. Ed
per questo che la rivista assume peculiarit ben precise, presentandosi come un
insieme di articoli di autori diversi, ordinati sulla base di criteri omogenei
e pubblicati con cadenza periodica. Inoltre, avendo l'obiettivo di ridurre al
minimo le difficolt di comunicazione all'interno di una determinata comunit, essa
acquisisce quella stupefacente unit di forma, quell'aspetto quasi rituale di
disposizione degli articoli, quella omogeneit di lingua e di stile che ancora
oggi costituiscono le caratteristiche pi evidenti dei periodici scientifici. L'importanza della rivista per non legata solo ai suoi
connotati formali o alla sua capacit di diffusione fra gli studiosi, ma
strettamente associata alle modalit di comunicazione che essa impone e consolida,
una comunicazione, scrive Pietro Greco, che ben presto cessa di essere diretta
e diventa comunicazione mediata: i risultati di una ricerca originale vengono pubblicati solo dopo
una valutazione preventiva di qualit. Nei primi tempi e il direttore della
rivista che decide se un saggio e degno o meno di essere pubblicato. Poi il
numero di richieste di pubblicazione sale e sale anche il tasso di
specializzazione degli articoli. La valutazione preventiva viene affidata alla review,
rivisitazione critica, di un peer, un pari, per esperienza, dell'autore.
Insomma, le riviste iniziano a pubblicare solo articoli che hanno superato il
vaglio di uno o due membri, esperti e rigorosamente anonimi, della medesima comunit
scientifica cui appartiene l'autore [10]. Dunque il meccanismo della peer review che si afferma
come il criterio pi efficace per assegnare attendibilit e valore scientifico
alle pubblicazioni, dal momento che la produzione di conoscenza inseparabile dalla
sua accettazione all'interno della comunit degli studiosi. Si tratta di un
meccanismo che ha modificato in maniera decisiva la maniera di fare scienza, da
un lato obbligando gli studiosi a un rigore e a una precisione sempre maggiori,
dall'altro trascinandoli nella spirale del publish or perish, quel
fenomeno cio che condiziona le possibilit di carriera o il mantenimento degli
incarichi accademici al numero delle pubblicazioni che ciascun ricercatore ha
nel suo curriculum, alla quantit di citazioni che una data
pubblicazione ottiene in altri lavori, al numero dei comitati editoriali di cui
si fa parte, e cos via [11]. 3. La crisi della comunicazione scientifica La rivista moderna, come si e visto, offre vantaggi indiscutibili agli
studiosi, rendendo pubblici i risultati delle ricerche, convalidandoli da un
punto di vista scientifico ed assegnandone la priorit ai rispettivi autori. E
tuttavia, a partire almeno dal secondo dopoguerra, essa non sembrata in grado
di soddisfare al requisito fondamentale della comunicazione scientifica, vale a
dire la tempestivit dellinformazione, la sua capacit di essere diffusa in
maniera rapida ed efficace: e questo perch le riviste cartacee presentano
tempi di realizzazione e di trasmissione eccessivamente (e a volte
insopportabilmente) lunghi, dovuti alle esigenze di filtro scientifico non meno
che alle lentezze editoriali e postali. Dunque la necessit di adottare meccanismi di comunicazione sempre
pi idonei e veloci stata avvertita come essenziale dagli studiosi, specie da
quando si manifestato un altro fattore, volto a rendere ancora pi critico il
rapporto fra la comunit scientifica e il suo principale veicolo
d'informazione: ci riferiamo al progressivo aumento dei costi. Negli ultimi
decenni infatti si andati incontro a unincessante proliferazione del numero
delle riviste ‒ per lo pi di propriet di grandi editori internazionali
‒ spesso a bassa tiratura ma dai costi assai elevati. Di anno in anno i costi sono aumentati incessantemente, costringendo
le biblioteche a drastici tagli negli abbonamenti, e inducendo di conseguenza
gli editori ad aumentare ulteriormente i prezzi. In
presenza di questa situazione, la comunit scientifica ha rivolto la propria
attenzione alle tecnologie informatiche, capaci di attenuare – se non di
risolvere – i problemi di celerit dell'informazione e di contenimento delle
spese. Cos, nell'ultimo quarto di secolo, si assistito da un lato al
trasferimento in veste elettronica di importanti pubblicazioni seriali,
dall'altro alla creazione di nuove di riviste nel solo formato digitale: un
fenomeno che toccher l'apice negli anni Novanta, con la presenza di Internet
come grande contenitore di periodici elettronici e la comparsa di forme
radicalmente diverse di diffusione dell'informazione scientifica. In questo periodo si assiste infatti ad un forte incremento delle
pubblicazioni elettroniche, che proprio grazie alla rete trovano una definitiva
affermazione. D'altra parte noto che allo sviluppo di Internet hanno concorso
i gruppi scientifici ed accademici internazionali, per i quali essenziale che
lo scambio delle informazioni avvenga in modo rapido ed efficace. Dunque la
possibilit di replicare i vantaggi delle pubblicazioni tradizionali, ma con in
pi il valore aggiunto rappresentato dalla tempestivit e dalla globalit
dell'informazione, stata sfruttata tanto dalla comunit scientifica quanto
dai grandi editori internazionali, anche se con finalit opposte e concorrenti.
Non v'e dubbio che, tra i motivi di questa divaricazione, quello economico
abbia assunto un'importanza determinante. Ci ha prodotto una situazione in cui
sia il mondo bibliotecario sia quello accademico sono apparsi fortemente penalizzati,
tanto da condurre molti osservatori a parlare di una vera e propria crisi
della comunicazione scientifica [12]. Una vasta serie di studi ha permesso di far luce su questo stato
di cose [13], dimostrando come tale crisi non sia che il prodotto di
un'anomalia che condiziona pesantemente il mercato dei periodici scientifici [14].
Si tratta di una vicenda che ha avuto origine verso la met degli anni Sessanta
quando, per dirla con Gudon, i grandi editori commerciali sono riusciti a
impossessarsi di quel vero e proprio Eldorado rappresentato dalle riviste
accademiche e di ricerca [15], dando vita a un mercato anelastico in cui la
domanda non determinata dai costi e i costi non sono condizionati dalla
domanda [16]. In realt questa situazione trova la sua genesi nel meccanismo
stesso della comunicazione scientifica il quale, comՏ noto, viene alimentato dalle
pubblicazioni universitarie, in costante aumento per ovvi motivi di promozione
e competitivit accademica. In tale contesto, il principale problema risiede
nel fatto che docenti e ricercatori pubblicano i loro lavori su riviste che
sono di propriet degli editori commerciali, ai quali generalmente cedono tutti
i diritti, non solo non ricevendo alcuna retribuzione, ma essendo a volte
costretti a versare un contributo per la pubblicazione. Gli editori cos, con
un paradosso che assicura loro ampi margini, possono rivendere questi lavori
alle biblioteche delle stesse universit di cui fanno parte gli studiosi che li
hanno prodotti, innescando una spirale che costringe le biblioteche a tagliare
gli abbonamenti per far fronte agli aumenti dei costi [17], e che vede gli
studiosi espropriati dei vantaggi – economici oltre che conoscitivi
– di un sistema di cui sono parte determinante. D'altro canto il passaggio dal formato cartaceo a quello
elettronico non sembra aver comportato vantaggi di sorta, se vero che le
biblioteche hanno dovuto sottostare a ulteriori aumenti per ottenere la
versione elettronica di riviste gi possedute su supporto tradizionale, o al pagamento
di tariffe assai elevate per l'utilizzo di periodici esistenti nella sola veste
digitale. Il quadro poi completo se si considera che negli ultimi anni si
verificato un processo di vera e propria concentrazione editoriale, che ha
consentito a pochi editori internazionali (Elsevier, Springer, Wiley...) di
detenere la quasi totalit della produzione scientifica, e dunque la possibilit
di determinare i prezzi dei periodici – sia cartacei che elettronici
– in maniera sempre pi arbitraria e avulsa dalle leggi del mercato,
realizzando profitti che risultano decisamente elevati anche in confronto con
quelli delle grandi societ di capitale. Per comprendere i motivi che hanno reso possibile questo
predominio, bisogna ritornare alla met degli anni Sessanta, periodo in cui si assiste
ad una frammentazione delle discipline in settori via via pi definiti e
specifici; tale situazione viene abilmente sfruttata dagli editori commerciali,
i quali riescono a sottrarre alle societ scientifiche il controllo da esse
detenuto sull'editoria periodica attraverso l'immissione sul mercato di un gran
numero di nuove riviste. Alessandro Fig-Talamanca ha ricostruito questo
cruciale passaggio per la storia della comunicazione scientifica esaminando in
particolare l'ambito della matematica [18]. In questa disciplina infatti la maggior parte delle pubblicazioni
veniva gestita dalle associazioni scientifiche internazionali, le quali
riuscivano a contenere i costi grazie al reciproco scambio delle pubblicazioni,
o sulla base di modeste tariffe di abbonamento. La caratteristica di questo
tipo di editoria, precisa lo studioso, era di non essere specialistica, nel
senso che erano accettati e pubblicati in genere articoli di tutte le
discipline matematiche: ed e proprio su questo aspetto che fa leva l'editoria
commerciale, che si inserisce nel sistema immettendovi un gran numero di
riviste a carattere specialistico. Non a caso, continua l'autore, questa nuova politica
editoriale corrispondeva a una tendenza alla frammentazione, propria della
scienza contemporanea, a cui non riusciva a rispondere la vecchia editoria
scientifica, che era in mano a istituzioni senza fini di lucro gestite da
studiosi che non approvavano un'eccessiva frammentazione della matematica in nicchie
ecologiche autosufficienti (ibidem). Ma di fianco alla mutata dimensione disciplinare, l'altra
caratteristica che ha favorito l'avvento degli editori commerciali stata
proprio la politica di contenimento dei prezzi praticata dalle societ
scientifiche: difatti le nuove e pi costose riviste gestite dagli editori
commerciali si sono subito configurate come le pi prestigiose, in grado di
dare maggiori riconoscimenti agli autori che vi pubblicavano grazie alla
presenza di comitati di valutazione capaci di accrescerne l'importanza e
l'attendibilit scientifica; l'ovvio risultato di questa situazione ҏ stato
quello di favorire i grandi editori commerciali, a scapito delle pubblicazioni
legate ad istituzioni scientifiche, specialmente quelle dei paesi europei non
di lingua inglese, di far lievitare i costi delle pubblicazioni, e di far
aumentare, non solo il numero delle riviste, ma anche, paradossalmente, il
numero delle riviste di alto prestigio scientifico e degli articoli
pubblicati su riviste di alto prestigio. Comunque aumentato il costo di pubblicazione
e di distribuzione delle riviste, nonostante i progressi tecnologici nelle
tecniche di composizione (ibidem). Si tratta di una realt che risulta comune tanto agli ambiti
scientifico-tecnici quanto a quelli umanistici e sociali [19], e che ha
consentito agli editori di poter aumentare in maniera rilevante i prezzi, se
vero che nel solo periodo 1973-1985 i costi delle riviste gestite dagli editori
commerciali sono praticamente raddoppiati (+400%) rispetto a quelle pubblicate
dalle associazioni scientifiche (+240%) e dalle altre societ di ricerca
(+200%) [20]. 4. La svolta degli anni Novanta Il fattore che ha reso possibile tale situazione risiede dunque
nel vantaggio, concesso agli studiosi, di pubblicare su riviste di alto
prestigio, provviste di un elevato fattore d'impatto, e quindi in grado fornire
immediati riconoscimenti accademici: come scrive Gudon, gli studiosi e le
istituzioni si sono rassegnati a pagare costi cos ingenti non per realizzare
un'adeguata disseminazione dell'informazione, ma per ottenere una migliore
valutazione dei propri lavori, ossia per potersi fregiare di quel marchio di particolare
autorevolezza che conferito dalla pubblicazione su testate quali Cell o Nature
[21]. Questa circostanza ha consentito agli editori di assumere una posizione
di predominio e di conservarla per oltre un ventennio, mantenendo quel mercato
anelastico che ha permesso loro di determinare i prezzi in maniera pressoch
arbitraria in un regime di sostanziale oligopolio. Un deciso cambiamento interviene con gli anni Novanta, quando la rete
Internet riesce a esprimere a pieno le sue potenzialit, rivelandosi uno
strumento assai efficace di trasmissione delle conoscenze, specie in quei
settori in cui la tempestivit dell'informazione appare essenziale; per
questo che sia la comunit scientifica sia gli editori commerciali hanno
cominciato a sfruttare nel modo pi idoneo tali potenzialit, dando vita a
nuove riviste esclusivamente in formato elettronico, o trasferendo in veste
digitale una serie di periodici finora esistenti solo su carta. Se dunque si vuol indicare una data in grado di segnare una vera e
propria svolta nella vicenda della comunicazione scientifica, questa pu essere
individuata nel 1990: nel corso di quest'anno infatti Ann Okerson, la studiosa
che con pi energia si interessata ai problemi dei periodici e dei loro costi
[22], lancia un forte appello affinch ricercatori e istituzioni rivendichino una
sorta di compropriet sull'informazione da essi prodotta, interrompendo cos il
predominio degli editori commerciali. Per realizzare questo obiettivo, sostiene
l'autrice, la comunit internazionale deve convincere gli studiosi a servirsi
sempre meno dei tradizionali strumenti cartacei e utilizzare le potenzialit di
Internet, inviando le proprie pubblicazioni ad appositi archivi elettronici su
cui possano essere rese disponibili per un pubblico vasto, e facilmente recuperate
grazie agli strumenti della rete [23]. Siamo di fronte ad un primo tentativo di superare le rigidit
della tradizionale editoria cartacea ed allo stesso tempo di riappropriarsi di
un bene – l'informazione scientifica – dal cui controllo
biblioteche, universit e centri di ricerca risultano di fatto esclusi.
