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ISSN: 2283-303X

Questioni di metodo: un ricordo di Francesco Dell'Orso con un suo testo inedito

in Bibliografie, biblioteche e gestione dell'informazione: un omaggio a Francesco Dell'Orso


di Alessandra Panzanelli (in linea da: 1 maggio 2017)

      "Intendere il soggetto, contenuto di un documento è un atto interpretativo (ermeneutico). Non si tratta di trovarsi davanti ad una realtà-verità già definita ed univoca da scoprire, né ad una tabula rasa su cui costruire. Pertanto sia l'approccio idealistico che quello empiricista falliscono. Chi interpreta è sì un individuo, ma costui vive in società e in quanto lettore, studioso, normalmente vive nell'ambito disciplinare in cui opera, a contatto con idee, metodi e persone del settore. Il suo punto di vista nell'intendere il contenuto di un documento interessa dunque non tanto dal punto di vista psicologico, ma di sociologia culturale. Lo sguardo interpretativo portato dall'utente sul documento è il portato della cultura di gruppo in cui egli è attivo. Conseguentemente gli studi sull'utenza, sui bisogni dell'utenza dovrebbero cessare di essere studi sui bisogni espressi dagli utenti in quanto individui e sulle loro abitudini ed idiosincrasie e diventare studi sul settore cui l'utente in quella veste appartiene, studi delle idee, conoscenze e bisogni della comunità scientifica di appartenenza.

      **********************

      Questo in 2 minuti, dopo la lettura è il succo che ne tiro.

      Anticipo le mie osservazioni, poi mi sottometto ad una laboriosa e fastidiosa opera di rilettura dei passaggi segnati e delle mie annotazioni e confronterò."

Con questo paragrafo Francesco Dell'Orso - o anche Fdo, come spesso usava firmarsi - dava avvio a cinque fitte pagine di analisi di un'opera dedicata, per dirla velocemente, ai problemi posti dalla indicizzazione semantica: Information Seeking and Subject Representation. An Activity-Theoretical Approach to Information Science, di Birger Hjørland (Westport: Greenwood Press, 1997).

Le cinque pagine (scritte con l'usuale Courier) si trovavano, e si trovano tutt'ora, in una busta intestata al Servizio Bibliotecario Centrale dell'Università di Perugia, di cui Fdo era stato a lungo un (quando non l') architrave. La struttura, nel frattempo, da servizio era diventato centro - il Centro Servizi Bibliotecari dell'Università di Perugia - e quella busta, come molto altro materiale di cancelleria intestato a strutture non più esistenti, era regolarmente utilizzato da Fdo, che odiava lo spreco e aveva ben poca simpatia per quanti troppo velocemente mettono in disuso materiali ancora in buono stato. Atteggiamento che - diceva - può pericolosamente estendersi dagli oggetti alle persone, e trasformarsi in oblio. Fdo temeva la damnatio memoriae, che può essere anche inconsapevole ma non per questo meno grave o dannosa. Temeva la facilità con cui si mette nell'ombra tutto quanto fatto da chi è venuto prima e ha magari predisposto le basi sulle quali, chi segue, continua a costruire e a raccogliere frutti. Una costante nei suoi discorsi era la preoccupazione per la conservazione della memoria, anche delle piccole cose accumulate sul posto di lavoro, i materiali preparatori rimasti dalle generazioni precedenti. Quasi antiquaria professionale; ma tutto fuorché feticismo: questo atteggiamento trovava, infatti, e trova fondamento in un forte senso di giustizia, del riconoscimento del lavoro altrui, soprattutto di quel lavoro che facilmente resta celato nelle pieghe della routine quotidiana o schiacciato dalla attuale rincorsa verso la novità.

Fu questo spirito a spingerlo un giorno a chiedermi di aiutarlo ad allestire velocemente un sistema che mettesse al riparo materiali (antichi schedari, vecchi computer, pezzi dell'arredo originale della Biblioteca Centrale perugina inaugurata nel 1960 in un trionfo di scaffalature e cassettiere Olivetti) che giacevano nel magazzino della biblioteca per proporre che se ne facessero pezzi di un museo a testimonianza della tecnologia in avanzamento. A testimonianza, direi, della pionieristica svolta dal cartaceo all'elettronico compiuta dall'Ateneo di Perugia, in un'operazione tutta gestita proprio da Fdo.

Non è facile scrivere il ricordo di una persona con la quale si è condiviso tanto, da cui si è imparato tanto, nei modi più incisivi ma anche meno strutturati, che sono quelli del quotidiano. Fdo non è mai stato nella posizione di essere per me un maestro in senso tradizionale, ma lo è stato di fatto, in molte occasioni, nel modo migliore: un riferimento costante, presente anche quando non c'è (e presente tuttora), colui al quale si chiedono non solo informazioni, contenuti, consigli; è la persona che - sai - te li darà con l'animo di volerti aiutare davvero, mettendoti dunque di fronte ai problemi e alle contraddizioni, se necessario. Cosa che uno accetta anche volentieri, sapendo che questo ti aiuterà a produrre un risultato migliore.

