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ISSN: 2283-303X

È possibile una biblioteca multimediale?


già pubblicato, in tre parti, nei numeri 11, 12 e 14 (1997) della rivista elettronica "Golem", attualmente recuperabili nell'archivio della nuova serie "Golem l'indispensabile".
di Giulio Blasi, con una replica di Riccardo Ridi (in linea da febbraio 2001) 

Parte 1 (già in "Golem" 11)

Il dibattito (insulso) sulla morte (vera o falsa, presunta, annunciata, imminente o meno) del libro e sui rapporti tra editoria tradizionale e editoria multimediale ha dimenticato sinora un tema di grande rilievo: è possibile immaginare una Biblioteca Multimediale che, al pari delle biblioteche tradizionali, raccolga, mantenga utilizzabili e consultabili nel tempo le opere oggi realizzate su supporti elettronici?

In genere questo problema viene focalizzato puntando sulla questione della deperibilità dei supporti (ad esempio, quanto tempo rimarrà utilizzabile e leggibile un floppy disk o un Cd-ROM?). Ma il problema più grave è costituito dall'evoluzione dell'hardware (computer e periferiche) e dall'evoluzione del software (sistemi operativi, linguaggi di programmazione, piattaforme di sviluppo, ecc.). Anche supponendo che un Cd-ROM abbia un tempo di conservazione di 100 anni (poniamo) siamo di fronte al paradosso che - allo stato attuale di evoluzione della tecnologia - niente garantisce che il contenuto di quel cd risulterà in qualche modo utilizzabile dopo 100 anni. Immaginate la situazione: microprocessori radicalmente diversi dagli attuali, un sistema operativo Windows 2100 a 1600 bit (?), supporti di memoria completamente nuovi (quindi niente lettori di Cd ROM), ecc.

La società per la quale lavoro (Horizons Unlimited) ha in piedi due progetti che pongono in primo piano il problema - oggi ancora sottostimato - della conservazione e della ri-utilizzabilità dell'editoria multimediale nel corso del tempo.

Il primo progetto è Encyclomedia, la guida multimediale alla storia della civiltà europea diretta da Umberto Eco e pubblicata da Opera Multimedia . Quest'opera ha richiesto anni di lavoro e molti miliardi di investimenti e sarebbe davvero spiacevole immaginare che tra 10-15 anni una tale mole di lavoro potrebbe diventare inutilizzabile dai possessori di un personal computer (in qualunque cosa tale strumento si sia trasformato nel frattempo). Ovviamente questo è un problema che si pone per tutte le case editrici impegnate sul fronte del multimedia (tra le italiane ricordo: Mondadori , De Agostini, RCS, Giunti, ecc.).

Il secondo progetto si chiama Multimedia Arcade ed è in corso di realizzazione a Bologna in collaborazione con la locale Amministrazione Comunale. Umberto Eco ne ha parlato in una recente intervista sul mensile americano Wired. Il progetto prevede per l'appunto la creazione di una Biblioteca Multimediale e quindi il tema ci interessa piuttosto da vicino.

E' evidente che soluzioni sono possibili e praticabili ma il fatto è che nessuno sinora si è preoccupato di proporne su larga scala. Per una ragione abbastanza semplice: anche se il computer ha 50 anni di storia (circa), l'editoria multimediale ne ha solo 10 (scarsi) ed è quindi abbastanza difficile focalizzare il problema di cui sto trattando (anche se è già concretamente esperibile dall'utente esperto con una storia personale di uso del computer maggiore di 5 anni). Il problema si porrà in modo acuto tra 5 anni quando gli editori multimediali scopriranno i costi e i problemi legati al "mantenimento in vita" dei loro cataloghi.

Come si risolverà questo problema ? Beh, è ovviamente ridicolo che io proponga un'idea sistematica al riguardo in questa sede. Però posso dare un suggerimento, sensato sul lungo periodo.

Esiste un tipo di software oggi ancora sconosciuto ai consumatori di editoria multimediale: si tratta dei cosiddetti "emulatori", programmi che permettono di far girare su una data macchina pezzi di software scritti per una macchina diversa (ad esempio, un computer del passato). I possessori di computer Mac, ad esempio, possono trovare in rete una vera e propria miniera di programmi di questo genere che permettono di utilizzare software scritto per sistemi ormai del tutto obsoleti: l'ATARI 800, il Commodore 64, addirittura il PDP-8, ecc. (il sito di Emulation Net è ricchissimo di programmi del genere). Cose simili esistono ovviamente anche per Microsoft Windows e Unix.