Analoghe motivazioni sono alla base dell'attivit di Stevan Harnad, una tra le
figure di maggior spicco nello scenario della comunicazione scientifica: docente
di psicologia all'universit di Southampton [24], Harnad ha fondato e diretto
per oltre quindici anni la prestigiosa Behavioral & Brain Sciences, una
rivista tradizionale basata su un sistema di peer review assai rigoroso e selettivo. E tuttavia, consapevole
dell'inadeguatezza dello strumento cartaceo ai fini di una rapida diffusione
delle conoscenze, lo studioso indirizza la propria attenzione alle possibilit offerte
dalla rete e ai vantaggi che possono derivarne per la comunit scientifica. Persuaso delle innovative possibilit di Internet, ma anche della
necessit di conservare le caratteristiche di precisione e di rigore che
distinguono l'attivit dello scienziato, Harnad giunge nel gennaio del 1990
alla fondazione di Psycoloquy [25], una rivista elettronica che mantiene le
caratteristiche di selettivit e di filtro scientifico tipiche dei periodici
cartacei, ma che sfrutta le potenzialit della rete per agevolare i contatti
fra i collaboratori e semplificare lo scambio delle informazioni. Il nuovo periodico infatti mette a disposizione degli studiosi un
canale per la trasmissione degli articoli e per la peer review, oltre a
uno spazio di discussione sui temi proposti dalla rivista; infine –
elemento di fondamentale importanza per i successivi sviluppi della comunicazione
scientifica – agli autori concesso di mantenere i propri diritti sugli
articoli pubblicati, e di poterli riproporre su qualsiasi contenitore, cartaceo
o elettronico, con la semplice menzione della loro prima uscita su Psycoloquy. Il successivo passaggio, che modificher in maniera decisiva il
percorso della comunicazione scientifica, avr luogo l'anno successivo, e precisamente
nell'agosto del 1991, quando Paul Ginsparg, fisico delle alte energie presso il
Los Alamos National Laboratory, metter a punto un database in grado di ricevere
e rendere disponibile su Internet una serie di articoli, rapporti tecnici e
abstract che gli autori preferiscono non inviare alle riviste ma rendere
pubblici in maniera immediata e diretta sulla rete. Come ha rilevato lo stesso
Ginsparg, questo archivio di e-print, nato come uno strumento per
superare le ben note insufficienze delle riviste scientifiche, in maniera
inaspettata e in tempi assai brevi diventato il principale mezzo di
comunicazione delle ricerche in corso nelle aree delle alte energie e della
teoria delle particelle; la sua rapida accettazione all'interno di questa
comunit derivata sia dai recenti sviluppi della tecnologia sia dai
comportamenti propri di questa comunit di ricerca [26]. L'archivio di Los Alamos peraltro non rimane confinato alla fisica
delle alte energie, ma accoglie lavori relativi a 25 diverse aree disciplinari,
tra cui la fisica dei plasmi, la fisica quantistica, l'astrofisica, la teoria della
relativit, ma anche la matematica, la geometria, l'algebra e persino l'economia,
la linguistica computazionale e l'informatica. La conseguenza e che, gi
nell'autunno del 1994, il sistema risulta utilizzato da pi di 25.000 utenti di
circa 70 paesi, con un traffico di oltre 45.000 transazioni al giorno,
diventando uno dei maggiori e pi attivi database presenti in rete (ibidem). Il successo dell'iniziativa si deve ad una quantit di motivi, e
in primo luogo al fatto che nel campo della fisica – ma anche di altre
discipline tra quelle accolte nell'archivio – la possibilit di una
trasmissione elettronica dell'informazione appare favorita da una preesistente cultura
del preprint (lespressione di Ginsparg), in base a cui la diffusione
tempestiva dei risultati assai pi importante della pubblicazione su
periodici refereed: gi da tempo infatti i fisici hanno messo a punto un
sistema per lo scambio dei papers, sia perch non sopportano i tempi
lunghi delle riviste cartacee, sia perch nutrono scarsa fiducia nei meccanismi
della peer review. Appaiono dunque evidenti le conseguenze che l'iniziativa di
Ginsparg avr sul sistema della comunicazione scientifica, configurandosi come un'efficace
alternativa alla pubblicazione sui convenzionali periodici, e dunque alla
necessit – impegnativa e non sempre vantaggiosa – della peer
review: non un caso, scriver al riguardo lo stesso Ginsparg, che in
molte aree della fisica gli archivi di preprint hanno gi soppiantato le
tradizionali riviste scientifiche come veicoli di informazione tematica e di
archiviazione delle ricerche [27]. Inoltre la possibilit concessa agli autori di collocare liberamente
in rete i propri lavori costituisce una straordinaria innovazione rispetto al
rigido sistema dell'editoria commerciale, se e vero che non viene richiesta
nessuna tariffa agli autori, nessuna cessione forzosa dei diritti, nessun costo
per le biblioteche: ancora lo studioso di Los Alamos a rilevare come la
disponibilit delle informazioni su un archivio autorevole non solo si
contrapponga al tradizionale modello economico (e quindi al drenaggio di
consistenti risorse dalle biblioteche e dagli altri centri di ricerca a favore
degli editori), ma permetta uno scambio di conoscenze assai vantaggioso per la
comunit internazionale (ibidem). E la fondamentale esperienza di Los Alamos ha un forte influsso
anche su Harnad il quale, nel giugno del 1994, lancia ci che egli stesso definisce
una subversive proposal, vale a dire un'idea volta a superare il
tradizionale sistema di pubblicazione attraverso la collocazione immediata e diretta
degli articoli sulla rete. In essa Harnad mette in luce la radicale differenza
tra il modello commerciale e quello esoterico di pubblicazione [28]:
quest'ultimo, argomenta l'autore, il modello tipico delle pubblicazioni
scientifiche, che appaiono esoteriche perch incomprensibili al di fuori di una
ristretta cerchia di studiosi. Ora, si chiede Harnad, se l'obiettivo di questi
studiosi non di ricevere una retribuzione per i propri lavori ma di essere
letti da un numero il pi possibile ampio di pari, perch continuare a
pubblicare su riviste cartacee e non collocare tali lavori direttamente su
Internet? [29] Difatti, prosegue l'autore, gli studiosi non si sono mai aspettati di vendere le
parole; essi desiderano soltanto pubblicarle, cio raggiungere gli occhi
e la mente di pari, colleghi, scienziati e studiosi esoterici di tutto il
mondo, affinch su di esse possano costruire altri contributi in quella impresa
cumulativa e collaborativa chiamata ricerca scientifica. In realt solo a malincuore
che, nel corso dei secoli, gli autori di pubblicazioni esoteriche hanno
accettato il patto faustiano teso a erigere la barriera del prezzo tra i loro
lavori e i pochi, possibili lettori come unica concessione per poter rendere
pubbliche le proprie opere [30]. Oggi invece, continua Harnad, esistono le condizioni per
rovesciare il patto faustiano, e ci pu avvenire abbandonando le vecchie
abitudini papirocentriche e raggiungendo i cieli (taking to the skies,
come scrive nel suo immaginifico linguaggio), ossia trasferendo completamente
su Internet i risultati delle ricerche [31]. Insomma l'idea di Harnad, semplice
quanto sovversiva, tesa al superamento del tradizionale sistema di
pubblicazione attraverso l'immediata collocazione in rete degli articoli: solo
in questa maniera, ribadisce l'autore, possibile risolvere i problemi dei
costi, della tempestivit dell'informazione e del mantenimento dei diritti che
condizionano cos pesantemente il sistema della comunicazione scientifica. Lo stesso Harnad, inesauribile produttore di terminologia, definir
la sua proposta come scholarly skywriting and prepublication continuum [32], indicando con tale espressione il
processo potenzialmente infinito di trasferimento su Internet dei lavori degli
studiosi, a qualsiasi stadio essi si trovino. Se la comunit scientifica sar
in grado di seguire questo percorso, si potr allora innescare un effetto
domino, una reazione a catena in grado di condurre a un sensibile calo nella
pubblicazione di articoli sulle riviste cartacee, e quindi ad una riduzione
degli abbonamenti da parte delle biblioteche, con la conseguente conversione di
tutti i prodotti editoriali al solo formato elettronico [33]. 5. Il dibattito sulla peer review dunque evidente che la proposta di Harnad da un lato sgombra il
campo dai dubbi su un utilizzo a fini scientifici della rete [34], dall'altro
assesta un duro colpo alle strategie degli editori commerciali, basate sugli
alti costi delle riviste e sull'acquisizione forzosa dei diritti. Ma lo
studioso, per quanto ritenga che la letteratura scientifica debba essere
liberata dalla carta e dai costi associati di produzione", tuttavia
convinto che lo stesso non possa avvenire con il processo di peer review,
la cui mano invisibile ci che ne garantisce la qualit [35]. Difatti, prosegue Harnad, non vi alcuna necessit che questo
processo debba avvenire prima che i lavori scientifici vengano
depositati in un archivio elettronico, in quanto la peer review si pu
effettuare anche in una fase successiva alla loro immissione in rete, ad
esempio nel momento in cui questi lavori sono inviati alle tradizionali riviste
cartacee. In altre parole, non esatto affermare che la collocazione su
Internet escluda di fatto la peer review: a parere di Harnad infatti la rete
ҏ un mezzo, del tutto indipendente da un supporto, per il controllo della
qualit del lavoro umano; proprio come i papers migrano sulla Rete, lo stesso
avverr con la peer review [36]. Ed appunto sui problemi legati alle modalit di revisione dei
lavori scientifici che si solleva un interessante dibattito, a cui partecipano i
maggiori protagonisti del nuovo scenario della comunicazione scientifica. In
particolare, assai stimolanti appaiono le posizioni di Andrew Odlyzko,
matematico in attivit presso gli AT&T Bell Laboratories e attento
osservatore di questi fenomeni. Egli infatti si dice d'accordo sulla nozione
enunciata da Harnad di scholarly skywriting and prepublication continuum,
che denota in modo brillante il processo attraverso il quale gli studiosi mescolano
le comunicazioni informali con le pubblicazioni formali (ibidem), ma
dissente dai criteri con cui dovr aver luogo il meccanismo della peer
review. Difatti, mentre Harnad sostiene la necessit di un sistema di
revisione per dir cos convenzionale, Odlyzko propone un reviewing continuo,
cio in grado di corrispondere a quel continuum delle pubblicazioni che
caratterizza la strategia inaugurata dall'archivio di Ginsparg. A parere
dell'autore insomma necessario assicurare che tutta la letteratura su cui gli studiosi fanno
affidamento sia soggetta a uno standard di revisione uniforme (almeno
per quanto riguarda la correttezza), e che allo stesso tempo si eserciti un
controllo sull'impegno richiesto ai revisori, riducendo al minimo la
duplicazione del lavoro. Entrambi i compiti sono difficili da realizzare in un
sistema di commento non coordinato: sar dunque indispensabile un processo
formale di revisione. Ci dovrebbero essere editors in grado di
provvedere a unappropriata peer review; essi potrebbero essere legati a
societ scientifiche, ma anche autonomi [...]. Questi editors potrebbero
usare i commenti che hanno raccolto per aiutare gli studiosi a valutare la
correttezza e l'importanza dei risultati e a scegliere referees ufficiali:
dopo tutto, chi pi qualificato a revisionare un paper di una persona
sufficientemente interessata a leggerlo e commentarlo in maniera competente? (ibidem). Intervenendo a sua volta nel dibattito, Paul Ginsparg afferma che
il tradizionale sistema di valutazione degli articoli, basato su un criterio di
totale accettazione o di totale rifiuto, non pi in grado di rispondere alle esigenze
della comunicazione scientifica, e gli studiosi non perderanno nulla se
decideranno di abbandonarlo definitivamente; al suo posto sar allora
necessario adottare un sistema pi flessibile, dotato di strumenti di gran
lunga pi precisi, in grado di estrarre il segnale dal rumore [37]. Per dare realizzazione a questi obiettivi, gi nel 1994 egli ha un
incontro con i rappresentanti dell'American Physical Society, finalizzato a
individuare un sistema di peer review che sia applicabile all'archivio di
Los Alamos. Due anni pi tardi, sar lo stesso Ginsparg a delineare una strategia
di valutazione adatta ad una struttura mobile e aperta qual e il suo database [38]:
quest'ultimo infatti potr essere ripartito in settori, a seconda
dell'importanza delle informazioni o della qualit delle ricerche, mentre i papers
potranno essere spostati retroattivamente da un settore all'altro, sulla
base delle informazioni che vi si aggiungono o della loro ricaduta sulla
ricerca. A partire da queste posizioni, numerose voci si sono levate in
favore di una maniera pi duttile e dinamica di concepire la peer review,
pur senza rinunciare all'accuratezza e al rigore che da sempre contraddistinguono
le pubblicazioni scientifiche [39]. Si tratta di un problema di cruciale importanza
in particolare nel campo della biomedicina, in cui la certificazione di qualit
appare strategica non solo ai fini del riconoscimento accademico, ma per ovvie
ragioni di carattere etico e sociale; ed e proprio alla meta degli anni Novanta
che la comunit biomedica internazionale avverte la necessit di dar vita a un
diverso sistema di valutazione, in grado di rispondere in modo efficace alle nuove
istanze della comunicazione scientifica. Una prima risposta a tali esigenze sembra venire dall'articolo che
Ronald LaPorte, insieme ad altri studiosi, pubblica nel 1995 sul prestigioso British
Medical Journal [40]. In esso gli autori ribadiscono il ruolo essenziale che la
peer review gioca nell'ambito biomedico [41], rilevando come questo
ruolo risulterebbe sminuito – se non vanificato del tutto – nel
momento i cui i risultati delle ricerche fossero semplicemente depositati su un
server, senza alcuna garanzia
di autorevolezza e di qualit. Pertanto la loro proposta, coraggiosa quanto innovativa,
che la peer review possa diventare un'attivit distribuita, estesa cio
all'intera comunit e non limitata a un singolo comitato editoriale. Ci peraltro non significa che la procedura di revisione debba
essere meno rigorosa: difatti, una volta collocati su Internet, gli articoli
potranno essere classificati sulla base di un punteggio assegnato dai diversi reviewers,
rafforzando in tal modo l'attivit di vaglio critico esercitato da tutta la
comunit accademica. Ma gli autori si spingono anche oltre nello sforzo di
rendere pi efficiente questo modello, giungendo a prevedere nuovi criteri per
la valutazione del fattore d'impatto, ossia l'indice che misura il numero medio
di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati in una
rivista scientifica nei due anni precedenti, e che da tempo oggetto di vivaci
critiche. Tali criteri, anzich essere fondati sul numero di citazioni ottenute
dai singoli articoli come avviene nelle tradizionali riviste, potranno invece
basarsi sulle "visite" che un determinato articolo riceve, verificando
cio quante volte questo articolo e stato individuato e prelevato da Internet;
oppure si potranno imperniare sul numero di citazioni ipertestuali –
ossia di legami ad altri testi – che sono state effettuate a partire da
quell'articolo; o ancora sul punteggio che esso ha conseguito in seguito al
giudizio dei lettori. Ed e interessante osservare che tali criteri sono stati
ampiamente ripresi in epoche pi recenti, e sono oggi al centro del dibattito
internazionale. 6. I nuovi strumenti della comunicazione
scientifica Queste riflessioni – e le iniziative da esse originate
– hanno condizionato in maniera decisiva i percorsi della comunicazione
scientifica, esortando gli studiosi a riprendere il controllo sulle
pubblicazioni accademiche, e a ridurre cos il predominio dei grandi editori
internazionali. Dalla met degli anni Novanta infatti vedono la luce una serie
di iniziative, diverse per concezione e modalit di realizzazione, ma comunque volte
a far s che istituzioni e biblioteche possano riappropriarsi degli strumenti
di produzione e trasmissione delle conoscenze [42]. Fra queste, di particolare importanza appare il progetto SPARC
(The Scholarly Publishing and Academic Resource Coalition)43, nato negli Stati
Uniti nel 1998 e che si configura come una vera e propria sfida portata agli
editori commerciali sul loro stesso, consolidato terreno, ossia quello delle
pubblicazioni cartacee. L'iniziativa si caratterizza per una stretta alleanza
fra universit, biblioteche e organizzazioni accademiche, ed tesa a creare
una concreta alternativa alle pesanti disfunzioni del mercato editoriale.