Ho incontrato Francesco nel giugno del 2002, in una sessione di presentazione del software Procite, organizzata su richiesta di Laura Teza (storica dell'arte, docente presso l'Ateneo di Perugia), che apprezzava molto la professionalità, l'intelligenza, la serietà di Fdo e l'utilità dei programmi di organizzazione bibliografica di cui lui era diventato un esperto mondiale (di questo sono testimonianza le pagine pubblicate e aggiornate fin quasi all'ultimo, nel sito curato da Riccardo Ridi: <http://www.riccardoridi.it/esb/index.htm#6b>. Per me quella presentazione fu quasi una rivelazione (stavo all'epoca studiando per il dottorato in Scienze bibliografiche): l'utilità e la necessità dell'uso di un software per razionalizzare il bagaglio bibliografico utilizzato nella ricerca mi apparve subito evidente. Pensai quindi a come trasferire la banca dati casalinga che avevo costruito con Access appunto in Procite. Chiesi qualche consiglio a Francesco, su come procurarmi il software e poi su come effettuare il trasferimento dei dati. Lo feci nel corso nei mesi che seguirono; ci volle forse anche un anno, durante il quale io entrai a lavorare all'Università come bibliotecario e lui divenne perciò un naturale punto di riferimento professionale. Ricordo un'amica, pure bibliotecario, che mi disse: "ah ma tu dovresti conoscere Francesco Dell'Orso!"; lei lo aveva incrociato prima di me in un corso di formazione organizzato, credo, dalla Regione e sapendo i miei interessi e il mio approccio a queste discipline notava, appunto, come non fosse pensabile io non cercassi un contatto con lui.

Non fu per niente facile: da molti dei ricordi pubblicati anche in questa raccolta traspare, dove più dove meno chiaramente, il suo carattere schivo e tagliente. Altrettanto però traspare l'afflato collaborativo, la serietà con cui affrontava i rapporti umani - altro lato di quella stessa medaglia che lo portava a essere appunto schivo o tranchant. Mi accostai a lui da novello bibliotecario che guarda a chi da anni lavora nel settore, e soprattutto lavora con un impegno scientifico niente affatto comune. Condividevo con lui (e questo era facilmente apprezzabile) il convincimento che lavorare in biblioteca può (deve) conciliarsi con un'attività scientifica: uno studio quotidiano, che non è solo aggiornamento professionale; perché lavorare in una biblioteca di ricerca significa essere in grado di approntare e curare i mezzi con i quali la comunità scientifica di riferimento può portare avanti il proprio lavoro.

Tra l'approccio mentale che Fdo aveva adottato stando alla sua scrivania (da sempre direi, a ricostruire - attraverso gli scritti e i ricordi - il suo percorso professionale) e l'analisi scientifica che si legge nei testi di alcuni studiosi io non ho mai visto uno iato. C'era per me una continuità diretta e l'incontro con lui divenne un appiglio importante soprattutto per conciliare studio e lavoro; il trasferimento della banca dati costruita con Access in Procite fu un passo per me incisivo nella organizzazione dell'attività di ricerca. Avrei continuato a utilizzare Procite molto a lungo: lo uso ancora, benché in modo limitato, giacché il software non è più aggiornato da anni e dunque non funziona più per la costruzione delle citazioni bibliografiche in corso di scrittura. Ma va benissimo come magazzino, banca dati bibliografica, e ha funzioni di organizzazione e retrieval che (come lo stesso Francesco ha rilevato più volte) i software che lo hanno soppiantato non hanno. A casa conservo ancora il manuale che mi prestò.

Francesco mi ha seguito in molte delle ricerche intraprese qualche tempo dopo averlo conosciuto (ci ho messo anni a stringere amicizia, parola e concetto che prendeva con estrema serietà); ogni volta offrendo un contraltare tanto più importante forse proprio perché non si occupava precisamente degli stessi temi. Mi disse che lo avevo riconquistato o forse conquistato all'interesse per il libro antico e la storia delle biblioteche. Il settore gli era sembrato marginale, o forse troppo spesso approcciato con fare bibliofilico, e scarsamente professionale. Epperò era tutt'altro che insensibile alla storia, anzi conosceva mille pietre delle città in cui era vissuto, osservate nelle lunghe camminate che gli piaceva fare per immergersi nei luoghi. Amava le chiese, e tutti i luoghi che silenziosamente conservano il patrimonio artistico, per il quale nutriva una sensibilità spiccatissima, cosí come era sensibile alle bellezze naturali e preoccupato per la conservazione del paesaggio. E aveva, del patrimonio artistico e di quello naturale, una conoscenza non comune. Solo una eccessiva modestia gli ha impedito di farsi autore di una rubrica di critica, artistica o letteraria o entrambe: avrebbe saputo accompagnare felicemente molti di noi in posti poco conosciuti, o in altri molto conosciuti ma che sapeva mostrare sotto una luce diversa. O ancora avrebbe potuto scrivere di mostre recenti, seminari o convegni.