Potete allora immaginare lo storico del futuro (del 2100, poniamo) in una biblioteca multimediale dotata di computer un po' particolari sui quali girano sistemi operativi un po' diversi dal normale perché sono in grado di emulare grandi quantità di sistemi del passato. Il nostro ultranipote troverà in un catalogo on-line il titolo "Encyclomedia" attribuito ad un noto poligrafo del secolo precedente, tale Umberto Eco. Il suo sistema operativo (MS Windows 2100, appunto) sarà in grado di "datare" il software con il quale il prodotto è stato realizzato un secolo prima e di attivare l'emulatore giusto che ne permetterà la consultazione.

Questo per ciò che attiene ad ipotesi futuribili e che in fondo ci riguardano poco. E' invece certo che dovremo occuparci, sempre più nel futuro prossimo, di elaborare progetti e strategie al riguardo, di costruire modelli operativi e sperimentazioni efficaci, di sottoporre il problema alla comunità internazionale degli editori multimediali affinché finanziamenti adeguati siano destinati alla ricerca in questa direzione.

Il progetto Multimedia Arcade - nato da un'idea di Eco e dal progetto operativo di Horizons Unlimited - potrebbe divenire la prima sede internazionale per riflettere sul problema. Siete anzi invitati a spedire suggerimenti e proposte.

Se non faremo questo (cosa che non possiamo escludere a priori) vorrà dire che l'editoria multimediale di cui oggi ci occupiamo è destinata a tempi di sopravvivenza brevissimi, incomparabilmente più brevi di quelli degli altri media. I bit oggi codificati con tanto dispendio di denaro ed energie si trasformeranno in inutili atomi.

Parte 2  (già in "Golem" 12)

Il pezzo dello scorso numero sulle biblioteche multimediali e sulla preservazione dei materiali digitali ha suscitato reazioni interessanti da parte dei lettori (che possono continuare ad inviarmi suggerimenti e commenti). Val la pena insistere ancora un po' sull'argomento, dunque.
Mi risparmio un abstract del pezzo precedente supponendo che il mio lettore ipertestuale faccia poco sforzo a rileggerlo.
Fatto? Bene.

Anzitutto un'osservazione. Molti lettori confondono due tipi di problemi che vanno tenuti distinti: la fragilità dei supporti e l'obsolescenza delle tecnologie. Rapidamente: la fragilità è un problema (relativamente) facile da risolvere mentre l'obsolescenza è un problema complesso.
La fragilità dei supporti dei media digitali (nastri, floppy disk, cd rom, hard disk, ecc.), infatti, non è molto diversa dalla fragilità dei supporti di molti media analogici (pellicole cinematografiche, nastri audio, fotografie a stampa, ecc.). La fragilità dei supporti si risolve con il refreshing degli stessi: i contenuti vanno riversati da un vecchio supporto a un nuovo supporto (da floppy a CD ROM, da CD ROM a DVD, ecc.). Certo, il problema quantitativo non è indifferente. La RAI, ad esempio, ha oggi il problema di riversare su nuovi supporti 180.000 vecchi nastri.
Il patrimonio video accumulato dalla RAI (al 1996) è di 248.000 ore video. Il problema del refreshing acquisterà caratteri esponenziali nel giro di pochi decenni. Il progetto Teche della RAI sta iniziando ad affrontare questo problema anche dal punto di vista della digitalizzazione di tali risorse.

Il problema dell'obsolescenza tecnologica è invece del tutto diverso. Qui non è in gioco il puro e semplice supporto ma il modo di codificazione del contenuto. I documenti digitali vengono prodotti con sistemi che dipendono in vario modo dalle piattaforme software/hardware originarie. A ciò bisogna aggiungere la difficoltà di garantire una piena (e continua) compatibilità "all'indietro" delle piattaforme software. Ciò richiede (idealmente) un continuo upgrade dei documenti o l'elaborazione di sistemi di emulazione che garantiscano (a partire da qualunque nuova piattaforma) la leggibilità di qualsiasi documento realizzato su piattaforme divenute obsolete.