Difatti SPARC intende essere un catalizzatore nella promozione e nello sviluppo
di nuove forme di editoria peer reviewed, rispondendo ai rinnovati
bisogni della comunit scientifica con la creazione di un mercato editoriale in
aperta competizione con quello dei grandi editori commerciali: un mercato, in
altri termini, che non solo sia in grado di ridurre i costi dei periodici
attraverso un esplicito sistema di concorrenza, ma che permetta di tutelare i
diritti degli autori, finora espropriati di ogni forma di copyright a pieno
e totale vantaggio degli editori. Per realizzare questi obiettivi, SPARC ha messo in campo una serie
di strategie dirette a moltiplicare i contatti e le forme di collaborazione con
le societ accademiche, con le riviste e con i singoli autori, se vero che
per aver successo nella competizione e necessario assicurarsi i migliori
articoli prodotti dagli studiosi pi accreditati e renderli disponibili al
minor prezzo possibile. Ed significativo che diverse societ scientifiche
abbiano subito aderito all'appello di SPARC, consentendo di realizzare
lusinghieri successi. Ma di fianco a queste iniziative, il modello a cui si guarda con
maggior interesse e quello degli open archives che, a partire dalla
fondamentale esperienza di Ginsparg, si sono diffusi sempre pi, consentendo
agli studiosi di rendere disponibili i propri lavori senza rinunciare ai
diritti su di essi. Siamo di fronte a una realt molteplice e differenziata,
che tuttavia pu essere ricondotta alla duplice tipologia degli archivi
disciplinari (volti cio a raccogliere i lavori degli studiosi di specifici
ambiti conoscitivi), e degli archivi istituzionali, realizzati da universit o
da centri di ricerca al fine di ospitare i prodotti di ricerca dei propri
membri, e che dunque sono di natura squisitamente interdisciplinare. Rinviando l'esame di quest'ultima categoria ad un successivo paragrafo,
per la prima non si pu non parlare di Cogprints [44], l'archivio creato da
Harnad all'Universit di Southampton e comprendente documenti relativi alla
psicologia, alle neuroscienze, alla linguistica, all'intelligenza artificiale,
alla filosofia, oltre che alla biologia, alla medicina, all'antropologia e ad
altri settori collegati alle scienze cognitive. Si tratta di un chiaro esempio
di archivio accentrato, che cio accoglie su un unico server i documenti relativi ad un determinato campo di
studi. Un esempio analogo dato dal Document Center del CERN di Ginevra
[45], che peraltro non un semplice archivio di e-print [46] quanto piuttosto
un sistema integrato di information retrieval, se vero che da un'unica
maschera di ricerca possibile interrogare non solo i 360.000 documenti a full
text presenti sul server,
ma l'intera banca dati bibliografica, ricca di oltre 900.000 voci relative a
libri, articoli, tesi di laurea, rapporti tecnici e fotografie [47]. Tuttavia il modello "distribuito" che sembra
incontrare i maggiori consensi, perch consente non solo di mantenere piccoli server locali sui quali gli studiosi
possono depositare i propri lavori, ma di recuperare con facilit le
informazioni grazie ai recenti standard
per la raccolta dei metadati (si tratta dell'OAI Protocol for
Metadata Harvesting, di cui si parler in seguito). Un esempio di tale modello MPRESS, The Mathematics Preprint
Search System [48], nato sotto gli auspici dell'European Mathematical Society e
costituito da dieci server di preprint
dislocati in diversi paesi europei (per quanto fra questi sia compreso
l'archivio di Ginsparg nel suo mirror tedesco). Scopo di MPRESS quello
di fornire un'indicizzazione di qualit per i preprint di matematica, e
per far ci organizzato in maniera largamente distribuita: gli articoli
infatti risiedono sui server locali,
mentre la ricerca pu avvenire in modo unitario grazie alle informazioni
presenti nei metadati, preparati dagli stessi autori e legati agli articoli al
momento della loro collocazione sui server. Ma l'archivio che pi di ogni altro incarna il modello distribuito
e senz'altro RePec (Research Papers in Economics) [49], che si caratterizza
come uno tra i pi rilevanti sia per la quantit di documenti disponibili nel
campo dell'economia e delle discipline correlate, sia per la sua efficienza
strutturale e organizzativa. RePec infatti nasce dalla collaborazione di
numerosi volontari di 72 paesi, i quali hanno dato vita a una banca dati che
raccoglie tanto materiali non pubblicati (working e discussion papers,
rapporti tecnici, articoli presentati a conferenze), quanto documenti gi editi
su riviste (comprese quelle di associazioni scientifiche e di editori
commerciali). Ad un controllo effettuato nellaprile del 2011, il contenuto dell'archivio
risultato essere di 390.000 working papers, 620.000 articoli di
riviste, 22.000 fra libri e capitoli di libri, 2.100 componenti software,
27.000 contatti fra autori e 12.000 contatti fra istituzioni. 7. Strategie dellopen access Se dunque e vero che la tendenza a rendere disponibili i risultati
delle ricerche si tradotta in un vero e proprio movimento per gli open
archives [50], altres vero che questi strumenti si sono diffusi a un
livello tale da rendere necessaria una struttura di coordinamento, in grado cio
di raccordare le numerose attivit che hanno luogo nei diversi paesi, dando
loro un maggior rilievo istituzionale e una pi marcata visibilit. E cos nel 1999 vengono gettate le basi di quello che in un primo
tempo stato chiamato Universal Pre-Print Service, e che poi ha assunto la
definitiva denominazione di Open Archives Initiative [51]: nell'ottobre di
quell'anno infatti Paul Ginsparg, Richard Luce e Herbert van de Sompel
(all'epoca tutti al Los Alamos National Laboratory) hanno invitato a Santa Fe un gruppo
di ricercatori, informatici e bibliotecari coinvolti nelle ricerche sull'informazione
in rete, allo scopo di studiare la possibilit di istituire un servizio
universale per la letteratura scientifica non peer reviewed [52], capace di disciplinare le attivit
dei numerosi archivi di preprint esistenti al mondo [53]. Alla base della conferenza – e della successiva attivit
dell'Open Archive Initiative – vi sono le problematiche che hanno
condizionato gli attuali percorsi della comunicazione scientifica:
l'insofferenza verso il precedente modello editoriale, afflitto da costi
insostenibili e da altrettanto insostenibili lentezze; la rapida espansione
delle tecnologie digitali e la corrispondente diffusione dei server di preprint;
l'esigenza, da parte degli autori, di riappropriarsi della propriet
intellettuale sui propri lavori. Dunque la filosofia dell'accesso aperto ai
materiali scientifici che informa l'intera attivit di OAI [54], anche se il
progetto tende a concentrarsi sulle caratteristiche tecniche in grado di
rendere sempre pi agevole l'archiviazione e il recupero dei documenti [55]. Difatti il primo obiettivo dell'iniziativa e volto a individuare i
criteri pi idonei per reperire i preprint collocati su server diversi, e dunque per effettuare
ricerche in maniera simultanea su un numero il pi possibile ampio di archivi.
Alla luce di ci, e stato elaborato un sistema per utilizzare le notizie
presenti nei metadati (ossia le informazioni, descrittive o di qualsiasi altra
natura, collegate ai documenti stessi), consentendo cos la ricerca su tutti
gli archivi che adottano tali criteri, e favorendo di conseguenza
l'interoperabilit fra sistemi diversi: non a caso, scrivono i promotori del
progetto, la specifica mission dell'Open Archives Initiative volta a sviluppare e promuovere gli standard di interoperabilit che
permettono di facilitare l'efficiente disseminazione dei contenuti. L'Open
Archives Initiative ha il suo fondamento nello sforzo per favorire l'accesso
agli archivi di e-print come mezzo
per accrescere la disponibilit della comunicazione scientifica; un sostegno
continuo a questa attivit rimane la pietra miliare del programma dell'Open
Archives. Il quadro tecnologico di base e gli standard che sono stati sviluppati per sostenere questa attivit
sono comunque indipendenti sia dai contenuti offerti sia dai meccanismi
economici che circondano questi contenuti, e promette di avere una maggiore
rilevanza nel fornire accesso a una gamma di materiali digitali [56]. In base a questi presupposti, stato quindi definito il set di
metadati necessari all'identificazione e al recupero dei documenti disponibili nei
diversi archivi, ed e stato sviluppato un prototipo di metadata harvester,
cio un software in grado di "raccogliere" i metadati allegati
ai documenti, e quindi di recuperare le informazioni prescindendo dalla loro
collocazione fisica sull'uno o l'altro server.
La prima versione di questo prodotto, che ha preso il nome di Metadata
Harvesting Protocol, stata resa disponibile nel gennaio 2001, mentre la
seconda – considerata ormai uno standard
– del giugno 2002. L'efficacia del protocollo stata testata dapprima su server
disciplinari quali RePec e CogPrints, poi su archivi istituzionali creati
da universit o centri di ricerca, e dunque aperti a tutte le discipline. E tuttavia il progetto OAI non si limitato all'individuazione di
metadati standard e di
meccanismi per la loro raccolta, ma ha dato vita a un software – non a caso definito Eprints – esplicitamente
concepito per la costruzione di open archives [57]: esso infatti consente di definire con precisione i
metadati necessari per l'accesso e la registrazione degli utenti, per la
ricerca sui documenti full text e per l'allestimento di gerarchie di
soggetto; questo programma, che risulta di particolare efficacia nella
creazione di archivi istituzionali, pu essere scaricato e modificato senza
restrizioni, essendo a sua volta basato su software non proprietari liberamente disponibili sulla rete
[58]. Ed proprio allo scopo di garantire la qualit delle
pubblicazioni nel contesto degli archivi aperti che si costituita quella che,
insieme alla OAI, e forse la pi importante esperienza internazionale in questa
direzione: ci riferiamo alla Budapest Open Access Initiative [59]. Il progetto
nasce in seguito alla conferenza organizzata dall'Open Society Institute
– ossia la rete di fondazioni creata dal finanziere e filantropo George
Soros [60] – e tenutasi nella capitale ungherese il 1 e il 2 dicembre
del 2001, con l'obiettivo di sostenere gli sforzi volti a rendere liberi i
risultati della ricerca attraverso un pi stretto coordinamento delle attivit
in corso e una gestione pi efficace delle risorse finanziarie. Il mandato della Budapest Open Access Initiative (BOAI) infatti
di garantire l'accesso gratuito alla produzione scientifica mondiale attraverso
due modalit complementari: da un lato la diffusione di archivi aperti e di
iniziative per l'autoarchiviazione, dall'altro la creazione di periodici
elettronici in grado di costituire un'alternativa alla tradizionale editoria
commerciale. Si tratta, ci pare evidente, di una strategia che non solo
s'inserisce nel solco inaugurato dall'archivio di Los Alamos, ma che recupera
l'idea vincente di SPARC, tesa a creare nuove riviste in esplicita competizione
con quelle commerciali. BOAI dunque si rivolge a tutti i contesti disciplinari, in quanto
il suo scopo e di favorire una diffusione immediata e diretta delle conoscenze,
svincolandola il pi possibile dai tradizionali meccanismi editoriali. Per dare
compimento a questo mandato, BOAI effettua una precisa analisi di questi
fenomeni, a partire dalla fondamentale nozione di accesso aperto, che acquisir
un peso sempre pi determinante nei successivi sviluppi della comunicazione
scientifica. Difatti, scrivono i promotori dell'iniziativa, la letteratura che dovrebbe essere liberamente accessibile online
quella che gli studiosi danno al mondo senza alcuna attesa di retribuzione.
Questa categoria comprende innanzitutto gli articoli pubblicati su riviste peer
review, ma include anche preprint non revisionati, che gli autori
desiderano mettere online per ricevere commenti o per avvisare i colleghi di
risultati di importanti ricerche. Vi sono diversi livelli e generi di accesso, pi
ampio o pi semplice, a questa letteratura. Per accesso aperto intendiamo la
sua libera disponibilit sull'Internet pubblico, e la possibilit per ciascun
utente di leggere, scaricare, copiare, distribuire, stampare, ricercare o
collegare i testi pieni di questi articoli, effettuare navigazioni al loro
interno ai fini di indicizzazione, trasmetterli come dati a specifici software
o usarli per ogni altro scopo legittimo, senza barriere finanziarie, legali
o tecniche che non siano quelle dello stesso accesso a Internet. In questo campo
il solo obbligo per la riproduzione o la distribuzione, e il solo ruolo per il copyright,
dovrebbero essere dati dal controllo degli autori sull'integrit del loro
lavoro, e questo diritto dovrebbe essere adeguatamente riconosciuto e citato [61]. Sono dunque questi i criteri che conducono verso un accesso aperto
ai materiali di ricerca, i quali consistono non solo nei preprint e
negli articoli peer reviewed, ma in tutti quei documenti per cui gli
autori non si aspettano alcuna retribuzione, come ad esempio le monografie scientifiche,
gli atti di convegni, le tesi e le dissertazioni, i rapporti governativi, gli
statuti, le sentenze e le opinioni giuridiche, etc. Difatti il fondamentale principio su cui si basa
l'iniziativa la volont di mettere a disposizione tali documenti
gratuitamente e senza restrizioni: ed soltanto a questo tipo di letteratura
– definita Harnad come give away [62] – che si applica la strategia dell'accesso aperto,
mentre ne sono esclusi i materiali dai quali gli autori desiderano ricavare un
utile, cos come le pubblicazioni di natura non scientifica. Ed peraltro in quest'ottica che i promotori possono ribadire la
totale compatibilit del progetto con il meccanismo della peer review,
fino a sostenere che BOAI persegue l'accesso aperto alla letteratura peer reviewed
(ibidem). L'unica eccezione e ovviamente costituita dai preprint,
ma ci non contrasta con l'obiettivo ora enunciato, se e vero che questi
documenti subiscono comunque un processo di valutazione, essendo sottoposti
alle riviste in una fase successiva alla loro archiviazione: a parere degli
autori infatti la peer review indipendente dal supporto, e necessario
tanto per le riviste online quanto per quelle a stampa, e non e cos difficile
da realizzare. Diverso e il caso dellautopubblicazione (ossia della
collocazione indiscriminata e anarchica di materiali su Internet), la quale
considerata una forma di vanity press perch bypassa di fatto la peer
review [63], e dunque non
si configura come il genere di accesso aperto che BOAI ricerca o sostiene [64]. Le due strategie raccomandate dal progetto sono dunque
l'autoarchiviazione e la creazione di nuove riviste. La prima senza dubbio
una pietra miliare negli attuali percorsi della comunicazione scientifica, specie
da quando l'Open Archives Initiative ha individuato gli standard pi idonei per la creazione di archivi e per il
recupero delle informazioni. Cos, in stretta sintonia con gli obiettivi
dell'OAI, i promotori della BOAI possono sostenere che lo scopo
dell'autoarchiviazione quello di rendere massimo l'accesso ai risultati della
ricerca peer reviewed, ampliandone la visibilit, l'utilizzo e l'impatto
per l'intera comunit scientifica. Ed proprio per garantire queste finalit che l'autoarchiviazione
dovrebbe essere effettuata dagli stessi autori, agevolati in ci dall'utilizzo
di software e meccanismi automatici di deposito. Si tratta peraltro di
una pratica che consente agli autori di conservare i diritti sui lavori che
decidono di archiviare prima che vengano sottoposti a valutazione, mentre per
quelli gi pubblicati su riviste refereed possibile, in ogni caso,
modificare gli accordi relativi al trasferimento del copyright; qualora
invece si trovino di fronte a norme che limitano le possibilit di
autoarchiviazione, gli autori possono allegare un file di corrigenda al preprint precedentemente
archiviato (ibidem). La seconda strategia raccomandata da BOAI invece un ritorno allo
strumento principe di disseminazione dell'informazione scientifica, e cio la
rivista: gli studiosi infatti sono invitati a produrre una nuova generazione di
periodici in alternativa alle testate commerciali, e allo stesso tempo a
sostenere quelle riviste che decidono di passare all'accesso aperto. Va da s
che tali riviste, avendo lo scopo di diffondere nella maniera pi ampia i
propri articoli, non praticheranno politiche di sottrazione dei diritti, ne
imporranno restrizioni all'accesso e all'uso dei materiali pubblicati, cos
come non richiederanno il pagamento di tariffe o abbonamenti. Pertanto il loro
sostentamento potr aver luogo grazie a finanziamenti concessi da fondazioni,
universit o istituti di ricerca, ma anche attraverso la commercializzazione di
risorse a valore aggiunto, o utilizzando i fondi resi liberi dalla
cancellazione di quelle riviste che praticano costi di abbonamento troppo elevati.