Capace come pochi altri di essere puntuale, incisivo, talvolta forse troppo critico, certo assai selettivo: molte cose, fosse stato per lui, non sarebbero pubblicate. Può darsi avesse ragione: molto di quello che si legge è ripetizione, forse molto di quello che scriviamo è ripetizione. Non sempre, però, l'oblio è colpevole, la vita continua e la mente umana non fa continuamente scoperte straordinarie o grandi salti evolutivi. Certo, in ambito scientifico, meglio sarebbe se si andasse solo in direzione di produrre nuova conoscenza, limitando la quantità dello scritto a quanto veramente necessario. È un peccato, però, che prima vittima di questo approccio iperselettivo e critico, sia stato proprio Francesco, che troppo spesso ha impedito a sé stesso di pubblicare pensieri che avrebbero arricchito il dibattito culturale. Ha scelto invece di pubblicare solo testi strettamente legati alla professione e fortemente tecnici, che poco dicono della sua creatività e di un talento letterario e artistico che pure possedeva.

È anche per questa ragione che abbiamo deciso di pubblicare il testo che segue, di fatto una recensione, che Francesco scrisse quasi come una sfida, per parlarne in privato, stimolato dall'entusiasmo, forse un poco naif, col quale gli avevo chiesto se, per caso, avesse sentito parlare di questo testo o di questo autore. Era, se non vado errata, il 2005; avevo seguito da poco una lezione sul tema della indicizzazione semantica e in particolare sull'approccio proposto da Hjørland. Ne tornai entusiasta, piena di domande e con la voglia di approfondire e mi rivolsi a Francesco come colui che, lì dove mi trovavo a spendere il mio quotidiano professionale, era il massimo esperto di queste tematiche; soprattutto lo sapevo aggiornato e sempre interessato al background filosofico che sorregge le discipline del libro, almeno quella parte che si occupa della organizzazione della conoscenza.

Certo che era interessato. Ma io, con quell'entusiasmo e la voglia di fare (un approccio appassionato al lavoro e allo studio, di cui spesso Fdo sorrideva) gli feci avvertire un eccesso di responsabilità. Non amava sentirsi così: le aspettative (pure giustificate) che si potevano nutrire nei suoi confronti gli impedivano di lavorare serenamente e spesso ha preferito ritagliarsi uno spazio di intervento circoscritto e tecnico, laddove era proprio il suo impegno intellettuale, la carica di intelligenza emotiva che impiegava nel leggere un testo o nell'analizzare una situazione a fare la differenza. Ma Fdo ha preferito dare un contributo privato e prezioso al lavoro altrui che farsi coinvolgere al punto da poterlo formalizzare - in una co-autorialità ad esempio. O ancora: ha prodotto documenti destinati a restare nel piccolo cerchio di una discussione privata, come questo che proponiamo: e lo facciamo proprio perché, almeno questo, non resti celato e visibile solo a pochissimi. Torniamo all'occasione che lo ha generato. Alla mia domanda "conosci gli scritti di Hjørland? e questo volume?" rispose un po' stizzito come dire "ma che modo è di affrontare un tema serio come questo!". Qualche tempo dopo (eravamo già nella primavera del 2006) rientrando in biblioteca trovai una copia integrale del volume di Hjørland, con la busta ripiena del testo che leggete qui sotto e un laconico post-it con su scritto: "Auguri, Fdo". Non c'è bisogno di commentare ulteriormente. Alcune brevi note le aggiungo in calce. Ora, senza perdere altro tempo, riprendiamo a leggere la densa recensione [1] che scrisse Fdo.

[un post-it autografo di Francesco Dell'Orso] [il testo di Francesco Dell'Orso trascritto]

      "**********************

      2.

      Sua ricostruzione delle posizioni filosofiche divergenti che sovrintendono anche alla soggettazione:

      1 - idealismo oggettivo (Platone, Ranganathan, Landridge [40]): estraiamo dai documenti la realtà compiuta e immutabile che c'è e rappresentiamola

      2 - idealismo soggettivo, empirista: la realtà di un documento sta nel punto di vista (mondo culturale) o dell'autore (ermeneutica classica) o del lettore (cognitivismo) non nel testo in sé

      3 - la 'sua' (cfr. i russi) strada è quella della activity theory (collettivismo metodologico).

      La sua posizione l'ho già riassunta -cfr. sommario a memoria-  sopra: un documento esprime la cultura della comunità scientifica di cui è espressione e a cui è rivolto. L'individuo va studiato nel contesto, e se è uno studioso occorre considerare la comunità scientifica di appartenenza. Dunque assonanze marxiane, per quella cultura scientifica contano spazio, tempo, contesto pragmatico ed economico, attività produttive, scambio interpersonale. La psicologia cognitiva può aiutare la comprensione dei processi di ricerca dell'informazione non perché studia il comportamento e funzionamento del cervello degli individui, ma il retroterra culturale degli utenti, le loro relazioni sociali, la maniera in cui cooperano scientificamente e la disciplina che studiano. Cultura e scienza non sono fatti individuali ma sociali. Del pari il bisogno espresso nella ricerca di informazioni ( information retrieval).

      Il soggetto è sia dal punto di vista dell'autore che ha deposto nel documento la sua parte sia dal lato dell'utente che cerca la risposta ad un bisogno informativo, il contenuto conoscitivo della società scientifica cui l'attore -da ambo le parti-  appartiene, i documenti si interpretano e conoscono a partire da ciò e non dal 'testo' (che può nascondere, fuorviare e non ha mai una sola lettura giusta).