La "Task Force on Archiving of Digital Information" ha elaborato negli USA un primo rapporto strategico su questi temi proponendo una visione integrata del tema della fragilità e dell'obsolescenza tecnica. Il termine "migrazione" riassume una visione più organica e complessa della faccenda.

Migration is the periodic transfer of digital materials from one hardware/software configuration to another, or from one generation of computer technology to a subsequent generation. The purpose of migration is to preserve the integrity of digital objects and to retain the ability for clients to retrieve, display, and otherwise use them in the face of constantly changing technology. Migration includes refreshing as a means of digital preservation but differs from it in the sense that it is not always possible to make an exact digital copy or replica of a database or other information object as hardware and software change and still maintain the compatibility of the object with the new generation of technology.
(Report of the Task Force on Archiving of Digital Information)

Questo documento è molto utile anche per noi qui in Italia e ne consiglio a tutti la lettura. Il problema della progettazione di Biblioteche Multimediali coincide con il problema di elaborare complesse strategie di "migrazione" per differenti tipologie di documenti digitali.

In un mail di commento al pezzo dello scorso Golem, Massimo Politi mi ha scritto sostenendo che il problema della conservazione potrebbe rivelarsi un vantaggio perché ci libererà "di quei blocchi mentali che impediscono di mandare al macero una enciclopedia stampata". In altri termini: forse il problema che sto ponendo è un problema per noi ma non per le generazioni future.
Si tratta di un'affermazione molto radicale ma che pone in primo piano un problema molto semplice: chi ci assicura che una società dell'informazione globale e digitale conservi la medesima cultura di conservazione dei testi che è oggi incarnata nelle biblioteche? Non si darà il caso che una cultura di testi digitali sia una cultura in cui i testi hanno una maggiore volatilità e deperibilità, al pari (ad esempio) della comunicazione orale? Fino a che punto una cultura ha bisogno di conservare la "totalità" dei suoi testi?
Sono domande a cui è molto difficile dare risposte operative. Qui le lancio per tener viva la discussione.
 

Parte 3  (già in "Golem" 14)

Tra le reazioni ricevute ai miei pezzi dedicati alle Biblioteche Multimediali (su Golem 11 e Golem 12) ce n'è una serie che ho deciso di pubblicare. Si tratta di uno scambio di mail con Riccardo Ridi, bibliotecario presso la biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa e coordinatore dell'AIB-WEB, il sito dell'Associazione Italiana Biblioteche. Li ho lasciati nella forma originale senza alcuna forma di editing. Il tema credo meriti riflessioni ulteriori e mi pare utile fare una pausa per dar conto del dibattito che si è sviluppato.

Oltre ai due pezzi di passati su Golem di cui sopra vi invito a rileggere il rapporto strategico della Task Force on Archiving of Digital Information. Questo documento costituisce ancora (almeno per lo stato del dibattito italiano) un punto di riferimento importante per cogliere lo stato del problema. Altra fonte interessante di link sull'argomento è la pagina della Library of Congress dedicata alle Digital Libraries.

Per i lettori su carta di questo articolo ricordo che possono contribuire al dibattito spedendo i loro messaggi all'indirizzo arcade@horizons.it
 

From: Riccardo Ridi
To: Giulio Blasi

"chi ci assicura che una societa' dell'informazione globale e digitale conservi la medesima cultura di conservazione dei testi che h oggi incarnata nelle biblioteche? Non si dara` il caso che una cultura di testi digitali sia una cultura in cui i testi hanno una maggiore volatilita` e deperibilita`, al pari (ad esempio) della comunicazione orale? Fino a che punto una cultura ha bisogno di conservare la "totalita`" dei suoi testi?" (G. Blasi, E' possibile una biblioteca multimediale? (2), Golem 12)

Ma neanche la vecchia societa' dell'informazione analogica e cartacea ha mai conservato davvero TUTTI i propri testi. Volantini, opuscoli, manifesti (per rimanere nell'ambito delle "pubblicazioni") sono allegramente scomparsi dalla faccia della terra, cosi' come persino veri e propri capolavori (Sofocle, Aristotele, i presocratici, ecc.).