dunque su queste basi, sostengono i promotori dell'iniziativa, che si possono
costruire i percorsi per una nuova comunicazione scientifica: difatti, se
vero che l'obiettivo l'accesso aperto alla letteratura delle riviste peer
riview, l'autoarchiviazione e una nuova generazione di riviste alternative
ad accesso aperto sono gli strumenti per raggiungere questo obiettivo. Si
tratta di mezzi non soltanto efficaci e adeguati allo scopo, ma alla portata
degli studiosi, in maniera immediata e senza bisogno di provocare cambiamenti
nel mercato o nella legislazione. Noi da un lato riconosciamo le due strategie
ora sottolineate, dall'altro ne incoraggiamo la sperimentazione, sulla base di
ulteriori criteri volti a realizzare una transizione dagli attuali metodi di
disseminazione all'accesso aperto. La flessibilit, la sperimentazione e
l'adattamento alle circostanze locali costituiscono il modo migliore per assicurare
che il progresso nei diversi settori sia rapido, sicuro e di lunga vita (ibidem). 8. La diffusione dellopen access Come si e visto, l'esperienza di BOAI ha individuato un modello duplice:
da un lato la fondamentale presenza degli open archives, siano questi di
tipo disciplinare o istituzionale (ed e ci che Gudon ha brillantemente
definito green road), dall'altro la diffusione di periodici ad accesso
aperto, a cui lo studioso ha dato il nome di gold road [65]. E al di la della presenza,
ormai diffusa e consolidata, di importanti archivi disciplinari, appare in
forte crescita la realt degli archivi istituzionali, cio quei depositi creati
da universit o centri di ricerca [66], e dunque non orientati a una specifica
area tematica ma volti ad accogliere tutte le discipline. I vantaggi di quest'ultima tipologia sono evidenti, e consistono
nella possibilit di un accesso pi ampio ai materiali di ricerca (e quindi in
una maggiore capacita d'impatto), oltre che in una crescita di visibilit
dell'istituzione che ospita gli archivi [67]. Queste motivazioni sono state
lucidamente colte da Gudon, il quale le inserisce in una prospettiva che avr interessanti
sviluppi negli anni pi vicini a noi [68]. Lo studioso infatti, dopo aver messo
in luce i danni che possono derivare da repositories contenenti
materiali obsoleti o di scarso interesse, sostiene che gli archivi
istituzionali debbano dotarsi di linee guida volte a classificare in modo
idoneo i documenti che ad essi sono inviati; per questo egli propone tre
"livelli di ingresso", in grado di agevolare non solo il deposito, ma
anche il reperimento e l'efficace utilizzo di questi documenti. Il primo livello per cos dire canonico, in quanto comprende
tutte le operazioni che avvengono negli odierni open archives: a questo
stadio, rileva l'autore, gli studiosi possono depositare i papers che
considerano interessanti, sia per dare ad essi una seconda vita, nel caso siano
gi stati pubblicati su carta, sia per promuovere una discussione intorno a un
determinato argomento. Si tratta di una fase in cui si affrontano tanto i
problemi di copyright quanto quelli connessi alla certificazione dei papers,
e che spinge Gudon a definire questo livello come inferno istituzionale:
esso infatti non comporta un particolare prestigio o valore simbolico per il paper
e per il suo autore, ma annuncia al mondo che un serio componente di una
seria istituzione sta rendendo disponibili un certo numero di lavori realizzati
seriamente, alcuni dei quali sono peer reviewed e altri no (ibidem). Il secondo livello indicato da Gudon potr essere assai utile a
universit, centri di ricerca e altre istituzioni scientifiche, specie quando
richiesta una pi efficace valutazione dei propri componenti. Le istituzioni infatti
possono decidere di andare oltre i tradizionali strumenti (peer review,
fattore d'impatto...) e creare una commissione interna allo scopo di esaminare
i lavori degli studiosi, o costituire commissioni miste con membri di altre
universit [69]. Ma ci che pi conta, afferma Gudon, che una volta ammessi
a questo livello i papers abbiano il pieno sostegno dell'istituzione, e
dunque possano essere usati per la promozione o il mantenimento della carriera
accademica: ed per questo che egli definisce questo livello purgatorio
istituzionale. Il terzo stadio naturalmente il paradiso. Ma come possibile
caratterizzare le pubblicazioni che possono entrarvi? La risposta, secondo Gudon,
che ci pu avvenire sottoponendo queste pubblicazioni a una procedura di
valutazione che, alla luce di quanto e oggi disponibile, si dimostri la
migliore possibile: insomma, una procedura cos buona che pubblicare un
articolo su Nature o Science diventi qualcosa di cui vergognarsi [70]. La maniera per realizzare questo obiettivo ovviamente la
creazione di commissioni di grande prestigio internazionale, in grado di
valutare con il massimo rigore i papers che ad esse sono sottoposti [71];
e se alcune istituzioni si sentono trascurate perch non sono entrate a far
parte di questi consorzi, allora opportuno crearne di nuovi, dal momento che la
competizione fra commissioni pu produrre una valutazione ancora pi efficace
dei lavori presi in esame. Secondo Gudon dunque essere selezionato da una o pi
commissioni equivale, per ciascun paper, a raggiungere il paradiso; e se
poi a questo paper vengono aggiunti i metadati, esso pu davvero entrare
nel paradiso universale delle pubblicazioni (ibidem). Il discorso di Gudon, con ogni evidenza, mostra come gli archivi
istituzionali possano rappresentare una soluzione al problema dell'accesso aperto,
e garantire al tempo stesso le pi adeguate procedure di valutazione: procedure
che, affiancandosi a quelle gi esistenti, siano in grado di generare un
diverso meccanismo di produzione del sapere, grazie al quale anche i paesi
poveri potranno far sentire la loro voce, e le menti migliori presenti in istituzioni periferiche
saranno in grado di partecipare al pi vasto concerto delle opinioni (ibidem).
per questo, conclude l'autore, che contro l'ingiusta ed
elitistica forma di globalizzazione che ha coinvolto cos negativamente la scienza,
questo approcci e capace di offrire un percorso verso una forma migliore di
globalizzazione scientifica. Allo stesso tempo, la diluizione del monopolio
della valutazione attualmente detenuto dalle riviste pi prestigiose pu
gradualmente tradursi in un coinvolgimento delle menti migliori del pianeta. Il
risultato che finalmente pu emergere una vera competizione, mentre la
spirale dei prezzi dei periodici inizier ad abbassarsi e forse anche a
interrompersi (ibidem). 9. Le iniziative a sostegno dellopen access Gli anni pi recenti mostrano una realt assai dinamica, in cui
una quantit di archivi istituzionali si aggiunge ai tradizionali repositories
tematici, mentre si accresce la disponibilit di nuove riviste, che non
rispondono pi ai canoni di un mercato anelastico, ma si aprono alle richieste
di una larga parte della comunit scientifica; e proprio nel nome dell'open
access vengono messe in campo una quantit di iniziative, cui si accompagna
l'enunciazione di principi accolti da numerose istituzioni in tutto il mondo. In effetti gi la BOAI aveva fornito un'eccellente definizione di
accesso aperto, che veniva denotato come la libera disponibilit in rete della letteratura
scientifica e la possibilit, per ciascun utente, di utilizzarne in modo ampio
i contenuti, senza barriere finanziarie, tecniche o legali, ma con l'unico
vincolo di garantirne l'integrit e la paternit intellettuale. A questa prima
formulazione se ne sono aggiunte altre che, il pi delle volte, hanno fatto
seguito a importanti iniziative internazionali. Decisamente significativa, ad esempio, appare la Dichiarazione di Bethesda
[72], nata in seguito all'incontro tenutosi nell'aprile 2003 nella citt
americana e legata in particolare all'ambito biomedico: in essa infatti vengono
affermati principi che sanciscono l'impegno assunto dai partecipanti al meeting
(istituzioni, agenzie di finanziamento, biblioteche, editori, societ
scientifiche e studiosi) ad operare in modo concreto in favore dell'accesso
aperto nello specifico campo della biomedicina. Per far ci, gli autori e i detentori del copyright garantiscono a tutti
gli utenti un libero, irrevocabile, ampio e perpetuo diritto di accesso ai
propri lavori, e una licenza per copiare, utilizzare, distribuire, trasmettere
e mostrare pubblicamente questi lavori, oltre che ricavare e diffondere altri
lavori, su qualsiasi supporto e per qualsiasi obiettivo responsabile, per
quanto sottoposti a un'adeguata attribuzione di paternit, e il diritto di
realizzare un piccolo numero di copie a stampa per il proprio uso personale.
Una versione completa di questi lavori [...] viene immediatamente depositata
almeno in un archivio online sostenuto da istituzioni accademiche, societ
scientifiche, agenzie governative o altre organizzazioni che mirano a
sviluppare l'accesso aperto, la distribuzione senza vincoli, l'interoperabilit
e l'archiviazione di lungo termine (ibidem). Queste efficaci enunciazioni costituiscono la base sulla quale,
alcuni mesi pi tardi, verr elaborato un nuovo e assai importante documento, che
in breve tempo diventer un imprescindibile punto di riferimento per molte
comunit accademiche e di ricerca: ci riferiamo alla Dichiarazione di Berlino,
redatta al termine della conferenza organizzata dalla Max Planck Society e
tenutasi nella capitale tedesca nell'ottobre del 2003, con l'obiettivo di
discutere i temi dell'accesso aperto alle conoscenze e il ruolo che vi pu svolgere
la rete Internet [73]. Il documento [74], ratificato da numerose istituzioni a livello
internazionale, chiarisce e consolida l'idea dell'open access, sia perch
si raccorda alle precedenti dichiarazioni di Budapest e di Bethesda, sia perch
individua una vera e propria mission, volta alla pi ampia
"disseminazione della conoscenza", che deve avvenire non solo attraverso
le modalit tradizionali, ma anche e sempre pi attraverso il paradigma
dell'accesso aperto via Internet [75]. Per realizzare questi obiettivi, e
allora necessario mettere in campo tutti i mezzi capaci di accreditare
l'accesso aperto quale procedura meritevole [76], e ci pu aver luogo incoraggiando i ricercatori e i beneficiari di finanziamenti per
la ricerca a pubblicare i risultati del proprio lavoro secondo i principi
dell'accesso aperto; incoraggiando i detentori del patrimonio culturale a
supportare l'accesso aperto mettendo a disposizione le proprie risorse su
Internet; sviluppando i mezzi e i modi per valutare i contributi ad accesso
aperto e le pubblicazioni in linea, cos da preservare gli standard qualitativi
della validazione e della buona pratica scientifica; difendendo il
riconoscimento delle pubblicazioni ad accesso aperto ai fini delle valutazioni per
le promozioni e l'avanzamento delle carriere; difendendo il merito intrinseco
dei contributi in una infrastruttura ad accesso aperto attraverso lo sviluppo
di strumenti di fruizione, la fornitura di contenuti, la creazione di metadati
o la pubblicazione di articoli individuali (ibidem). Ed interessante che, a solo un anno di distanza, anche nel
nostro Paese questi principi siano stati pienamente riconosciuti e accolti: e ci
e avvenuto in seguito ad un convegno promosso dalla Conferenza dei Rettori
delle Universit Italiane, tenutosi a Messina il 3 e 4 novembre 2004 [77], con
l'obiettivo di sensibilizzare e coinvolgere il maggior numero di persone
intorno ai temi dell'accesso aperto e, di conseguenza, favorire la diffusione
di questa pratica nel modo pi ampio possibile. Il documento conclusivo, che ha
ovviamente preso il nome di Dichiarazione di Messina, stato firmato dai
rettori di 31 universit italiane, ai quali si sono successivamente aggiunti
altri atenei, fino a portare a 74 il numero delle universit aderenti rispetto
alle 77 esistenti sul territorio nazionale. In particolare, i firmatari riconoscono l'importanza davvero
cruciale che la diffusione delle conoscenze riveste per la crescita economica e
culturale della societ, e sono sensibili alle esigenze, provenienti da tanta
parte del mondo accademico, di forme alternative di comunicazione scientifica;
alla luce di ci, e tenendo conto
delle precedenti affermazioni in favore dell'accesso aperto, i rettori
dichiarano la loro adesione alla Dichiarazione di Berlino, con l'auspicio che
questo gesto costituisca un primo ed importante contributo dato dagli Atenei italiani
ad una pi ampia e rapida diffusione del sapere scientifico [78]. Ora, non chi non veda il valore politico – oltre che
accademico e istituzionale – che connesso a questo documento, sia perch
attesta il sostegno delle universit italiane alle iniziative volte a estendere
l'accesso aperto, sia perch assume una vera e propria funzione di guida nella
ricerca di nuovi modelli di disseminazione della letteratura accademica che si
pongano in posizione complementare rispetto al modello tradizionale di editoria
scientifica [79]. Questi aspetti sono stati rilevati con efficacia da Vincenzo
Milanesi, all'epoca rettore dell'universit di Padova e presidente della
Commissione Biblioteche della CRUI che, dopo aver messo in luce i guasti
derivanti dai convenzionali meccanismi editoriali, ha individuato
nell'autoarchiviazione e nel ricorso a strategie alternative il percorso che pu
affrancare la comunit scientifica dai problemi che finora l'hanno
condizionata: un percorso che passa necessariamente per l'accesso aperto, il
quale si configura appunto come una strategia, un insieme di iniziative internazionali con al
centro gli scienziati e i bibliotecari delle universit di tutto il mondo,
coalizzati assieme. L'open access ha lo scopo primario di combattere il
paradosso della propriet intellettuale nel circuito della comunicazione scientifica,
che ostacola i processi di crescita e sviluppo della scienza, tentando al
contempo di arginare l'emorragia della spesa per la letteratura scientifica [80]. E a seguito di questi eventi, negli ultimi anni si sono registrate
numerose iniziative tese non solo a promuovere l'idea dell'accesso aperto mediante
linee guida e raccomandazioni, ma anche a consolidarne le possibilit