      Non c'è metodo scientifico di classificazione a priori, sono tutti basati sul punto di vista disciplinare-scientifico (p. 53).

      Più importante della rappresentazione del soggetto è l'analisi (p. 31, 43 e passim). Questo può giustificare la povertà del lavoro per tutti gli aspetti che appunto riguardano invece l'espressione (l'ho accennato sopra come suo difetto per la disciplina specifica).

      p. 55 concetto di soggetto come oggetto, ciò about cui si dice qualcosa.

      p. 56 Cutter: il tema del libro o l'argomento attorno a cui l'autore cerca di fare o l'utente di ottenere informazioni (trovo più pericoloso questo secondo ramo e credo che sia invece più appetitoso per Hjørland, cfr. infatti 64: 'indicizzazione basata sulle attese di utenti potenziali', ammissibile solo se l'utente è rigorosamente definito o all'inverso talmente generico da essere "tutti e nessuno in particolare")

      p. 57, Patrick Wilson "The notion of the subject of a writing is indeterminate"

      p. 58 "Methods for determining the subject of a document ... are thus closely related to theories of meaning and interpretation ", perché deve porre meno problemi (o essere così diverso) il dire 'capisco cosa stai dicendo?' oppure capisco ciò che X ha detto anche se non ho parlato con lui direttamente? Oppure le situazioni non sono così distanti e dunque ad entrambe vanno applicate le stesse obiezioni fondamentali su comunicazione e comprensione.

      La concezione ingenua di 'soggetto' è quella per cui il soggetto inerisce come proprietà al documento (e peggio) secondo il titolo, secondo quanto l'oggetto esibisce.

      Empirismo classico (prossimo a idealismo soggettivo) (p. 59-61): la conoscenza proviene dall'esperienza (se non è pura logica), che è soggettiva, basata (in gran parte) sui sensi, donde le generalizzazioni sono ardue: il mondo si riduce alla soggettiva percezione che ne abbiamo (individualmente e resa oggettiva dalla condivisione intersoggettiva).

      Hutchins p. 62-3: non esiste un unico soggetto di un documento, non esiste 'il' soggetto.

      Idealismo oggettivo: la conoscenza per essere tale è intersoggettiva, oggettiva, è possibile e solo questa è reale. In questo assolutismo platonico Hjørland ficca e lascia Ranganathan (anche Langridge è della compagine).

      Teoria pragmatica della conoscenza, da p. 76 in poi è il suo quadro di pensiero. La conoscenza è parte dell'attività umana che si snoda in un ambiente a più facce, biologiche, sociali culturali, individuali. Questa -quasi stranamente per me visti gli altri suoi discorsi-  conduce ad assunti assolutamente tradizionali e condivisibili, cfr. 78-9: sono i servizi informativi specializzati che possono prendersi cura dei bisogni specifici del gruppo di utenti di riferimento; varie soggettazioni sono possibili e la declinazione scelta (mucca come animale domestico o mammifero) è frutto di una selezione e conclusione operata sui contenuti (non labili dunque ...) come properties of the book (sic) trattati in funzione degli interessi scientifici dell'utenza a suo riguardo. Insomma proprio nulla di così relativo e sfuggente, ma razionalmente mutevole perché basato su una comprensione condivisa, solida, scientifica e non relativistica, cavolo, parla di 'mucca' comunque, e non potrò indicizzarla come 'barattolo'.

      Teorie dell'attività (p. 79) Vigotsky, ogni organismo vive in un ambiente, fra relazioni, l'habitat umano è la società in cui contano i pesi economici, il lavoro, le influenze culturali, c'è una divisione del lavoro linguistico nella società, i pensieri umani sono un fatto sociale. L'analisi del significato e del soggetto sono azioni sociali e politiche orientate ad un obiettivo. Attori diversi con scopi diversi tratteranno diversamente gli stessi documenti (p. 82 e i ciliegi per scienziati e giardinieri ...). Convenience, economy and efficiency are the bases of classification (p. 82 John Dewey) valgono se funzionano se consentono a chi se ne serve di operare meglio. Il soggetto non sta né solo nella testa dell'indicizzatore o dell'utente né solo dentro i documenti come incarnazione di un'idea ma nella 'pratica sociale'. Volemose bene a p. 84, nessuna c'ha veramente torto se non assolutizza solo il proprio punto di vista. È chiaro che discipline diverse soggetteranno le stesse cose diversamente perché il loro punto di vista, gli scopi, l'utenza specifica sono diversi da un altro contesto e diversamente trattano le 'potenzialità' di un documento. E la DDC sembra esserne una esemplificazione (p. 85). Il soggetto è il 'potenziale informativo' di un documento (B.H. p. 86). E mutando una società nel tempo, in epoche diverse si tratterebbe diversamente lo stesso documento (no doubt about it, but to which extent is it feasible?). La soggettazione non è mai esaurita, mai completa, finita (ma non per questo tutte si equivalgono e si può dire n'importe quoi): insomma ribadisce la visione 'interpretativa' della soggettazione, essa come ermeneutica (p. 90 e 91). Il che comunque presuppone eccome che si identifichi il soggetto. (p. 131): a text cannot be said to have a meaning that exists in and of itself: it only exists in the interpretation ; e l'interpretazione reca con sé incertezza, dove non c'è incertezza è perché non c'è spazio per l'interpretazione (p. 140).