Riccardo Ridi

From: Giulio Blasi
To: Riccardo Ridi

Vero ma quella cultura considererebbe il ritrovamento di un papiro recante una traduzione di un'opera aristotelica scomparsa un evento straordinario e di enorme valore (pensi allo stele di Rosetta...).
Se i presocratici fossero documentabili direttamente e non attraverso fonti indirette questo sarebbe considerato fantastico dai nostri storici della filosofia.
E allo stesso modo le biblioteche odierne conservano straordinarie varieta' di documenti scritti compresi manifesti, opuscoli (soprattutto scientifici) e cose di ogni genere e penso in particolare al mondo della biblioteconomia anglosassone.

Io non ho detto che di fatto la cultura analogica e cartacea abbia conservato TUTTI i suoi documenti. Sostengo invece che quella cultura ci fa oggi considerare ogni documento scritto del passato una fonte preziosa per la sua comprensione. Sostengo in breve che la nostra cultura assegna un VALORE particolare alla conservazione dei documenti scritti.

Cambiera' questo in futuro o avremo forme di "storicismo digitale" ad ogni modo?
Lei cosa ne pensa?

G. Blasi

From: Riccardo Ridi
To: Giulio Blasi

OK, sia la nostra cultura passata che quella presente che quella (presumo) futura, attribuiranno un grande valore ai "documenti" e alla loro conservazione (fra l'altro lo spero anche dal punto di vista "occupazionale", facendo di mestiere il bibliotecario).

Il primo punto e': cosa considerare "documento" e cosa no. A rigore potremmo considerare "documento" (anche se non "pubblicazione") anche ogni appunto privato, ogni lista della spesa, ogni post-it, ogni registrazione in segreteria telefonica (e volendo potremmo anche registrare per intero OGNI conversazione telefonica), ogni e-mail privato, ogni videoregistrazione amatoriale, ecc. Ovviamente conservare tutte queste cose e' non solo impossibile pragmaticamente (lo e' sempre stato ma lo sara' sempre di piu', vista la produzione crescente geometricamente) ma anche controproducente informativamente (finiremmo per non trovare piu' nulla).

Si tratta di stabilire un discrimine fra cosa conservare e cosa no. Prima era piu' facile per tanti motivi. Per esempio era piu' netta la differenza fra "ricchi/potenti" che potevano eternare i propri archivi e "poveri/deboli", che magari non sapevano neanche scrivere, producevano pochi documenti (testuali o grafici) e difficilmente riuscivano a proteggerli e trasmetterli. Per esempio, con la stampa tipografica era piu' chiaro il confine fra "documento pubblicato" e "documento non pubblicato" (il primo era manoscritto e il secondo stampato). Adesso, una homepage personale sul Web a quale categoria appartiene?

Il secondo punto riguarda il privilegio culturale accordato per secoli alla scrittura, al testo, rispetto a documenti grafici, sonori, oggettuali, ecc.
Le immagini, ad esempio, si conservavano solo se belle e preziose, mentre per gli stampati c'e' sempre stata una tendenza (ardua) alla completezza.
Per il suono poi per secoli non c'e' stato modo di conservare niente. Ora che i documenti "non-testuali" hanno migliorato il loro status culturale, andranno conservati anch'essi con la stessa attenzione dedicata in passato a quelli testuali (era questo, mi pare, uno dei focus del suo articolo).

Allora, visti i punti 1 e 2 e visto che siamo tutti d'accordo che sarebbe bello conservare (e, aggiungo - da bibliotecario - catalogare, altrimenti poi non si ritrova nulla) tutto, sara' mai possibile farlo davvero? Questa, mi pare, la sua domanda.

In tutta franchezza le rispondo che a me, personalmente, il sogno dello Xanadu di Nelson (una rete ipertestuale mondiale di TUTTI i documenti esistenti) ha sempre affascinato e mi piacerebbe pure che si realizzasse (il WWW sta facendo qualcosa, ma in confronto e' un balocco), ma temo che:
A) sia impossibile tecnicamente
B) per la maggioranza degli umani si tratterebbe di un INCUBO e non di un sogno

Saluti, Riccardo Ridi

From: Giulio Blasi
To: Riccardo Ridi

Grazie per la risposta ulteriore. Ma allora rilancio ancora in cerca di stimoli: cosa pensa del punto centrale del mio (primo) pezzo dedicato alle biblioteche multimediali e cioe' al problema dei tempi di obsolescenza dei documenti digitali (almeno di parte di essi)? Non si tratta qui di una differenza cruciale rispetto al passato? O si tratta di una semplice illusione di prospettiva dovuta alla nostra posizione di osservatori di un processo in corso ancora non ben definito?