attraverso politiche mandatarie, volte cio a rendere obbligatorio il
deposito di lavori di ricerca negli open archives delle istituzioni a
cui appartengono gli studiosi che li hanno prodotti. A partire dal 2005, infatti, un numero crescente di enti di
ricerca ed organismi di finanziamento hanno emanato policies che
prevedono la pubblicazione ad accesso aperto dei risultati delle ricerche dei
propri componenti: tra gli enti che hanno intrapreso questo percorso
ricordiamo il Wellcome Trust, il Royal Councils, il CERN, l'Australian Research
Council e il Deutsche Forschungsgemeinschaft [81]. D'altro canto, la Conferenza
dei Rettori di alcune universit europee, tenutasi a Liegi il 18 ottobre 2007,
ha lanciato il progetto EurOpenScholar per una universit aperta e
interattiva [82]; lo stesso anno l'European Research Council ha approvato una policy
mandataria a favore dell'open access [83]. Nel 2008 il Senato degli Stati Uniti d'America ha
ratificato la politica dell'accesso aperto per le ricerche finanziate dal
National Institute of Health [84], mentre partito un progetto pilota
dell'Unione Europea per il finanziamento della pubblicazione ad accesso aperto
delle ricerche sviluppate all'interno del Settimo programma quadro [85];
contemporaneamente un gruppo di lavoro dell'European University Association ha
approvato le Raccomandazioni EUA in materia di open access [86]. E se in Italia risale al 2006 la costituzione di un gruppo di
lavoro sull'accesso aperto presso la Conferenza dei Rettori delle Universit
Italiane, e del 2008 la policy adottata dall'Istituto Superiore di Sanit
a favore dell'open access, mentre nel 2010 vi e stata la delibera degli
organi accademici della Universita LUISS per una politica mandataria volta al
deposito delle pubblicazioni di ricerca nell'archivio istituzionale dell'ateneo
[87]. In questo quadro, una particolare importanza assumono le iniziative
in favore dell'open access messe in atto dalla CRUI. Fin dal 2006, a
seguito dell'adesione della quasi totalit degli atenei alla Dichiarazione di
Berlino, si e infatti creato un gruppo di lavoro con il compito di
approfondire i temi legati all'accesso aperto, anche in sinergia con le
politiche e gli indirizzi europei [88]. Il gruppo ha quindi individuato una
serie di temi su cui incentrare la propria attivit, volti in particolare alla formulazione
di best practices e linee guida: nel 2007 sono nate cos le Linee
guida per il deposito delle tesi di dottorato negli archivi aperti [89], mentre risalgono al 2009 le Linee
guida per gli archivi istituzionali [90],
le analoghe linee guida per le riviste ad accesso aperto [91], oltre al
fondamentale documento dal titolo L'Open Access e la valutazione dei
prodotti della ricerca scientifica. Raccomandazioni [92], sul quale in questa sede opportuno soffermarsi. In esso infatti sono enunciati una serie di principi che appaiono
fortemente innovativi rispetto ai meccanismi di valutazione della ricerca impiegati
nel nostro Paese, i quali risultano ancorati a criteri convenzionali, come
quelli basati sulla capacit d'impatto dei prodotti della ricerca. Alla luce di
tali criteri, appare indispensabile pubblicare su riviste a elevato fattore
d'impatto, riviste che di norma sono di propriet dei grandi editori
internazionali, e che vanno ad alimentare quel mercato anelastico che penalizza
fortemente la diffusione del sapere scientifico. Oggi invece, argomenta il documento della CRUI, la diffusione
degli open archives – ed in particolare di quelli istituzionali –
costituisce un elemento di forte rinnovamento nel contesto della comunicazione
scientifica, ed assume un valore decisivo per i processi di valutazione
accademici. Questi ultimi dunque, cos come le categorizzazioni dei prodotti
di ricerca finora operate dalle agenzie di valutazione, possono e devono essere
aggiornati alla luce dei nuovi contesti che coinvolgono autori, editori, enti
finanziatori, valutatori e potenziali utenti (ibidem). Non e quindi un
caso se le Raccomandazioni della CRUI siano esplicite nel sostenere che
oggi la comunicazione scientifica si e profondamente modificata, e
l'articolo pubblicato su una rivista rappresenta spesso il punto finale di una
catena comunicativa al cui inizio cՏ un intervento a un convegno. Gli archivi
ad accesso aperto permettono di valorizzare tutte le tappe di questa catena e di
far crescere la reputazione dell'autore e il futuro impatto dell'articolo.
stato anche dimostrato che gli articoli depositati in archivi ad accesso aperto
sono citati pi spesso di quelli che non lo sono. Il ruolo che il mondo
dell'Open Access pu avere nell'ambito della valutazione della ricerca riguarda
la possibilit di sottoporre a giudizio anche materiali non tradizionali e di
elaborare nuovi indicatori bibliometrici da affiancare a quelli attualmente in
uso (ibidem). 10. I nuovi criteri di valutazione della ricerca Si tratta di un aspetto davvero cruciale, se vero che l'intero
processo di valutazione dei risultati della ricerca viene strettamente
associato alle capacita dell'open access [93]. Queste ultime, lo si e visto, consistono non solo nel
mantenimento dei diritti d'autore, ma in un superamento del digital divide dovuto
all'aumento indiscriminato dei prezzi delle pubblicazioni, in una maggiore e pi
tempestiva circolazione dei risultati delle ricerche grazie alla loro
collocazione in repositories disciplinari e istituzionali, oltre che alla
loro indicizzazione da parte di motori di ricerca specializzati quali Google
Scholar [94] o Scientific Commons [95]. Ma l'elemento pi rilevante, in grado di caratterizzare l'odierna
realt della comunicazione scientifica, risiede appunto nella possibilit di
ancorare i processi di valutazione alle capacita dell'accesso aperto, e ci
avviene da un lato sfruttando le tradizionali prerogative del fattore
d'impatto, dall'altro esplorando le potenzialit di nuovi indicatori
bibliometrici [96], pi legati alla dimensione della rete e ai suoi modelli di
funzionamento [97]. Per quanto riguarda il primo punto, una serie di studi hanno ormai
accertato un evidente vantaggio citazionale (e quindi un maggiore impatto)
per le pubblicazioni disponibili ad accesso aperto [98]. noto che l'impatto
delle pubblicazioni scientifiche viene espresso in termini di conteggio delle
citazioni – tradizionalmente definito attraverso l'impact factor, su cui ci soffermeremo fra
breve – e si colloca nel pi ampio contesto dell'analisi citazionale, che
prende in esame la frequenza e il modello delle citazioni negli articoli e nei
testi in genere. Oggi dunque accertato che la collocazione dei materiali di
ricerca su archivi aperti o periodici ad accesso aperto ne aumenta non solo la
visibilit, ma anche la possibilit che vengano citati da altri autori,
accrescendone cos l'impatto [99]. Un caso di particolare evidenza e quello delle riviste open
access, per le quali il vantaggio citazionale appare particolarmente
significativo: alcuni periodici ad accesso aperto, ad esempio, hanno ottenuto
un impact factor comparabile a quello dei pi prestigiosi periodici
tradizionali, ed hanno visto crescere notevolmente le richieste di submission,
mentre alcune fra le riviste della Public Library of Science (PLoS), editore
totalmente open access, hanno raggiunto il fattore d'impatto pi elevato
nei rispettivi campi disciplinari [100]. Ma quali sono gli elementi che consentono di riconoscere questo
vantaggio? Una prima analisi si e avuta nel 2005 per opera dell'astrofisico Michael
Kurtz, il quale ha individuato tre postulati strettamente connessi al vantaggio
citazionale [101]: il primo il postulato dell'Open Access, in base al
quale gli autori sono pi invogliati a leggere, e quindi a citare, gli articoli
disponibili ad accesso aperto; il secondo e quello del Selection Bias,
per cui assai probabile che gli autori di spicco (e perci potenzialmente pi
citabili) mettano i loro articoli ad accesso aperto; infine, il postulato dell'Early
View rileva che gli articoli collocati ad accesso aperto prima della
pubblicazione su una rivista riescono a ottenere un numero di citazioni
maggiore rispetto a quelli pubblicati sui periodici tradizionali. Questi assunti sono stati discussi e rielaborati da Chawki Hajjem
e Stevan Harnad [102], che a loro volta hanno enunciato sei criteri volti a
definire con precisione ci che essi chiamano l'OA Advantage. Tali
criteri sono l'Early Advantage (archiviare i preprint aumenta le
citazioni, perch i testi sono disponibili prima); il Quality Advantage (meno
del 10% degli articoli riceve 90% delle citazioni); l'Accessibility
Advantage (ossia l'accesso universale grazie alla rete); l'Usage
Advantage (l'autoarchiviazione aumenta il downloading e lutilizzo
dei contributi); il Quality Bias (gli articoli migliori hanno maggiori
possibilit di essere autoarchiviati, in base al principio della self
selection), e infine il Competitive Advantage, cio il vantaggio
dell'accesso libero rispetto al Toll Access, l'accesso a pagamento. Ora i criteri proposti da Kurtz, cos come quelli indicati da
Hajjem e Harnad, mostrano che il vantaggio citazionale dei lavori disponibili
ad accesso aperto e collegato da un lato all'individuazione di nuovi metodi di misurazione
(fra cui, come vedremo, larga parte ha il conteggio degli articoli scaricati
dalla rete, l'analisi dei link ipertestuali, il sistema di ranking di
Google, etc.), dall'altro alla presenza di indici citazionali alternativi al
convenzionale impact factor. E tuttavia, per dar conto di queste nuove
possibilit, necessario ritornare sui meccanismi pi tradizionali, ed in
particolare sul fattore d'impatto. Com'e noto, l'impact factor e la misura del numero di
citazioni degli articoli pubblicati su una determinata rivista rispetto al
numero totale di articoli pubblicati dalla stessa rivista nei due anni
precedenti [103]. Non v'e dubbio che esso appaia come uno degli indicatori pi
rilevanti nel calcolo delle citazioni, in particolare per la sua capacita di
definire il grado di penetrazione dei risultati della ricerca all'interno di
una comunit scientifica, oltre che la loro considerazione da parte di altri ricercatori.
Al fattore d'impatto sono tipicamente associati numerosi vantaggi, tra cui la
possibilit di effettuare una valutazione anche senza avere una precisa
conoscenza delle discipline o delle riviste di riferimento, o di realizzare
forme di autovalutazione da parte di singole comunit scientifiche. Di converso, l'impact factor sottoposto a numerose
critiche [104]. In primo luogo, sostengono infatti molti osservatori, non vi e
alcuna evidenza che le riviste pi citate siano necessariamente le pi lette,
anzi probabile che le riviste multidisciplinari – o comunque quelle
meno specializzate – siano realmente tra quelle pi lette. Inoltre i
periodici presi in considerazione sono quasi esclusivamente in lingua inglese,
e appartenenti in misura maggiore ad alcune aree tematiche, quali la biomedicina
e la fisica. D'altra parte l'intero sistema e basato sugli articoli, per cui
vengono penalizzati quei domini disciplinari (come le scienze umane e sociali)
in cui prevalgono di fatto le monografie. Da ultimo, ma non per importanza, il
calcolo delle citazioni notevolmente influenzato dalla dimensione della
rivista, dalla sua politica editoriale, dalla sua periodicit e capillarit
nella distribuzione, tutti elementi che prescindono dall'effettivo rilievo
scientifico dei documenti citati. Per correggere le distorsioni provocate dal fattore d'impatto, al
giorno d'oggi si va affermando una vasta e interessante serie di strumenti [105].
Un ruolo di primaria importanza, infatti, sembra essere assunto da alcuni
indicatori bibliometrici ‒ tra cui l'Eigenfactor e l'Indice di Hirsch
‒ che appaiono diversi e persino alternativi rispetto all'impact factor. Una crescente
attenzione viene assegnata poi alle metriche di nuova generazione, quali il
Web Impact Factor e lo Usage Factor, e agli innovativi strumenti di rete come
Publish or Perish, ma anche alle pi tradizionali statistiche di download e
di trackback106. Infine, utile ricordare i pi recenti database di
citazioni (ad esempio Spires per la fisica) e gli innovativi sistemi di
condivisione di bibliografie, come Citebase, Citeulike e Connotea. E se si vuol partire dai pi recenti indicatori bibliometrici,
opportuno osservare che l'Eigenfactor [107], per il proprio ranking, si
basa su un algoritmo analogo a quello di Google, applicando dei correttivi al peso
delle citazioni e prendendo in considerazione un periodo temporale pi ampio
rispetto a quello tipico dell'impact factor (cinque anni anzich due),
perch tiene conto che alcune discipline ricevono citazioni pi tardi rispetto
ad altre. Esso inoltre prende in esame pi di 7.000 riviste scientifiche e
oltre 115.000 items, comprese le tesi e i popular magazines, e
fornisce informazioni sull'effettivo costo di un articolo tramite il Journal
Prices [108]. Per parte sua l'Indice di Hirsch – o H-Index, come pi
semplicemente viene definito – [109], volto a bilanciare la produttivit
degli autori con l'impatto citazionale, mettendo a confronto studiosi di ambiti
disciplinari diversi e con un numero differente di articoli e citazioni.
Difatti – e in ci consiste il calcolo di questo indicatore – uno
studioso ha indice h se h dei suoi articoli pubblicati in n anni
(Np) hanno ricevuto almeno h citazioni ciascuno, e gli altri articoli
(Np – h) hanno ricevuto h citazioni ciascuno; ad esempio,
se fino al ventesimo articolo l'autore ha ottenuto venti o pi citazioni, e per
gli altri ne ha ricevute almeno venti o meno di venti, il suo h-index
pari a 20. Oltre a questi indicatori, che come si detto tendono a emendare
i difetti pi vistosi dell'impact factor, assai interessanti appaiono le
nuove metriche, fondamentalmente legate alle innovative possibilit della rete.
Fra queste, ricordiamo il Web Impact Factor [110], uno standard quantitativo
per la valutazione delle risorse web che dato dal numero dei contatti che un
documento pubblicato sul web riceve moltiplicato per il numero delle pagine; si
tratta di uno strumento utile ma che, ovviamente, va impiegato con cautela.