      (p. 124) il valore aggiunto dato dall'activity theory sarebbe quello di selezionare i documenti veramente di rilievo, adatti ai bisogni anche non formulati dell'utente, perché in grado di anticipare anche sul non già noto avendo estratto dai documenti il potenziale innovativo non solo rivolto al passato, all'acquisito ... ma poi (p. 138-9) torna al buon senso comune per cui il documentalista non è uno scienziato e difficilmente individua connessioni e contenuti sfuggiti agli scienziati e la documentazione normalizza il noto.

      (p. 126) Rationalists prefer knowledge from within their heads, empiricists prefer knowledge from natural sources, and historicists prefer knowledge from human cultures . La conseguenza è di una superficialità disarmante [***] (p. 95): " If many libraries' different subject descriptions of this book are merged in one database (a union catalog) this book would be visible from many different epistemic interests. This would be an ideal situation " questo regge solo se ci sono filtri che permettano a chi cerca, volendo, di oscurare e comunque innalza le difficoltà dell'utente ad orientarsi nel soggettario, visto che già oggi, se non abituato, anche con uno solo non è affatto detto che ne capisca subito la logica: in un assetto del genere non la vedrebbe proprio mescolandosi non solo aspetti sul medesimo livello, ma livelli diversi: particolare e generale, quantità ...

      Il concetto di informazione : p. 110 ... si arriva con Buckland e Ingwersen che 'tutto può essere informazione e informativo'.

      p. 113-14 mi pare che proponga come novità dell'activity theory quanto è scontato come proprio di ogni processo comunicativo e non estranei alle tecniche di costruzione e manutenzione dei thesauri (diversi livelli di complessità, presupposti nella conoscenza dell'utente; senso comune, punti condivisi, uso diffuso, fonti autorevoli ...).

      p. 122 mi pare si costruisca uno scenario in cui ad esempio la morfologia dei lemmi di un thesaurus sarebbero stipulate [i.e. sarebbe stipulata, n.d.e.] sulla base di interviste confessioni di un utente e non sul discorso/letteratura del settore.

      p. 125 LA RELAZIONE SEGNO SIGNIFICATO non è prestabilita ma stabilita nella espressione, comunicazione signifying process.

      p. 141 la vexata quaestio: investo sulla qualità del database o dello strumento sw di ricerca?

      p. 142 sono molto d'accordo quando dice che la relazione inversa fra recall e precision non è una legge, infatti non ci ho mai creduto, è quanto accade comunemente in sistemi scadenti, fosse una legge non si darebbero mai esiti puliti di ricerche che invece sono sia teoricamente che praticamente possibili.

      p. 144 pianamente, e finalmente, argomenta a favore della limitazione di una antieconomica esplosione dell'indicizzazione in ragione della teoretica possibilità di interpretare ad infinitum, e in difesa della normale difficoltà e successo del processo informativo che consiste in indicizzare e ricercare con le responsabilità di chi cerca e di chi produce ma non solo di chi indicizza. È un processo comunicativo con le sue ambiguità, nel positivo e nel negativo, che non si divide fra verità e falsità (cfr. anche nota 5 a p. 155) (ancora per questo la legge Cranfield II di Cleverdon 1966 non mi convince come tale).

      p. 159 e 165: information need è diversa dall' information demand che è soggettiva, l'information need è sociale e non individuale, e quest'ultima è subordinata a quella (p. 168 e p. 180 nota 18: il bisogno di conoscenza non è derivabile da ciò che gli utenti esprimono e chiedono ma da un'analisi storicamente collocata della scienza in questione).

      Esempi p. 93 e ss. (badare bene perché ne farà pochissimi o nulla e perché dopo il gran percorso condivide la soggettazione di grandi biblioteche (généralistes).

      Questione seria: quanto l'indicizzazione deve/può scavalcare il documento: se il titolo è fuorviante o omertoso, se il 'vero' soggetto è nascosto, se ciò che è importante è trattato meno ma è più di rilievo perché innovativo, se l'autore stesso si sbaglia sul tema, e magari pure sul rema, che so, non ha ben capito cosa è il knowledge management, o l'altro crede di scrivere un saggio sul liberalismo e invece esprime un punto di vista da protezionista ... (le mie obiezioni sono le solite).

      Quanto al servizio all'utente H. esprime poi un punto di vista molto più rigido (e che mi vede favorevole): p. 66 brutalizzando: è importante, e basta, rendere il sistema user friendly, ma è l'utente che deve acquisire categorie, terminologia, tassonomia propri della scienza e della scienza dell'informazione e non l'inverso.

      Naturalmente il suo, come quello di Kuhn, non è relativismo e vuole starne lontano: parliamo sempre di punti di vista disciplinari scientifici, non dell'arbitrio di chi perché ha voce può pretendere di avere pensiero fondato.