Il punto per me davvero cruciale e' questo: l'idea di Nelson e' autocontraddittoria esattamente perche' non include la freccia temporale dell'obsolescenza dei formati digitali. In pratica presuppone un sistema informatico stabile (almeno) come il libro a stampa nel suo rapporto con gli scaffali di una biblioteca. Io considero questo un grave errore concettuale di Nelson a prescindere dal fatto che lo "spirito" di Xanadu ci piaccia o meno.

Sarei davvero curioso di conoscere la sua opinione su questo.

Saluti
Giulio Blasi

From: Riccardo Ridi
To: Giulio Blasi

Contro l'obsolescenza dei media elettronici una prima mossa puo' essere quella di privilegiare standard "de jure", non proprietari (HTML, SGML, ecc.) contro quelli "de facto", proprietari (PDF, ecc.).

Cosi' si potrebbe combattere l'obsolescenza del software, mentre contro quella dell'hardware bisognerebbe che le biblioteche elettroniche che si prenderanno in carico i documenti elettronici si assumano anche la responsabilita' di riversarli periodicamente sui nuovi tipi di supporti man mano disponibili.

Anche la sua (o tua, passiamo al tu?) ipotesi degli emulatori potra' aiutare, ma si trattera' comunque di investire costantemente tempo e energie (quindi denaro) per mantenere realmente accessibili i documenti. Questa e' in effetti una grossa differenza rispetto all'era cartacea, in cui "bastava" mantenere i libri lontani da luce, calore e umidita' per riutilizzarli anche solo una volta al secolo.

Non sono invece d'accordo sulla tua critica a Nelson , perche' l'editoria elettronica in rete (perche' in fondo di questo si tratta con Xanadu) e' radicalmente diversa da quella su supporto portatile (in fondo piu' simile a quella tradizionale per tanti versi: distribuzione, pagamento, copyright, ecc..) anche dal punto di vista della compatibilita' dei formati. Per leggere un documento remoto in rete ho bisogno sempre dello stesso modem, disinteressandomi se e' memorizzato su un hard-disk, un nastro, una cartuccia, un cd o altro. Pensa poi a quanto ha fatto internet per lo scambio dei dati fra ambienti operativi diversi.... Una volta che ho messo un documento html in rete, non e' piu' ne' dos ne' mac ne unix...
Quindi il problema dell'obsolescenza digitale tocca molto di piu' i cd-rom che non Xanadu o Internet (che comunque ha i suoi bei problemi).

Riccardo Ridi

From: Giulio Blasi
To: Riccardo Ridi

Una volta che ho messoun documento html in rete, non e' piu' ne' dos ne' mac ne unix...Quindi il problema dell'obsolescenza digitale tocca molto di piu' i cd-rom che non Xanadu o Internet (che comunque ha i suoi bei problemi).
Riccardo Ridi

Questo in principio. Ma de facto: le versioni "standard" di HTML si sono evolute e i metadescrittori non sono ancora diffusi, i documenti HTML contengono extensions proprietarie, contengono codice non HTML di vario genere con problemi suoi propri di versioning (Javascript, VBscript), rimandano a codice compilato (applet) che prevede l'esistenza di software determinati sulla piattaforma client (anche nel caso di Java e' necessaria una "virtual machine" che non e' necessariamente pre-installata sulla macchina dell'utente e che gia' adesso esiste in due versioni tra loro incompatibili), ecc. ecc. Gli standard di programmazione cross-platform di Microsoft sono completamente diversi da quelli di Netscape. Insomma se, come dicono alla Sun, "the network is the computer" perche' dovremmo attenderci dalla rete esiti diversi in termini di standardizzazione rispetto a quelli che si sono evoluti per il PC? Tutto sommato anche il mondo desktop e' abbastanza standard: l'80% dei PC usa sistemi operativi Windows...In termini puramente numerici si potrebbe (dovrebbe) dire che esiste maggiore standardizzazione e interoperabilità nei PC che nei sistemi di rete. Inoltre non ho toccato il problema piu' grave l'upgrade dei protocolli di base su Internet: la migrazione a IPng e' (per il momento) solo una possibilita' teorica e comunque una cosa di cui bisognera' ben esaminare gli esiti.