Assai pi efficace risulta invece l'Usage Factor [111], un indice di misurazione
del valore dei periodici scientifici basato sugli utilizzi delle risorse
elettroniche, che dato dal rapporto fra il totale di utilizzi in un dato
periodo X di articoli pubblicati nel periodo Y, ed il totale di articoli
pubblicati nel periodo Y. Molto diverso invece e Publish or Perish [112], un
programma freeware basato su Google Scholar che fornisce, in pochi
secondi, le principali variabili bibliometriche in numerosi campi di ricerca
(dal management alle scienze sociali passando per le scienze dure), e
presenta indici bibliometrici ben correlati, al di la del fatto che Google Scholar
copra un insieme di pubblicazioni decisamente pi vasto rispetto a quelle
strettamente "accademiche". 11. Considerazioni conclusive L'excursus fin qui condotto testimonia, se ancora ve ne
fosse bisogno, della diffusione ampia e consapevole dell'accesso aperto, nelle
diverse forme che ha assunto negli ultimi anni [113]. Alcuni dati non possono
che confermare questa tendenza: per quanto riguarda la green road, ad
esempio, il servizio OpenDoar censisce oltre 1.900 archivi, di cui 81
aggregati, 220 disciplinari, 45 governativi e 1.588 istituzionali [114];
altrettanto ben rappresentata e la gold road, se vero che la Directory
of Open Access Journals registra 6.399 periodici (di cui 2.792 ricercabili a
livello di articolo), per un totale di 553.989 articoli [115]. Alla luce di ci, possibile avviarsi alla conclusione in maniera
forse pi distesa e ottimistica, ma senza per questo trascurare che la
situazione odierna continua a mantenere fattezze ibride, se vero che di fianco
a una realt assai vivace qual e quella dell'open access convive un
sistema editoriale dall'immutata forza economica [116]: dunque possibile che,
in un futuro non troppo lontano, si arrivi a una nuova dimensione, in cui
editori, studiosi e bibliotecari possano trovare un proprio ruolo senza
imposizioni o discriminazioni reciproche? La risposta, a parere di Jean-Claude Gudon [117], senz'altro
positiva, a condizione che ogni componente sia d'accordo nel mantenere e
sviluppare la propria mission: a cominciare dagli autori (per cui
essenziale rivolgersi con fiducia ai nuovi strumenti di trasmissione dell'informazione),
per arrivare dagli editori, i quali dovranno essere consapevoli che la
principale forma di competizione sar legata alla valutazione dei prodotti
scientifici, ed quindi su questo fronte che dovranno attrezzarsi. Infine, di estrema importanza apparir il ruolo dei bibliotecari, che
saranno chiamati a mettere in campo le proprie abilit tecniche e professionali
per creare nuovi canali di discussione tra editori, studiosi e istituzioni,
accrescendo le possibilit di diffusione e di utilizzo delle conoscenze, ma
allo stesso tempo operando per una riduzione dei costi: un ruolo realmente
strategico in quanto, come scrive Peter Suber, sono proprio i bibliotecari ad
avere la migliore comprensione del problema , riuscendo a dispiegare tutte le
strategie per rendere libero l'accesso, passo dopo passo, per ogni istituzione
e disciplina [118]. Note [1] Anna Maria Tammaro, La comunicazione scientifica e il ruolo
delle biblioteche, Biblioteche oggi, 17, 1999, n 8, p. 78-82, <http://www.bibliotecheoggi.it/1999/19990807801.pdf>. [2] Brian C. Vickery, Scientific
Communication in History, Lanham, The Scarecrow Press, 2000, p. XI. [3] Al riguardo si veda l'interessante contributo di Loet
Leydesdorff, The Complex Dynamics of Scientific Communication, <http://www.leydesdorff.net/scicomm/index.htm/>. [4] Tammaro, La comunicazione scientifica cit. [5] Pietro Rossi, Specializzazione del sapere e comunit
scientifica, in La memoria del sapere. Forme di conservazione e
strutture organizzative dall'antichit a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1990, p.
347. [6] Pietro Greco, La scienza on line circola come ai tempi di
Galileo Galilei, Telema, 17/18, 1999, <http://web.archive.org/web/20041014171146/http://www.fub.it/telema/TELEMA18/Greco18.html>. [7] Sul tema si rinvia ai fondamentali volumi di David A. Kronick,
A History of Scientific and Technical Periodicals. The Origins and Development of the Scientific and
Technical Press, 1665-1790,
2. ed., Metuchen, The Scarecrow Press,1976; Id., Scientific and Technical
Periodicals of the Seventeenth and Eighteenth Centuries: a Guide, Metuchen,
ivi, 1991. Un'efficace e originale sintesi proposta da Alfredo Serrai, Bibliografia
e cultura, in Dalla informazione alla bibliografia. La professione
bibliotecaria, Milano, Bibliografica, 1984, p. 85-132. Sulla realt
italiana si rimanda a Luigi Piccioni, Il giornalismo letterario in Italia.
Saggio storico-critico, v. 1, Giornalismo erudito accademico,
Torino-Roma, Loescher, 1894; Giovanna Perini, Nuove fonti per la Kunstliteratur
settecentesca in Italia: i giornali letterari, Cuneo, Saste, 1984; Carlo
Capra - Valerio Castronovo - Giuseppe Ricuperati, La stampa italiana dal
Cinquecento all'Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1986; Andrea Cristiani, Alle
origini dei periodici scientifici in Italia, in Conservare il Novecento:
la stampa periodica, 2 convegno nazionale, Ferrara, 29-30 marzo 2001, a cura
di Maurizio Messina e Giuliana Zagra, Roma, Aib, 2002, p. 51-55. Si veda infine
La biblioteca periodica. Repertorio dei giornali letterari del
Sei-Settecento in Emilia e in Romagna, v. 1: 1668-1726, a cura di
Martino Capucci, Renzo Cremante e Giovanna Gronda, Bologna, Il Mulino,1985; v.
2: 1740-1784, a cura degli stessi, ivi, 1987; v. 3: 1773-1790, a
cura di M. Capucci, R. Cremante e A. Cristiani, ivi, 1993. [8] Jean-Claude Guedon, In Oldenburg's Long Shadow: Librarians,
Research Scientists, Publishers, and the Control of Scientific Publishing,
May 2001 Membership Meeting, Creating the digital future, <http://www.arl.org/resources/pubs/mmproceedings/138guedon.shtml>; la
traduzione italiana di questo fondamentale saggio disponibile allindirizzo
<http://eprints.rclis.org/2573/>, con
il titolo La lunga ombra di Oldenburg: i bibliotecari, i ricercatori, gli
editori e il controllo dell'editoria scientifica [Per la pubblicit del sapere:
i bibliotecari, i ricercatori, gli editori e il controllo dell'editoria
scientifica]. [9] Luigi Balsamo, Editoria e biblioteche, in Le sedi
della cultura in Emilia-Romagna. I secoli moderni. Le istituzioni e il pensiero,
[Bologna] Federazione delle Casse di Risparmio e delle Banche del Monte
dell'Emilia-Romagna, Milano, Silvana Editore, 1987, p. 199-221. [10] Greco, La scienza on line cit. [11] To Publish and Perish: Commentary
From a University Press Perspective, Association of Research Libraries, May
13-15, 1998, <http://www.arl.org/resources/pubs/mmproceedings/132mmgivler.shtml >. [12] Cfr. ad esempio Sanford G. Thatcher, The
Crisis in Scholarly Communication, The Chronicle of Higher Education,
March 3, 1995, p. b1-b2, <http://www.ilt.columbia.edu/academic/classes/TU5020/SCHOLCOM.html>. [13] Si veda fra l'altro Donald W. King - Dennis
McDonald - Nancy Roderer, Scientific Journals in the United States,
Pennsylvania, Hutchinson Ross, 1981; Patrick Joyce - Thomas Merz, Price
Discrimination in Academic Journals, Library Quarterly, 55, 1985, p.
273-283; Ann Okerson, Periodical Prices: a History and Discussion,
Advances in Serials Management, 1, 1986, p. 101-134; Id., A Librarian's View
of Some Economic Issues in Electronic Scientific Publishing. Paper presented
at the Unesco Invitational Meeting on the Future of Scientific Information,
Paris, February 1996, <http://www.library.yale.edu/~okerson/unesco.html>; Sandra R. Moline, The Influence of Subject,
Publisher Type, and Quantity Published of Journal Prices, The Journal of
Academic Librarianship, 15., 1989, p. 12-18; Paul Metz - Paul M. Gherman, Serial
Pricing and the Role of the Electronic Journals, College and Research
Libraries, 51., 1991, p. 315-327; Donald W. King - Carol Tenopir, Evolving
Journal Costs: Implications for Publishers, Libraries, and Readers, Learned Publishing-Journal of
the Association of Learned and Professional Society Publishers, 12, 1999, n
4, p. 251-258. In lingua italiana si veda leccellente contributo di S. Michael Malinconico,
Biblioteche digitali: prospettive e sviluppo, Bollettino AIB, 38,
1998, n 3, p. 281, <http://www.aib.it/aib/boll/1998/98-3-275.htm>. [14] Molto importante l'indagine
condotta nel 1992 dall'Association of Research Libraries, University
libraries and scholarly communication. A study prepared for the Andrew W.
Mellon Foundation by Anthony M. Cummings, Marcia L. Witte, William G. Bowen, Laura
O. Lazarus and Richard H. Ekman, Published by The Association of Research
Libraries for The Andrew W. Mellon Foundation, November 1992, <http://etext.lib.virginia.edu/reports/mellon/mellon.html>. [15] Gudon, In Oldenburg's Long Shadow
cit. [16] Questa situazione di predominio degli editori commerciali sul
mercato dei periodici scientifici stata definita con diverse e per nulla
lusinghiere espressioni dagli osservatori: Mike Sosteric, ad esempio, parla di
vere e proprie pratiche predatorie (Mike Sosteric, Electronic Journals:
the Grand Information Future?, Electronic Journal of Sociology, 2, 1996,
n 2, <http://www.sociology.org/content/vol002.002/sosteric.html>). [17] Difatti, a causa dell'aumento dei costi e della costante
diminuzione dei budget, il taglio degli abbonamenti spesso diventa la prima,
anche se dolorosa necessit per le biblioteche, al punto che qualcuno ha
persino delineato un vademecum volto a rendere meno traumatiche queste
scelte: cfr. Sally Brown - Bill Downey - Phil Race, 500 Tips for Academic Librarians,
London, Library Association Publishing, 1997, in particolare p. 43-47. [18] Alessandro Fig-Talamanca, L'Impact Factor nella
valutazione della ricerca e nello sviluppo dell'editoria scientifica, 4.
Seminario Sistema informativo nazionale per la matematica SIN2000: un modello
di sistema informativo nazionale per aree disciplinari, Lecce, 2 ottobre 2000, <http://siba2.unile.it/sinm/4sinm/interventi/fig-talam.htm>. [19] Ad esempio, prosegue Fig-Talamanca, non vi alcun dubbio
che il fenomeno dell'aumento indiscriminato dei costi e l'espansione
aggressiva delle riviste commerciali ai danni delle riviste gestite dalle
istituzioni o associazioni scientifiche si sia prodotto anche nelle scienze
fisiche. Infatti stato un fisico, Henry Barschall, professore all'Universit
del Wisconsin e editor di Physical Review a pubblicare, a partire dal
1986, una serie di studi sui costi delle riviste scientifiche in diverse
discipline. Le sue conclusioni furono che le riviste pi costose erano quelle
gestite da editori commerciali. Le conclusioni non cambiavano (a quei tempi)
nemmeno se si considerava il rapporto tra costo e 'impatto'. L'American
Physical Society (APS), l'American Institute of Physics (AIP), l'American
Mathematical Society (AMS) e lo stesso Barschall sono stati citati in giudizio
dall'editore Gordon & Breach nei paesi dove era vietata la pubblicit comparativa,
con il pretesto che le analisi di Barschall altro non erano, appunto, che
pubblicit comparativa a favore di istituzioni che, pubblicando esse stesse
riviste scientifiche, erano in concorrenza con gli editori. Le citazioni
giudiziarie hanno sostanzialmente messo a tacere le societ scientifiche (<http://barschall.stanford.edu/>,
<http://www.library.yale.edu/barschall/>). [20] Cfr. in particolare Moline, The
Influence of Subject cit. [21] Gudon, In Oldenburg's Long Shadow
cit. Tuttavia, nota Fig-Talamanca, non difficile trovare pubblicati
su riviste di prestigio e con alto impact factor articoli che riportano
risultati derivanti dalla semplice e pedissequa applicazione di metodologie routinarie.