      Passi in cui Hjørland riassume, condensa, esplicita la sua posizione:

      p. 41 primo e ultimo paragrafo.

      p. 45 fine capitoletto e in basso nel successivo.

      p. 86 tutta.

      p. 90 all'inizio del paragrafo Subjects ...

      p. 93 al centro come (1) e (2) ...

      p. 95 a commento del primo esempio.

      p. 106 nel paragrafo At the same conference ...

      p. 111 da The cognitive paradigm ... a fine pagina con le conseguenze (mie) che basta con sistemi universali come UDC etc. e ogni 25 anni rifacciamo il sistema classificatorio a seconda di politiche, geografie, economie e culture mutate.

      p. 122 I therefore ...

      Hjørland dice un'altra cosa per me più originale (già a p. 5: subj. retrieval - retrouver! is the search for unknown documents, e parla di potenziale epistemologico del documento, vari punti cfr. ad es. 40 e 87 A subject description is thus a prognosis of future potentials e fino al proattivo di p. 182) e da cui in definitiva ri-dissento: lui dice che una soggettazione comme il faut, da activity theory dovrebbe essere insomma proattiva e non reattiva, non saziare i bisogni odierni degli utenti-studiosi, ma anticiparli, far scoprire il meno ovvio, additare connessioni, innovazioni, pensare al futuro, cioè al vero bisogno che è quello di quanto non già noto e non quello di trovare ciò che già si conosce. Lo trovo di nuovo spaventosamente poco 'economico', fuori posto, questo è il compito degli studiosi, che restano altra cosa rispetto a documentatori, bibliotecari, soggettatori, è il compito di recensori, didatti ... e per questo ci sono le riviste, le recensioni, le rassegne -reviews-  le tesi ...

      Similmente che il soggetto di un documento (p. 26) può non essere esplicito: difenderlo e volergli fare fronte porta l'attività documentaria organizzata su scala media (come livello) e ampia come dimensioni (di documenti, utenti ...) a derive assolutamente antieconomiche: l'assunto essendo opposto e cioè che negli ambienti medi si tratta proprio solo ciò che è evidente, dalla descrizione alla soggettazione.

      3.

      Il mio parere è che la tesi di Hjørland non è rivoluzionaria ed è realtà ben prima che lui scrivesse. Tutti i database e thesauri settoriali, dunque l'indicizzazione per soggetto (che sia per classificazione o parole chiave) privilegiano postulati, bisogni, terminologia, pratiche del settore cui si rivolgono. Tant'è appunto che ci sono da decenni bibliografie a stampa e database, soggettari e thesauri settoriali, sviluppati internamente: da un'istituzione (dalla NASA all'IAEA), da associazioni (chimici e fisici), da biblioteche di riferimento (il 'G'ermanico), da bibliografie di nuovo di riferimento (Année philologique). A nessuno di questi viene in mente che la sua maniera di leggere i documenti -e dunque soggettare- sia l'unica e debba andare a tutti, e privilegiano proprio l'approccio degli addetti ai lavori, della comunità scientifica cui si rivolgono.

      Che ci siano soggettari cinesi e italiani distinti, per lingua e cultura è noto, accettato e realmente esistente ed operante. Che qualcuno possa pensare e promuovere uno standard internazionale e trasversale anche linguisticamente (DDC ...) non è in contrasto, è un'altra scelta lecita quando chi dà il servizio (crea una banca dati) non vuole o non può delimitare e caratterizzare la propria utenza ma si risolve [rivolge? n.d.e.] per l'appunto ad una generica, perché generale.

      Ma se Hjørland ambisce alla piena attuazione del suo assunto, la soggettazione sarebbe da riconoscersi connotata non solo da lingua e spazio, ma anche da tempo. La cultura del 2005 non è quella del 1945, lo accettano tutti, e allora? Si risoggetta tutto ogni trenta cinquanta anni? Seguiamo Kuhn e quando c'è un paradigm shift rifacciamo il catalogo a soggetto o l'indicizzazione di qualche milione di articoli in Medline? Che poi ci siano servizi informativi on demand, riservati, ritagliati sul cliente-utente, perfino in grado di anticipare i bisogni ... orientati al vero bisogno informativo e non al documento, ma questo è tipico delle agenzie di viaggio e di servizi di documentazione avanzati, il che vuol dire sempre ristretti, talora segreti. Nulla di nuovo e nessuno scandalo.

      L'inquadramento filosofico di Hjørland è paludato, dovizioso, da studioso (... resto schiacciato e nauseato dalla bibliografia che si è sgonzato) e pecca a mio avviso perché si confronta pochissimo con le istanze pratiche delle entità che soggettano sia in termini di attività e dunque di economia, sia in termini di strumenti e metodi. È penosa la scarsità di esempi (e lì poi è così poco eccentrico ... si allinea a normali soggettazioni di biblioteche nazionali), è disarmante l'assenza di qualsiasi discussione sulla sintassi delle diverse soggettazioni, i rapporti fra precoordinazione e post-  e in ordine a classificazione, sommarizzazione etc. etc. sembrerebbe che tutto potrebbe andargli bene, e che il problema sono solo i contenuti da riconoscere per la soggettazione.

      Che soggettare sia un riassumere ed un indicizzare, che ciò faccia parte del capire e del non capire, dell'interpretare, del restituire, del comunicare con ciò che gli va insieme come non-comunicazione, errore, senso comune dei più o degli happy few, maggiore minore intelligenza per un impiegato come me è ... scontato.