In sintesi: anch'io assegno (per varie ragioni) un privilegio alla rete rispetto al PC isolato per cio' che riguarda la "durata" nel tempo degli standard. Pero' mi pare che a parte un lieve privilegio non cambi molto la sostanza del problema che sollevavo a proposito delle biblioteche multimediali. I documenti oggi disponibili in rete avranno seri problemi di obsolescenza nel giro di qualche anno. Xanadu era pensata come una rete di documenti "puri" ma la cosa e' resa piu' complicata dal fatto che quello che oggi evolve e' il concetto di un ipertesto di documenti e applicazioni.

Ciao
Giulio Blasi

From: Riccardo Ridi
To: Giulio Blasi

"i documenti HTML contengono extensions proprietarie, contengono codice non HTML di vario genere [...] gli standard di programmazione cross-platform di Microsoft sono completamente diversi da quelli di Netscape" [Giulio Blasi, 97-08-26]

Perche' tutti corrono in avanti per conto proprio, sperando di imporre de facto i propri standard, invece di aspettare quelli de jure del W3C.
Padroni di farlo, ovviamente, perche' "il mercato e' il mercato" e perche' - come giustamente dici - "perche' dovremmo attenderci dalla rete esiti diversi in termini di standardizzazione rispetto a quelli che si sono evoluti per il PC?" ma spero che almeno chi produce documenti "seri", che hanno pretese di durata, si attenga il piu' possibile agli standard ufficiali, e per gli altri "speriamo bene".

"In sintesi: anch'io assegno (per varie ragioni) un privilegio alla rete rispetto al PC isolato per cio' che riguarda la "durata" nel tempo degli standard. Pero' mi pare che a parte un lieve privilegio non cambi molto la sostanza del problema che sollevavo a proposito delle biblioteche multimediali. I documenti oggi disponibili in rete avranno seri problemi di obsolescenza nel giro di qualche anno" [Giulio Blasi, 97-08-26] OK. Si riaffaccia cioe' per i documenti elettronici (in rete e su supporti portatili) tutta quella vasta serie di problemi tipici dei documenti cartacei (manoscritti e a stampa) e su altri supporti non elettronici (microfilms, microfiches, ecc.) a cui i bibliotecari cercano (senza mai riuscirci completamente) da secoli di opporsi realizzando due grandi utopie: il "controllo bibliografico universale" (sapere esattamente cosa e' stato pubblicato nel mondo) e la "disponibilita' universale delle pubblicazioni" (rendere accessibili a tutti - copyright permettendo - tutti i documenti pubblicati in qualsiasi luogo, tempo e forma).

I documenti elettronici hanno proprie specificita' rispetto agli altri (ad esempio l'obsolescenza delle tecnologie da cui siamo partiti) ma anche tante affinita'. Almeno dal punto di vista concettuale credo convenga partire dalle affinita' per poi individuare le differenze. Ad esempio, il concetto di biblioteca nazionale (un posto dove, per legge, debba essere depositato TUTTO cio' che viene pubblicato in un determinato paese) non scompare nel nuovo ambiente elettronico, ma va aggiornato ed adattato in modo flessibile. La "biblioteca nazionale digitale italiana" potrebbe non essere collocata fisicamente in un sol luogo ma essere decentrata (fra le varie universita? fra gli editori?) e dovrebbe occuparsi fin da subito anche del problema dell'obsolescenza delle tecnologie (con gli emulatori di cui parlavi, collegandosi a eventuali "musei delle vecchie tecnologie", travasando periodicamente i dati dai vecchi supporti ai nuovi, ecc.).

Saremo in grado di affrontare questa sfida in un paese che non e' mai riuscito a gestire decentemente neanche il proprio patrimonio bibliografico "tradizionale"? Ho dei forti dubbi, ma dobbiamo assolutamente provare, per non uscire a priori dal novero dei paesi civili.

Ciao, Riccardo

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