Ad esempio, la rivista Lancet ha pubblicato un articolo sul peso degli
zainetti degli scolari italiani, in relazione al peso dei bambini che li
portavano. L'articolo e basato, oltre che su un'elementare raccolta dei dati,
sulla pi semplice e routinaria elaborazione statistica. troppo facile
paragonare lo IF di Lancet (IF 11,79) a quello della rivista Annals of
Mathematics (IF 1,7) dove stata recentemente pubblicata la dimostrazione, ad
opera di Andrew Wiles, dell'ultimo teorema di Fermat, cio la soluzione di un
problema sul quale si sono cimentati, per alcuni secoli, i migliori matematici
del mondo (Fig-Talamanca, L'Impact Factor nella valutazione della ricerca cit.). [22] Non a caso il suo articolo del 1986 sui costi dei periodici (Periodical
prices: a History and Discussion, cit.) ha vinto nel 1988 l'American
Library Association Best Article Awards nell'area dei periodici, delle
acquisizioni e delle raccolte. Ann Shumelda Okerson all'epoca direttore
dell'Arl Office of Scientific and Academic Publishing, poi Associate University
Librarian for Collections and Technical Services della Yale University, forse
la bibliotecaria che ha fornito i contributi pi rilevanti tanto nel campo dei
periodici elettronici quanto per ci che riguarda la negoziazione delle
licenze; la sua pagina personale all'indirizzo <http://www.library.yale.edu/~okerson/alo.html>. [23] Ann Okerson, Scholarly Publishing
in the NREN, Arl: a Bimonthly Newletter of Research Library Issues and
Actions, 151, 1990, p. 3-4. [24] Successivamente Harnad diventato Canada Research Chair in
Science cognitive, Universit di Montreal (Quebec). [25] Disponibile agli indirizzi Internet: <http://psycprints.ecs.soton.ac.uk/>; <http://cogprints.ecs.soton.ac.uk/cgi/psyc/newpsy>; <http://www.princeton.edu/~harnad/psyc.html>. [26] Paul Ginsparg, First Steps Towards
Electronic Research Communication, adapted from Computers in Physics, 8,
1994, n 4, p. 390-396, <http://xxx.lanl.gov/ftp/hep-th/papers/macros/blurb.tex>. [27] Paul Ginsparg, Winners and Losers
in the Global Research Village, Invited contribution for Conference held ad
Unesco, Paris, 19-23 February 1995, <http://arXiv.org/blurb/pg96unesco.html>. [28] Stevan Harnad - Jessie Hey, Esoteric
Knowledge: the Scholar and the Scholarly Publishing on the Net, in Networking
and the Future of Libraries 2. Managing the Intellectual Record. An
International Conference held at the University of Bath, 19-21 April 1995,
London, Library Association Publishing, 1995, p. 110-116. [29] In realt, precisa Harnad, per studiosi e scienziati la
carta non un fine ma un mezzo. Essa ci ha servito per diversi millenni, ma
sarebbe sorprendente se questo medium fatto dall'uomo si rivelasse
ottimale per sempre. In pratica, la carta ha sempre avuto un notevole
svantaggio consistente nei suoi tempi di trasmissione: per quanto ci abbia
permesso di codificare, conservare e trasmettere le idee e le ricerche in modo
incomparabilmente pi efficace di quanto sia mai stato possibile con l'oralit,
i suoi tempi sono assai pi lenti delle interazioni orali a cui la velocit del
pensiero sembra essere organicamente adattato. Oggi le riviste elettroniche
hanno reso possibile all'editoria scientifica di evitare i limiti legati al medium
cartaceo, permettendo alla comunicazione scientifica di diventare molto pi
rapida, globale e interattiva di quanto fosse mai stata prima (What
Scholars Want and Need From Electronic Journals, in Scholarly Journals
at the Crossroad: a Subversive Proposal for Electronic Publishing. An Internet Discussion About Scientific and Scholarly
Journals and Their Future, edited
by Ann Shumelda Okerson and James J. ODonnel, Washington, Office of Scientific
and Academic Publishing, 1995, p. 90). [30] Harnad, The Subversive Proposal,
in Scholarly Journals at the Crossroads cit., p. 11 (enfasi
dell'autore). [31] Stevan Harnad, Post-Gutenberg
Galaxy: the Fourth Revolution in the Means of Production of Knowlwdge, The
Public-Access Computer System Review, 2, 1991, n 1, p. 39-53, <http://info.lib.uh.edu/pr/v2/n1/harnad.2n1>. [32] Stevan Harnad, Scholarly
Skywriting and the Prepublication Continuum of Scientific Inquiry,
Psychological Science, 1, 1990, p. 342-343; poi in Current Contents, 45,
1991, p. 9-13, <http://www.cogsci.soton.ac.uk/~harnad/Papers/Harnad/harnad90.skywriting.html>. [33] Cfr. John MacColl, E-print
Archives Key to Paperless Journals, Ariadne, 2, March 1996, <http://www.ariadne.ac.uk/issue2/ejournals/>. [34] Come scrive Michael Day, fuor di dubbio che Internet sia
sempre pi usato per la comunicazione accademica e scientifica, e spesso
stato rilevato come il suo utilizzo per la disseminazione delle ricerche possa
rappresentare la fine delle tradizionali riviste scientifiche a stampa (M. Day,
The Scholarly Journal in Transition and the PubMed Central Proposal,
Ariadne, 21, 20 September 1999, <http://www.ariadne.ac.uk/issue21/pubmed/ >). [35] Stevan Harnad, The Invisible Hand
of Peer Review, Nature, 5 November 1998, <http://www.nature.com/nature/webmatters/invisible/invisible.html>. [36] Id., Scholarly Journals at the
Crossroad cit., p. 175. [37] Ginsparg, ivi, p. 179. [38] In realt, nota Tullio Basaglia, per quanto il database non
abbia un vero e proprio meccanismo di peer review, esso tuttavia opera
una sorta di filtro imponendo una registrazione preventiva degli autori e
respingendo articoli palesemente irrilevanti. la comunit stessa dei pari
dell'autore a esercitare il controllo di qualit (T. Basaglia, Come
cambiano le pubblicazioni scientifiche in Rete. Evoluzione e problemi della comunicazione
scientifica in forma elettronica, Relazione presentata al 45. congresso
dell'Aib, Roma, Maggio 1999, <http://www.aib.it/aib/congr/co99basaglia.htm>. [39] Sul tema si veda fra l'altro Stevan Harnad,
Free at Last: the Future of Peer Review Journals, D-Lib Magazine, 5,
1999, n 12, <http://www.dlib.org/dlib/december99/12harnad.html>; Peter Roberts, Scholarly Publishing, Peer
Review and the Internet, First Monday, 4, 1999, <http://www.firstmonday.dk/issues/isue4_4/proberts/index.html>; Peter Henon - Candy Schwartz, Peer Review,
Library & Information Science Research, 23, 2001, n 1, p. 1-3; Renato Spigler,
Peer Reviewing and Electronic Publishing, High Energy Physics Libraries
Webzine, 6, 2002, <http://library.cern.ch/HEPLW/6/papers/5/>; Susan Van Rooyen, The Evaluation of
Peer-review Quality, Learned Publishing, 14, 2001, n 2, p. 85-91; Fytton
Rowland, The Peer-review Process, Learned Publishing, 15, 2002, n 4,
p. 247-258. [40] Ronald E. Laporte - Eric Marler - Shunichi Akazawa - Francois
Sauer - Carlos Gamboachris Shenton - Caryle Glosser - Anthony Villasenor - Malcom
Maclure, The Death of Biomedical Journals, British Medical Journal,
310, 1995, May 27, p. 1387-1390, <http://www.bmi.com/cgi/content/full/310/6991/1387>; al riguardo cfr. Vanna Pistotti, Peer review
e riviste mediche: quale futuro? Bibliotime, 3, 2000, n
1, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iii-1/pistotti.htm>. [41] Su tale aspetto cfr. in particolare
Elizabeth Wager - Tom Jefferson, Shortcoming of Peer Review in Biomedical
Journals, Learned Publishing, 14, 2001, n 4, p. 257-263. [42] Al riguardo si veda fra l'altro Luca Guerra, Paradigmi
emergenti della scholarly communication, Bollettino AIB, 42, 2002, n 4,
p. 413-439. [43] SPARC, The Scholarly Publishing
and Academic Resource Coalition, <http://www.arl.org/sparc/>; al riguardo si veda Sarah C. Michalak, The Evolution
of SPARC, Serials Review, 26., 2000, n 1, p. 10-21; Richard K. Johnson, Competition:
a Unifying Ideology for Change in Scholarly Communications, <http://www.arl.org/sparc/core/index.asp?page=a2>. [44] CogPrints, Cognitive
Science E-print archive, <http://cogprints.ecs.soton.ac.uk>. [45] Cern Document Center, <http://cdsweb.cern.ch/>. [46] Con questo termine s'intende oggi qualsiasi pubblicazione di
natura elettronica disponibile sulla rete, sia precedente (preprint) che
successiva (postprint) all'edizione cartacea. Si veda fra l'altro Colin
Steele, E-prints: the Future of Scholarly Communication?, inCite,
October 2002, <http://www.alia.org.au/incite/2002/10/eprints.html>. [47] Come infatti si legge sul sito del Cern Document Center, il database
contiene pi di 900.000 notizie bibliografiche, di cui 360.000 documenti a
testo pieno, di interesse per chi lavora nel campo della fisica delle
particelle e in ambiti connessi. Include preprints, articoli, libri,
periodici, fotografie e molto altro. [48] MPress, MathNet.preprints: The Mathematics Preprint Search
System, <http://mathnet.preprints.org/>. [49] RePec, Working Papers in Economics, <http://repec.org>. [50] Lespressione ancora di Gudon, In Oldenburg's Long
Shadow cit. [51] Cfr. The Santa Fe Convention for
the Open Archives Initiative, Officially released on February 15th 2000, <http://openarchives.org/meetings/SantaFe1999/sfc_entry.htm>. Si veda inoltre Diann Rusch-Feja, The Open
Archives Initiative and the OAI Protocol for Metadata Harvesting: Rapidly
Forming a New Tier in the Scholarly Communication Infrastructure, Learned
Publishing, 15, 2002, 3, p. 179-186; Mark Needleman, The Open Archives
Initiative, Serials Review, 28, 2002, n 2, p. 156-158. [52] The Santa Fe Convention for the
Open Archives Initiative cit.; Richard E. Luce, The Open Archive
Initiative: Forging a Path Toward Interoperable Author Self-archiving System,
College & Research Libraries News, 2000, <http://lib-www.lanl.gov/lww/oai.htm>. [53] Il convegno avvenuto sotto l'egida
di numerose associazioni scientifiche e bibliotecarie, fra cui: Digital Library
Federation, Council on Library and Information Resources (CLIR), Scholarly
Publishing and Academic Resources Coalition, Association of Research Libraries
e Los Alamos National Laboratory. Liniziativa sostenuta da: Digital Library
Federation, Coalition for Networked Information, e National Science Foundation
Grant. [54] Cfr. Roy Tennant, Open Archives: a
Key Convergence, Library Journal, 125, 2000, n 3, p. 122-123. [55] Ci non significa che OAI non sia interessata anche agli
aspetti concettuali, organizzativi e politici: come ha sottolineato Clifford
Lynch, la maggior parte delle persone coinvolte in OAI (tra cui Ginsparg, Harnad,
Lagoze, Van de Sompel) lo sono anche nelle altre attivit volte a riformare il
modello corrente di comunicazione scientifica (cfr. C. Lynch, Metadata
Harvesting and the Open Archive Initiative, ARL Bimonthly Report, 217,
2001, <http://www.arl.org/newsltr/217/mhp.html>). [56] Open Archive Initiative, <http://www.openarchives.org/documents/FAQ.html>. [57] Il software Eprint stato sviluppato presso
l'universit di Southampton da alcuni fra i primi collaboratori di OAI, e in
particolare da Christopher Gutteridge, che poi ha continuato a implementare sistemi
per l'autoarchiviazione impiegando prodotti software liberamente
disponibili sulla rete. [58] Tutte le notizie relative a questo prodotto ed alle sue
implementazioni, insieme a numerose informazioni su come autoarchiviare i
propri lavori, sono disponibili sul sito <http://www.eprints.org/>. [59] Budapest Open Access Initiative,
<http://www.soros.org/openaccess>. Al riguardo si veda fra
l'altro Robin Peek, The Great BOAI Experiment, Information Today, 19,
2002, n 4, p. 40; Declan Butler, Soros Offers Open Access to Science Papers,
Nature, 14, February 2002, <http://www.nature.com/nature/debates/e-access/Articles/soros.html>; Vittorio
Ponzani, Un'alternativa all'editoria scientifica commerciale: la Budapest Open
Access Initiative, AIB Notizie, 14, 2002, n 5, p. 7, <http://www.aib.it/aib/editoria/n14/02-05ponzani.htm>. [60] Le riflessioni economiche e culturali che lo hanno spinto a
dar vita alla sua rete di fondazioni sono messe in luce nel suo La societ
aperta. Per una riforma del capitalismo globale, traduzione di Massenzio
Taborelli, Milano, Ponte alle Grazie, 2001. [61] Budapest Open Access Initiative,
ARL Bimonthly Report, 220, February 2002 <http://www.arl.org/newsltr/220/boai.html>. [62] Harnad, From Whom the Gate Tolls? cit. [63] Difatti, si legge nelle Frequently Asked Questions di
E-prints, l'autoarchiviazione non dovrebbe in nessun caso essere confusa con
l'autopubblicazione (vanity press); cfr. Self-archiving FAQ, <http://www.eprints.org/self-faq>. [64] Budapest Open Access Initiative:
Frequently Asked Questions (Excerpts), ARL Bimonthly Report, 220,
February 2002, <http://www.arl.org/newsltr/220/boaifaq.html>. [65] Jean-Claude Gudon, The 'Green'
and 'Gold' Roads to Open Access: the Case for Mixing and Matching, Serials
Review, 30, 2004, n 4, p. 315-328, <http://eprints.rclis.org/3039/>. Al riguardo si veda anche Stevan Harnad, Fastforward
on the Green Road to Open access: the Case against Mixing up Green and Gold,
<http://cogprints.org/4076/1/mixcrit.html>; e, in italiano, Maria Cassella, Green Road e
Gold Road: percorsi interagenti per l'Open Access, in Open Access,
digital preservation e deposito legale: policy, progetti e servizi per la
ricerca, Roma, 8 maggio 2008, <http://eprints.rclis.org/13827/>. [66] Si rinvia tra l'altro a Raym Crow, The
Case for Institutional Repositories: a SPARC Position Paper, <http://www.arl.org/sparc/IR/ir.html>; Leslie Chan, Supporting and Enhancing
Scholarship in the Digital Age: the Role of Open Access Institutional
Repositories, Canadian Journal of Communication Corporation, 29, 2004, p.