      Le asperità -e se non 'aspre', le marezzature, declinazioni, pieghe, complessità ...-  che riguardano il dialogo, la comunicazione orale, la comprensione di un film e di un fatto non stanno su un altro pianeta rispetto al lavoro che fa chi indicizza. Sapendo che gli scienziati discutono sull'universo, l'origine del mondo, Darwin, la misurazione della luce, i benefici dell'alcool e delle castagne, sull'effetto serra ... se essendo al corrente dell'esistenza di statistici che fanno sondaggi contraddittori, di avvocati e di dimostrazioni su 'quanto è realmente accaduto', di economisti e sindacalisti che non sono d'accordo sulle cifre (fino a: se la legge Moratti abbia aumentato o diminuito le ore di insegnamento, non il PIL dell'Africa), ed essendo tutti 'scienziati' nei loro ambiti, figuriamoci se i bibliotecari pretendono che quando descrivono un libro ne hanno colto l'essenza e l'hanno espressa altrettanto immutabilmente con umana perfezione.

      Figuriamoci se sapendo tutto ciò (non è molto) il bibliotecario ignora cosa si può fare risalire anche alla Kristeva: che un testo è sempre un contesto che sta in un contesto ... (p. 16). Proprio perché tante letture, interpretazioni ed espressioni sono possibili e si è qui per lavorare, pagati, si deve arrivare a scegliere e lo si fa. Con ciò appunto riconosco e sostengo i confini che caratterizzano la soggettazione di una biblioteca nazionale, come la soggettazione di un singolo volume (il suo indice analitico) che è appunto un'espressione di pieno convincimento della circostanza per cui mutando il contesto (per dimensioni, per ciò che è assunto scontato e dunque da elidere ...) muta la soggettazione come cose da mettere in evidenza e per come mettercele.

      Che ci siano le faccette e le sfaccettature [***], la 'polirappresentazione', la classificazione ad personam (cfr. Hjørland 46-7) ... non è inedito per il bibliotecario. Ma ognuno sa dove lavora, la fisionomia del contesto, i suoi confini e dunque ogni limite è selezione, scelta e non esiste 'assegnare tutti i soggetti possibili' (lo sa bene anche lui).

      Passo su quante sono le scontatezze (ma le ho via via annotate sul testo) che ritiene novità, spiragli da lui dischiusi.

      L'aspetto che può molto solleticare [***] certi studiosi in un simile testo è che Hjørland dica: senza una teoria filosofica non andate da nessuna parte.

      Bon, 1. applichiamolo però anche ad archivisti e registi, meccanici e statistici ...; 2. facciamo una buona teoria!

      ... Francamente, un articolo bastava e avanzava, il libro è prolisso, ripetitivo (non scritto bene in inglese), dottorale, ma poco produttivo e costruttivo, probabilmente serviva a lui anzitutto (come spesso). E finalmente mi pare incida poco, poco serva a costruire, sposti poco anche la teoria ... mah aspetto contro osservazioni."

Che non sono mai arrivate! Ho fatto una mia analisi del volume, ma non l'ho mai proposta, né ho più avuto il coraggio di riprendere il discorso; piuttosto ho approfittato di ogni occasione che si sarebbe poi creata per approfondire le questioni legate alla indicizzazione semantica. In particolare mi piace ricordare un bel corso sul Nuovo soggettario italiano per il quale Fdo chiamò Alberto Cheti, regalandoci due densi giorni di lezione, che affrontavano il tema a partire dalle questioni squisitamente teoriche. Ma il discorso intorno a Hjørland non l'abbiamo più ripreso: quello che avevo immaginato come l'inizio di un approfondimento aveva preso la piega di una sfida che io mi rifiutai di accettare. Volevo approfondire, non entrare in competizione, certo non con Fdo col quale preferivo di gran lunga collaborare, e da cui sapevo si poteva molto imparare. Anche ora che ho ripreso in mano e riletto la sua recensione vedo quanto la sua analisi fosse stata puntuale, pregnante, densa, un'utile introduzione al testo e ai contenuti, da lui in parte già digeriti. Le stesse critiche che muove a Hjørland vengono, a mio avviso, dal fatto che a lui certi temi sembravano noti, non bisognosi di essere analizzati in modo tanto dettagliato; non considerando magari che questa impressione l'aveva lui e dovuta al suo particolare bagaglio - per l'errore che si compie a volte di valutare meno quel che si sa. Mi sembra utile in tal senso un confronto con alcune altre recensioni allo stesso volume, in cui si trovano sia note contrapposte sia assonanze con quanto scrisse Fdo. Vediamo.

Bert. R. Boyce (School of Library & Information Science, Louisiana State University), recensione pubblicata nel 1998 su «Library and Information Science Research» (pp. 306- 307). Laddove Fdo rileva, come debolezza, un approccio scarsamente pratico, Boyce ne sottolinea invece il dato positivo: "In a discipline where writings currently tend to be practical in the extreme, this work is refreshingly theoretical in nature. This is as far from a cook- book of retrieval methods as one is likely to get and still stay on the subject. It is a rare attempt to identify underlying principles". Vi è però consonanza laddove Boyce rileva scarsità di innovazione nella analisi concettuale: "… the claim in Chapter 2 that '… I have presented a new conceptual apparatus and a new way of thinking about subject data…' seems a bit over stated. The ideas are hardly new, as his own citations demonstrate". Nella sua interezza, però, il volume viene decisamente bene accolto: "This manages to be a thought provoking book, and a real, if not totally successful, attempt at a theoretical view of information science. It is well indexed and the bibliography is particularly useful for someone interested in the philosophical background of the representation process".

Patrick Wilson (University of California- Berkeley), in «College & Research Library» (1998, pp. 287- 288) muove una critica a un punto che Fdo sottolinea come originale ma 'spaventosamente antieconomico', impraticabile. Si tratta di una descrizione di soggetto che sia capace di anticipare i bisogni informativi anche futuri. In queste frasi di Wilson trovo assonanze con quanto abbiamo letto nella recensione di Fdo: "It is oddly optimistic to suppose that many documents now produced actually have any future utility or informational value for solving future scientific problems. So Hjorland's proposal faces very serious challenges. Despite this, however, it is a major proposal, an addition to the small repertory of serious alternative approaches to content description, and deserves to be reflected on and worked over carefully by others."

Marcia J. Bates (Depart. of Library and Information Studies, University of California), in «The Library Quarterly: Information, Community, Policy» (1999, pp. 112- 113), inizia il paragrafo finale della sua recensione con una frase che riecheggia quella, pure posta in conclusione, di Fdo 'facciamo una buona teoria!': "There were times in reading this book when I wished Hjorland had spent less time reviewing various conflicting views of others, and had devoted the space instead to a greater elaboration and analysis of his own interesting ideas" per concludere però in modo decisamente positivo dicendo che il volume "constitutes one of the most stimulating, thoughtful, and well- worked- through sets of ideas to be presented to the information science field in a long time".

Invito a una lettura integrale di tutte e tre queste recensioni e magari delle altre che non ho considerato; se ne trarrà l'impressione - credo - che non sarebbe stata cosa cattiva se il testo che Fdo scrisse per intavolare una discussione del tutto privata avesse invece assunto le forme definitive di una pubblicazione. In breve, se anche questa volta non si fosse autocensurato e avesse invece voluto presentare quella sua analisi in una rivista scientifica, magari italiana. Gli avrebbe chiesto molto lavoro aggiuntivo: questo temeva, perché per essere soddisfatto e licenziare un testo voleva essere sicuro di aver visto tutto il vedibile. Insomma un perfezionista. Ora è vero che non si può e non si deve scrivere di tutto, e che ogni lavoro che viene pubblicato dovrebbe avere alle spalle ricerca, studio, controlli. Ma non ogni lavoro mira a mettere l'ultima parola su un argomento e talvolta non inserirsi nel dibattito per paura di non avere lavorato abbastanza e di presentare un materiale ancora grezzo, magari toglie agli altri pensieri e indicazioni preziose.

Così è accaduto che Fdo abbia fornito a molti il suo punto di vista, le sue letture preventive, a volte critiche - anche non morbide - richieste da quanti al suo parere ci tenevano; e così non è infrequente trovare il suo nome nel paragrafo dei ringraziamenti che apre alcuni importanti volumi usciti nel campo della Library Science. E non sono ringraziamenti formali.

Insieme al suo approccio lucido e critico e alle sua competenze, c'era - voglio ancora ricordarlo - anche una grande curiosità intellettuale, e attenzione per quello che andava ben oltre al suo campo: dalla storia dell'arte alla letteratura al cinema, per i quali poteva avere osservazioni acute e intriganti, sempre assai stimolanti. Una grande attenzione aveva infine per quelle tematiche che non entravano perfettamente nel suo campo di studio ma non ne erano distanti, come la storia del libro e delle biblioteche, temi che non aveva approfondito in prima persona, ma che lo interessavano, tanto più che avevano forte contiguità con quelli da lui maggiormente studiati. Non si contano le conversazioni intavolate intorno a una nuova ricerca, o a un libro o un articolo appena uscito. Lo sguardo sempre attento a cosa si fa oltre i confini, lo stimolo a guardare altrove, vedere il grande quadro che può o deve vedersi all'orizzonte di una ricerca puntuale.

Nel corso degli ultimi dieci anni della sua vita troppo breve, durante i quali molte cose sono cambiate, a Francesco ho partecipato in anteprima tutte le riflessioni, i dubbi, le osservazioni fatte nel corso di ogni nuova ricerca. Ogni volta da lui ho ricevuto stimoli, critiche puntuali e costruttive, ascolto e attenzione. La sua intelligenza delle cose, e il suo modo di approcciarle, avevano a che fare con qualcosa che va oltre la puntuale competenza, perché ne è alla base: il metodo. Con Fdo la conversazione finiva sempre col sollevare fondamentali questioni di metodo.


[1] Nota all'edizione: trascrizione semi-diplomatica, con rispetto di formattazioni (corsivi, grassetti etc.) e punteggiatura; interventi limitati alla eliminazione di refusi, poche correzioni non chiare tra parentesi quadre e con nota dell'editore; segnalati con [***] tre casi in cui la frase viene riformulata con omissione di alcune parole.

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