277-300, <http://hdl.handle.net/1807/2786>; Gerard Van Westrienen - Clifford A. Lynch, Academic
Institutional Repositories. Deployment Status in 13 Nations as of Mid 2005,
D-Lib Magazine, 11, 2005, n 9, <http://www.dlib.org/dlib/september05/westrienen/09westrienen.html>; Miriam A. Drake, Institutional Repositories:
Hidden Treasures, Information Today, November 20, 2005, <http://www.infotoday.com/searcher/may04/drake.shtml>. Anche nel nostro Paese l'argomento stato
ampiamente dibattuto; si veda ad es. Anna Maria Tammaro - Teresa De Gregori, Ruolo
e funzionalit dei depositi istituzionali, 22, 2004, n 10, p. 7-19; Simone
Sacchi, L'Open Access negli atenei italiani, 23, 2005, n 4, p. 44-57;
Pietro Gozetti, DSpace e i suoi servizi, 23, 2005, n 5, p. 27-34, <http://www.bibliotecheoggi.it/2005/20050404401.pdf>. [67] Sulla tematica cfr. Mauro Guerrini, Gli archivi
istituzionali. Open access, valutazione della ricerca e diritto d'autore, a
cura di Andrea Capaccioni, con saggi di Antonella De Robbio, Roberto Delle
Donne, Rosa Maiello e Andrea Marchitelli, Milano, Bibliografica, 2010,
disponibile ad accesso aperto all'indirizzo <http://www.bibliotecheoggi.it/content/Gli%20archivi%20istituzionali.pdf>. [68] J.-C. Gudon, Open Access
Archives: from Scientific Plutocracy to the Republic of Science, IFLA
Journal, 29, 2003, n 2, p. 129-140, <http://www.ifla.org/V/iflaj/ij-2-2003.pdf>. [69] Difatti, scrive Gudon, l'istituzione dovrebbe
coscientemente decidere come valutare i suoi membri, piuttosto che delegare
pigramente questo compito a entit esterne quali le riviste, con tutti i
problemi e le ambiguit che conosciamo (ibidem). [70] Ibidem, cit. leggermente modificata. [71] Ad esempio, prosegue l'autore, le istituzioni pi prestigiose
possono costituire un consorzio per valutare i papers di economia o di
sociologia, e pubblicare le procedure, i verbali e i risultati del proprio
lavoro, cos da creare una situazione di grande trasparenza. [72] Il documento, nato in seguito al meeting tenutosi
nell'aprile del 2003 presso l'Howard Hughes Medical Institut di Bethesda, ha
dato il via a un intenso dibattito sui criteri per favorire l'accesso aperto
alla letteratura scientifica di ambito biomedico (Bethesda Statement on Open
Access Publishing, June 20, 2003, <http://www.earlham.edu/~peters/fos/bethesda.htm>). [73] Conference on Open Access to
Knowledge in the Sciences and Humanities, 20-22 October 2003, Berlin, <http://www.zim.mpg.de/openaccess-berlin/program_prelim.html>. [74] Di cui esiste una traduzione italiana dal titolo Accesso
aperto alla letteratura scientifica (Dichiarazione di Berlino), disponibile
all'indirizzo <http://www.zim.mpg.de/openaccess-berlin/BerlinDeclaration_it.pdf>. [75] In base a questi principi, l'accesso aperto viene definito
come una fonte estesa del sapere umano e del patrimonio culturale che siano
stati validati dalla comunit scientifica (ibidem). [76] Secondo la Dichiarazione di Berlino, i documenti che vogliono
perseguire l'accesso aperto devono soddisfare ad almeno due requisiti: 1)
L'autore(i) ed il detentore(i) dei diritti relativi a tale contributo
garantiscono a tutti gli utilizzatori il diritto d'accesso gratuito,
irrevocabile ed universale e l'autorizzazione a riprodurlo, utilizzarlo,
distribuirlo, trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente, e a produrre e
distribuire lavori da esso derivati in ogni formato digitale per ogni scopo
responsabile, soggetto all'attribuzione autentica della paternit intellettuale
[...], nonch il diritto di riprodurne una quantit limitata di copie stampate
per il proprio uso personale. 2) Una versione completa del contributo e di
tutti i materiali che lo corredano, inclusa una copia della autorizzazione come
sopra indicato, in un formato elettronico secondo uno standard appropriato, e depositata (e dunque pubblicata) in
almeno un archivio in linea che impieghi standard
tecnici adeguati [], e che sia supportato e mantenuto da
un'istituzione accademica, una societ scientifica, un'agenzia governativa o
ogni altra organizzazione riconosciuta che persegua gli obiettivi dell'accesso
aperto, della distribuzione illimitata, dell'interoperabilit e
dell'archiviazione a lungo termine (ibidem). [77] Gli Atenei italiani per l'Open Access: verso l'accesso
aperto alla letteratura di ricerca, Messina, 4-5 novembre 2004, <http://www.aepic.it/conf/index.php?cf=1>. Si
veda al riguardo Francesca Di Donato, Workshop nazionale. Gli atenei
italiani per l'Open Access: verso l'accesso aperto alla letteratura di ricerca,
Messina, 4-5 novembre 2004, <
http://bfp.sp.unipi.it/hj/viewContribution.php?siglum=http://purl.org/hj/bfp/52>; Benedetta
Alosi, Gli atenei italiani per l'Open Access: verso l'accesso aperto alla
letteratura di ricerca, Bibliotime, 7, 2004, n 3, <http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-vii-3/alosi.htm>. [78] Documento italiano a sostegno della Dichiarazione di
Berlino sull'accesso aperto alla letteratura accademica, <http://www.aepic.it/conf/viewpaper.php?id=49&cf=1>. [79] Alosi, Gli atenei italiani per l'Open Access cit. [80] Vincenzo Milanesi, Accesso aperto per la ricerca negli
Atenei italiani: una nuova via di accesso alla conoscenza, <http://www.aepic.it/conf/viewappendix.php?id=48&ap=1&cf=1>. [81] Un elenco disponibile al sito del progetto ROARMAP, Registry
of Open Access Repository
Material Archiving Policies, <http://www.eprints.org/openaccess/policysignup/>, mentre al
sito <http://www.sherpa.ac.uk/juliet/index.php> sono
riportate le politiche a favore dell'Open access degli enti
finanziatori. [82] Si veda fra l'altro Bernard Rentier, Pour une universit
ouverte et interactive. EurOpenScholar, <http://recteur.blogs.ulg.ac.be/?p=151>. [83] Peter Suber, OA Mandate from the
European Research Council, <http://www.earlham.edu/~peters/fos/2008/01/oa-mandate-fromeuropean-research.html>. [84] NIH Public Access Policy Details,
<http://publicaccess.nih.gov/policy.htm>. [85] Openaire-Open Access
Infrastructure For Research In Europe, <http://www.caspur.it/eventi/evento-1147.html>. [86] Disponibile al sito: <http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=1693>. [87] LUISS, Politica istituzionale per il libero accesso alle
pubblicazioni scientifiche, <http://eprints.luiss.it/Policy-LUISS-IT-2010.pdf>. [88] Il gruppo di lavoro
(http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=1167) e coordinato da Roberto Delle
Donne, dell'Universit Federico II di Napoli. Al riguardo si veda Marco Mancini,
Le iniziative della commissione biblioteche della CRUI, Seminario
primaverile CIBER. Lecce, 7 giugno 2010, <http://siba2.unile.it/news/Mancini_seminario_CIBER_7giugno2010.pdf>. [89] Linee guida per il deposito delle tesi di dottorato negli
archivi aperti, <http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=1149>. [90] Linee guida per gli archivi istituzionali, <http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=1781>. [91] Riviste ad accesso aperto: linee guida, <http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=1789>. [92] L'Open Access e la valutazione dei prodotti della ricerca
scientifica. Raccomandazioni, <http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=1782>. [93] In un contesto cos dinamico e aperto
trova anche spazio una pi accurata riflessione sulla peer review: ci
riferiamo allo studio di Diane Harley - Sophia Krzys Acord - Sarah Earl-Novell,
Peer Review in Academic Promotion and Publishing: Its Meaning, Locus, and
Future, held at UC Berkeley and funded by the Andrew W. Mellon Foundation,
April 2010, <http://cshe.berkeley.edu/publications/docs/PeerReviewWorkingPapers.04.22.10.pdf>, e a quello pi recente di D. Harley - S. Krzys
Acord, Peer review in Academic Promotion and Publishing: Its Meaning, Locus,
and Future. A project report and associated recommendations, March 2011, <http://escholarship.org/uc/item/1xv148c8#page-1>. [94] Disponibile all'indirizzo <http://scholar.google.it/>. [95] Il cui indirizzo Internet <http://en.scientificcommons.org/>. [96] Sulle tematiche legate alla bibliometria la letteratura e
assai consistente. In questa sede si rinvia all'ormai classico Alfredo Serrai, Dai
"loci communes" alla bibliometria, Roma, Bulzoni, 1984 (in
particolare il quarto capitolo, La validit delle distribuzioni
bibliometriche, p. 199-229); al rilevante contributo di Nicola De Bellis, Bibliometrics
and Citation Analysis: from the Science Citation Index to Cybermetrics,
Lanham-Toronto-Plymouth, The Scarecrow Press, 2009, oltre che al suo preprint
in lingua italiana e disponibile online, La citazione bibliografica
nell'epoca della sua riproducibilit tecnica: bibliometria e analisi delle
citazioni dallo Science Citation Index alla Cybermetrica, ultima revisione
31 Maggio 2005, <http://www.bibliotecheoggi.it/content/CITAZIONE.pdf>; e
infine all'interessante sintesi di RICCARDO RIDI, Bibliometria: una introduzione,
Bibliotime, 13, 2010, n 1, <http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xiii-1/ridi.htm>. [97] Su questi argomenti d'obbligo rinviare agli importanti
contributi di Antonella De Robbio: Analisi citazionale e indicatori
bibliometrici nel modello open access, Bollettino AIB, 47, 2007, n 3, p.
257-288, <http://eprints.rclis.org/11999/>; e L'Open
Access come strategia per la valutazione delle produzioni intellettuali, in
CIBER 1999-2009. I diritti della biblioteca: accesso alla conoscenza,
propriet intellettuale e nuovi servizi. Tavola rotonda Diritti in gioco:
comunicazione scientifica, copyright e licenze d'uso, Milano, 6-7 marzo
2008, Milano, Ledizioni, 2009, p. 104-124. [98] Cfr. in particolare Ben Wagner, Open
Access Citation Advantage: an Annotated Bibliography, Issues in Science
and Technology Librarianship, Winter 2010, <http://www.istl.org/10-winter/article2.html>. In italiano si veda Elena Giglia, Pi
citazioni in Open Access? Panorama della letteratura con uno studio sull'Impact
Factor delle riviste Open Access, in CIBER 1999-2009 cit., p. 125-145;
una sintesi online di questo testo e disponibile all'indirizzo <http://eprints.rclis.org/bitstream/10760/13662/1/giglia_vantaggio_citazionale_oa_week.pdf>. [99] Il vantaggio citazionale dell'OA viene riconosciuto anche
dalle Raccomandazioni CRUI, quando sostengono che grazie agli standard tecnici
adottati, un prodotto di ricerca archiviato in un archivio istituzionale
aumenta di molto le sue possibilit di essere reperito tramite i motori di
ricerca e ottiene un maggior numero di citazioni rispetto allo stesso articolo
in formato cartaceo o in formato elettronico ma pubblicato su un sito di un
editore o un sito web non compatibile con questi standard, ad esempio il
sito personale dell'autore, (L'Open Access e la valutazione dei prodotti
della ricerca scientifica. Raccomandazioni
cit.). [100] Al riguardo cfr. S. Harnad [et al.], The Access/Impact Problem
and the Green and Gold Roads to Open Access: an Update, Serials Review,
34, 2008, n 1, p. 36-40; Steve Hitchcock, Effect of Open Access and
Downloads (Hits) on Citation Impact: a Bibliography of Studies, Open
Citation Project, <http://opcit.eprints.org/oacitation-biblio.html>; Nana Turk, Citation Impact of Open Access
Journals, New Library World, 109, 1/2, p. 65-74. [101] M. Kurtz [et al.], The Effect of Use and Access on Citations,
Information Processing and Management, 41., 2005, n 6, p. 1395-1402, <https://www.cfa.harvard.edu/~kurtz/kurtz-effect.pdf>. [102] C. Hajjem - S. Harnad, Citation
Advantage for OA Self-archiving is Independent of Journal Impact Factor, Article
Age, and Mumber of Co-authors, Open Access Archivangelism, 2007, <http://openaccess.eprints.org/index.php?/archives/192-guid.html>. [103] In particolare l'impact factor si calcola dividendo
il numero di citazioni correnti ricevuto da ciascuna testata di periodico per
il numero di articoli pubblicati nello stesso periodico nei due anni
precedenti. Il risultato viene interpretato come il numero medio di citazioni
che un articolo riceve nei due anni che seguono la pubblicazione dell'articolo
nel periodico (A. M. Tammaro, Qualit della comunicazione scientifica. Gli
inganni dell'impact factor e l'alternativa della biblioteca digitale,
Biblioteche oggi, 19, 2001, n 7, Settembre, p. 104-107, <http://www.bibliotecheoggi.it/2001/20010710401.pdf>). [104] Tra cui, in primo luogo, quelle di Fig-Talamanca nel
contributo gi citato; ma anche Tammaro, Qualit della comunicazione
scientifica cit.; Valentina Comba, La valutazione delle pubblicazioni:
dalla letteratura a stampa agli open archives, Bollettino AIB, 43, 2003,
n 1, p. 65-76, <http://amsmisc.cib.unibo.it/archive/00000035/>; la
voce Impact factor, in Wikipedia, <http://en.wikipedia.org/wiki/Impact_factor>. [105] Per un'analisi pi approfondita, oltre ai gi citati
contributi di De Robbio, si rinvia allarticolo di Maria Cassella - Oriana Bozzarelli,
Nuovi scenari per la valutazione della ricerca tra indicatori bibliometrici
citazionali e metriche alternative nel contesto digitale, Biblioteche
oggi, 29, 2011, n 2, p. 66-78, <http://www.bibliotecheoggi.it/content/n20110206601.pdf>. [106] Utilizzate soprattutto nei blog e finalizzate alla
comunicazione e alla notifica tra due risorse. Cfr. Trackback, in Wikipedia, <http://it.wikipedia.org/wiki/Trackback>. [107] Il sito ufficiale Eigenfactor.org. Ranking and Mapping
Scientific Journals, <http://www.eigenfactor.org/>; ma si veda anche
la corrispondente voce di Wikipedia all'indirizzo <http://en.wikipedia.org/wiki/Eigenfactor>
e, in lingua italiana, Eigenfactor ovvero il ranking dei periodici all'epoca
di Google, Biblioteca del Dipartimento di Bioingegneria del Politecnico di
Milano, <http://bioingegneria.wordpress.com/2007/03/23/eigenfactor-ovvero-ilranking-dei-periodici-allepoca-di-google/>. [108] Cfr. Evaluating the Influence of
Scholarly Journals, Hardin Scholarly Communication News, April 4th, 2007,
<http://blog.lib.uiowa.edu/scholar/2007/04/04/evaluating-the-influenceof-scholarly-journals/>. [109] Si rinvia in particolare a Rossana Morriello, L'indice di
Hirsch (h-index) e altri indici citazionali dopo l'impact factor. Uso nella
valutazione della ricerca scientifica e nelle politiche documentarie delle
biblioteche, Biblioteche oggi, 25, 2007, 1, p. 23-32, <http://www.bibliotecheoggi.it/2007/20070102301.pdf>. [110] Alireza Noruzi, The Web Impact
Factor: a Critical Review, The Electronic Library, 24, 2006, 4, p.
490-500; Samir Kumar Jalal - Subal Chandra Biswasparthasarathi Mukhopadhyay, Web
Impact Factor and Link Analysis of Selected Indian Universities, Annals of
Library and Information Studies, 57, 2010, p. 109-121, <http://nopr.niscair.res.in/bitstream/123456789/9746/1/ALIS%2057%282%29%20109-121.pdf>. [111] Sul quale si vedano i seguenti
progetti: Usage Factors Study-Final Report Now Available, 2007, <http://www.uksg.org/usagefactors/final>; Usage-Based Measurements of Journal
Quality-Research Project Enters its Second Stage, 2007, <http://www.uksg.org/usagefactors>. Cfr. inoltre Martin Richardson, The Usage
Factor Project, The 6th Sparc Japan Seminary 2008, Beyond IF: we need some
different perspectives, <http://www.nii.ac.jp/sparc/event/2008/pdf/112508/document/Martin_Richardson_document_en.pdf>. [112] Il software e stato sviluppato da Anne-Wil Harzing,
dell'Universita di Melbourne; cfr. <http://www.harzing.com/pop.htm>. Al riguardo
si pu consultare, l'help in linea predisposto dall'Universit di Padova: Come
utilizzare Publish or Perish, all'indirizzo <http://www.cab.unipd.it/system/files/publish-or-perish.doc >. [113] Sullintera materia si rinvia a Dramatic
Growth of Open Access, March 31 2011, The Imaginary Journal of Poetic
Economics, Thursday, March 31, 2011, <http://poeticeconomics.blogspot.com/2011/03/dramatic-growth-of-openaccess-march-31.html>. [114] OpenDoar, Directory of Open
Access Repositories, <http://www.opendoar.org/find.php?format=charts>. [115] DOAJ, Directory of Open Access
Journals, <http://www.doaj.org/>.
[116] Al riguardo si veda l'ampia e articolata indagine di Alma Swan - Sheridan Brown, Open
access self-archiving: an author study, Key Perspectives, May 2005, <http://eprints.ecs.soton.ac.uk/10999/01/jisc2.pdf>. [117] Gudon, In Oldenburg's long
shadow cit. [118] Peter Suber, Removing the
Barriers to Research, College & Research Libraries News, 64, 2003, p.
92-94, <http://www.earlham.edu/~peters/writing/acrl.htm>. |
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